In
questo periodo di crisi generalizzata, la Teoria Monetaria Moderna (MMT) - che ha radici nel cosiddetto Cartalismo - è
molto dibattuta e per certi versi criticata, anche se secondo alcuni autori
essa non fa altro che descrivere il sistema monetario in vigore sin
dall'abolizione del sistema aureo
avvenuta nel 1971. Forse le critiche di cui è fatta oggetto la MMT al
giorno d’oggi, in cui il problema di sovranità monetaria degli Stati Membri
sembra messo in discussione proprio nei confronti dell’Unione Europea, sono
riconducibili ai due seguenti elementi essenziali che essa stigmatizza :
a.
Uno
Stato pienamente sovrano, che ha potere sulla propria moneta, non può fallire.
b.
Una
politica statale di deficit implica l'immissione di ricchezza da parte dello
Stato verso i privati, mentre una politica di surplus di bilancio implica
ricchezza che lo Stato ritira dai privati.
Il
discorso che segue, però, esula dall’ideologia o dal dibattito circa la natura
della ricchezza o se la ricchezza vera la produce l'intrapresa e non la
finanza, che al più sembra ridistribuisca, o per meglio dire, rastrelli e
impieghi, soprattutto speculativamente, la ricchezza prodotta dall'intrapresa.
Come pure non si discute se la ricchezza, al pari, non la produce nemmeno la
carta stampata in forma di moneta o quella creata attraverso forme derivate, ma
soltanto il lavoro e la creatività dell'uomo, delle comunità e delle nazioni
cui essi appartengono, come sembrano sostenere seguaci della MMT.
Per
le finalità di questo lavoro assumiamo, quindi, aldilà di ogni ideologia e di
ogni discussione, che il ragionamento
analitico di seguito riportato - e che è caratteristico della MMT - possa
essere accettato e possa entrare a far parte del ragionamento che viene di
seguito proposto.
In
ogni sistema economico aperto verso altri sistemi i saldi dei singoli settori (privato,
pubblico, estero) possono essere
ripartiti in base al PIL attraverso il seguente ragionamento:
PIL = C + I + G +
(X – M) (1)
dove
:
C = consumi
I = investimenti
G = spesa pubblica
X = export
M = import
oppure
detto in maniera diversa, cioè con l’ottica del settore pubblico:
PIL = C + S + T (2)
C
= consumi
S = risparmi
T = tasse
Da
qui si può concludere, uguagliando la (1) e la (2) che :
C + S + T = PIL = C+ I + G + (X – M) (3)
E
raggruppando per settori si giunge ad
affermare che la somma del saldo di ciascuno dei tre settori deve essere zero:
(I – S) + (G – T) + (X – M) = 0 (4)
dove:
(I
– S) = saldo del settore privato
(G
- T) = saldo del settore pubblico
(X
– M) = saldo del settore estero
La
(4) si può porre anche sotto la seguente forma :
(I – S) + (G – T) = - (X – M) (5)
che
ci aiuta a capire come il saldo con l’estero riassuma in sé il risultato
dell’attiva produttiva del settore privato e di quella
gestionale/amministrativa del settore pubblico di un sistema economico
nazionale.
Il saldo con l’estero –
positivo o negativo che sia - è comunque espressione della “divisione internazionale
del lavoro”, ovvero della specializzazione produttiva dei singoli sistemi
economici, nonché dell’apertura di un sistema economico verso gli altri. Un
saldo verso l’estero esiste in quanto si creano dei differenziali nella
produzione e nel consumo di beni e servizi tra le diverse economie. Tali
differenziali generano dei flussi di beni e servizi in un verso e di
corrispettivi in moneta nel verso opposto, che possono essere colmati
attraverso il commercio internazionale che a sua volta può indurre effetti di
riequilibrio o meno. In ogni caso, il commercio internazionale crea una rete di
legami percorsa da flussi (quantità di beni e servizi o in senso opposto
movimenti di capitali) tra le diverse
economie.