mercoledì 30 dicembre 2015

INVESTIGANDO IL FUTURO: Un "pericolo incombente" sarà capace di ri-unire la UE? La Storia potrebbe ripetersi?

L’Europa, i polli di Juncker e il pericolo di un declino glaciale

Più che in qualsiasi altro momento dalla sua creazione nel 1957 con il Trattato di Roma, l'Europa appare vulnerabile nell'arco dei prossimi 12-24 mesi a una successione di colpi terribili e di turbamenti. Tutti sono potenzialmente fatali per l'unità della Ue – non ultimo il referendum nel Regno Unito, previsto per la fine del 2017, sull'opportunità di rimanere nell'Unione di Tony Barber - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/vX86hu

oppure vedi l'articolo per intero al link seguente :

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-12-23/l-europa-polli-juncker-e-pericolo-un-declino-glaciale-182357.shtml?uuid=ACLaREzB

martedì 29 dicembre 2015

venerdì 25 dicembre 2015

UNA CARO: Significato e riferimenti negli studi religiosi

Il significato dell'espressione "Una Caro" è di fondamentale importanza nel campo morale, dogmatico e canonico relativi al matrimonio. Il concetto di "una sola carne" ("una caro" in latino) implica l'unità specifica, esclusiva e indissolubile tra marito e moglie, iscritto per volontà divina nella natura umana, che significa e rende presente la misteriosa unione tra Cristo e la Chiesa.

Di seguito si riporta un importante riferimento :

"itaque iam non sunt duo sed una caro quod ergo Deus coniunxit homo non separe" (Matteo 19.6)
"così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi"


sabato 19 dicembre 2015

DAL SOLE 24ORE del 19/12/2015 : PER UN RILANCIO DELL'EUROPA?

La più grande banca privata, Deutsche Bank, è stata coinvolta in tutti gli scandali finanziari del mondo ed è risultata la più multata dalle autorità di controllo di diversi Paesi

venerdì 11 dicembre 2015

CORRELAZIONE TRA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE E DIFFUSIONE DI PARTITI RADICALI E ANTIEUROPEISTI

Questa correlazione mostrata nel grafico in calce (ripreso dal Sole 24 Ore) non è una novità ed è logica. Ma, il punto è come mai le istituzioni europee che dovrebbero armonizzare le politiche nazionali in base ai dati della disoccupazione giovanile - che hanno mostrato tendenze preoccupanti non solo nel mezzo della crisi, ma anche in periodi antecedenti - non sono riuscite, in un periodo più lungo di un decennio, ad attuare politiche di contrasto di questo fenomeno. I paesi del sud europeo, più colpiti dalla crisi, sono affetti anche dalla piaga del precariato e della disoccupazione giovanile intellettuale. I giovani europei del sud emigrano non più per lavori di eccellenza, ma per un normale lavoro di sopravvivenza, rinunciando spesso al lavoro intellettuale cui credevano di essere destinati. Questa situazione si riflette in una grave delusione per loro stessi, le loro famiglie e per lo stato che li educa e che hanno profuso inutilmente risorse al riguardo, visto che i benefici eventuali ricadono altrove. Occupazione dal settore industriale italiano nei termini in cui si era abituati in passato, sembra proprio che non si possa attendere, visto che si parla ormai di distruzione vera e propria di circa il 40% della capacità produttiva nazionale, che non ha speranza di essere rimpiazzata. Forse neanche una vera guerra convenzionale poteva "fare di meglio". Le responsabilità non sono soltanto delle politiche europee, però, perché esse vanno condivise anche con la politica nazionale nostrana, inerme per un lungo periodo, come se il problema non gli appartenesse. Oggi come oggi, chi può pretendere da gente che subisce un simile trattamento gli stessi sentimenti europeisti che hanno caratterizzato e caratterizzano tuttora le precedenti generazioni di Italiani?
In mancanza di provvedimenti non si potrà che prendere atto di un ennesimo fallimento delle politiche di armonizzazione europee e della crisi di fiducia e di rappresentanza anche nelle istituzioni nazionali che attraversa trasversalmente l'Europa. I teorici dell'impiego della forza, in termini diretti o manipolativi, attraverso anche il "management by fear", potranno essere certi che non tutti si piegheranno e allora sarà scontro sociale generalizzato.
Titoli di questo genere che mettono in conto la guerra civile (mostrato qui in basso e ripreso anch'esso dal Sole 24 Ore) richiederebbero almeno l'amore della verità, perché a quel punto non sarebbe stata l'estrema destra a condurre la Francia alla guerra civile, ma l'abuso della pazienza della povera gente che si è perpetrato e si sta tuttora perpetrando a Bruxelles e nelle capitali dell'Unione Europea.

Valls: l’estrema destra in Francia «può condurre alla guerra civile»

lunedì 7 dicembre 2015

DALL’ITALIA NUOVO PONTE TRA EUROPA E AFRICA/M.O. DI LAVORO E DI PACE

Il 20/11/2015 si è svolto ad Assisi - sotto il patrocinio del Sacro Convento e della Flaei/CISL - il Seminario :

DALL’ITALIA NUOVO PONTE
TRA EUROPA E AFRICA/M.O. DI LAVORO E DI PACE

dove sono intervenuti rappresentanti del Sacro Convento, il Sindaco ed il Vescovo (Mons. Sorrentino) della città di Assisi e sono state presentate dal Comitato CIVILTA' DELL'AMORE una serie di relazioni sui temi delle migrazioni, dello sviluppo e della pace, disponibili al seguente link :
http://www.civiltadellamore.org/stampa15/CDA-e05-15.htm
Mentre è stata apprezzata la decisione UE di istituire un Fondo di sostegno allo sviluppo dell'Africa di 1,8 miliardi di euro (da UE) + 1,8   miliardi di euro (da Stati Membri), è stato fatto rilevare che le spese per armamenti sono globalmente, in proporzione, mille volte superiori al Fondo. Ragion per cui un mondo di pace è concepibile solo attraverso il disarmo e quindi un'inversione di detta proporzione.

La stessa sera si è svolta una veglia di preghiera per la pace.

SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO - “Cooperazione virtuosa tra Regioni meridionali e Stato”.

Il 2/12/2015 si è tenuto il Seminario  organizzato dalla SVIMEZ sul tema “Cooperazione virtuosa tra Regioni meridionali e Stato”.
L’ascolto delle illustri personalità intervenute ha fornito molti spunti di riflessione e considerazioni, alcune delle quali si riportano qui di seguito.
Parlare oggi di una previsione di crescita del PIL 2015 del nostro Paese  di 0,8% oppure dello 0,9% non fa molta differenza, ma la differenza la fa certamente lo 0,1% che sembra caratterizzare le regioni del Mezzogiorno nel loro complesso. Ciò significa che :
  • a)      Se questo tasso di crescita fosse mantenuto nel tempo, per tornare ai livelli di ricchezza antecedenti al 2007 - rispetto ai quali si è perso un quarto dell’industria nazionale e circa il 10% del PIL – ci vorrebbe più di un decennio;
  • b)      Se questo differenziale di  crescita tra il Paese e le Regioni del Mezzogiorno fosse mantenuto per 10 anni la ricchezza del Paese crescerebbe di un fattore 2 rispetto alle Regioni del Mezzogiorno scavando ancora più profondamente il solco di differenze oggi esistenti.
  • c)       I rapporti ISTAT e Censis confermano un paese in “stasi da letargo” dove la crescita è esclusivamente affidata all’iniziativa dei singoli e dove nel Mezzogiorno il 30% delle famiglie non riescono ad arrivare alla fine del mese.

Questi dati, oltre a riproporre interrogativi sull’attuale modello di sviluppo esponenziale, di fatto necessario in una logica di sostenibilità dei debiti sovrani (si ricordi che il debito aumenta automaticamente quando il tasso reale di crescita è inferiore al tasso reale di inflazione); oltre a riaprire interrogativi sulla crisi finanziaria del 2007 e sulla sua gestione e conseguenze per i paesi  del mezzogiorno europeo, impongono il riconoscimento della “straordinarietà” della situazione contingente, che non può solo essere affidata e risolta da Organismi Regionali con personalità giuridica, o autonomia gestionale finalizzata all’utilizzo di fondi europei per lo sviluppo e la coesione.  Si è giunti anche a sperare che la Consip, nata per marginalità e standard, possa avere un qualche carattere risolutivo in programmi che evidentemente portano i caratteri della straordinarietà. Bisognerebbe, piuttosto riconoscere il fallimento di ogni politica di sviluppo e coesione a partire dal 2000, anche perché le politiche “ordinarie” attuate hanno prodotto e producono tuttora “divari”, vengono programmate tardivamente nel bel mezzo dei periodi di implementazione cui si riferiscono, si attuano in maniera diluita per ritardi (specie progettuali, di committenza e autorizzativi) e si mostrano nei fatti di esigua efficacia per gli scopi cui sono destinate.
Voci unanimi sembrano attestare che nella loro autonomia decisionale le imprese a partecipazione pubblica abbiano fatto veramente poco per il Mezzogiorno e a simbolo tra esse assurge l’inamovibilità dei  tempi di percorrenza dei treni diretti al sud, che mostrano sempre le stesse durate da decenni a questa parte. Ma, c’è anche chi evidenzia come l’attestazione di tutto allo Stato in tema di energia debba essere tema di attenta riflessione, perché oggi la questione meridionale è questione energetica che si caratterizza per una mancata sussidiarietà e bilateralità specie in tema di concessioni estrattive.
Stante l’attuale situazione, tutto ciò riconduce al rischio di una Governance impossibile su qualunque master-plan che l’Esecutivo si accinge a varare.
Infatti, nel retroterra di questa situazione si rispecchia una segmentazione istituzionale e  una parcellizzazione, se non talvolta frantumazione, delle strutture dello Stato, dove la proliferazione di soggetti giuridici pubblici rende sfuggente e talvolta sconosciuta l’organicità statuale al punto da doverla considerare compromessa e necessitante di un processo di mappatura e ricomposizione interna.
L’incremento dell’efficienza degli attori in campo è divenuto strumentale alle attuali tendenze del rafforzamento  amministrativo. Così, in un contesto di mancata integrazione degli specialismi e poco chiara attribuzione delle responsabilità,  la “capacità amministrativa” si trasforma di fatto in “blocco della spesa”, mentre il “rafforzamento amministrativo” piuttosto che puntare a coltivare un funzionariato di competenze stabili si orienta ad una assistenza tecnica deformata che è propria delle politiche aziendali di outsourcing. In tal modo prevale la tendenza ad affidare alla tecnologia informatica - all’insegna dell’innovazione, ma in modo destrutturato - le dubbie possibilità di una soluzione, insieme ad evidenti speranze di salvezza che in realtà non può offrire, ma che comportano un oneroso dispendio di risorse.
Permane, dunque, l’assenza e la centralità di un motore per la crescita che aldilà delle discussioni di merito deve ruotare intorno alla necessità di ripresa degli investimenti e ripresa della domanda che non decolla; permane la necessità di un recupero del gap strutturale tra sud e nord,  specie attraverso la logistica e il sostegno alla produzione e tutti i problemi sembrano convergere verso un unico focus : l’EUROPA.
Si giunge così ad ipotizzare da parte di alcuni che IL SUD SIA MORTO DI DEVOLUTION  E DI FEDERALISMO, mentre altri non formulano ipotesi, ma affermano in modo deterministico che IL SUD E’ MORTO DI EUROPA.
Ci si chiede se non sia il solito gioco di cattura del consenso che tanto è costato al mancato bene comune di tutto il Paese. E’ questo il bene da recuperare, senza il quale ogni sviluppo non è necessariamente progresso.



martedì 1 dicembre 2015

I DERIVATI SONO RICCHEZZA VERA ? LA BOLLA DERIVATI SEMBRA NON PREOCCUPARE LE BORSE!


Un interessante articolo del Sole24ore sui derivati
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2015-11-30/se-quelle-30-banche-valgono-76percento-pil-mondiale-211614.shtml?uuid=AC2wqSkB
Stranamente le grandi potenze economiche europee sono molto più esposte dell'Italia al rischio derivati, ma i "Mercati" sembrano non percepirlo e alcuni osservatori si focalizzano ancora - forse strumentalmente - sul rischio dei "debiti sovrani", ma del vero rischio che comportano i derivati in molti ne parlano malvolentieri.
Basta dare un'occhiata a questi grafici per rendersi conto della situazione :
http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/ILSOLE24ORE/Online/_Oggetti_Correlati/Documenti/Finanza%20e%20Mercati/2015/11/tabelle.pdf
Secondo quanto riportato da autorevoli quotidiani – sebbene il valore netto sia  molto inferiore -  si  calcola che l'intero mercato di questi strumenti derivati ammonti (dati 2012) a 647 mila miliardi di dollari di valore nominale, 14 volte più grande della capitalizzazione di tutte le Borse dell’intero globo e nove volte più grande del Pil del mondo intero. Si tratta di cifre enormi, di ricchezza avulsa dall'economia reale, che non potrà mai essere esigibile interamente in alcun modo, aldilà della capacità degli Stati (tutta da dimostrare!) di ripagare i propri debiti sovrani . 
Non sembra una contraddizione che “i Mercati” siano così preoccupati dei “debiti sovrani” al punto da emettere, attraverso le agenzie di rating, classifiche e raccomandazioni su chicchessia, e poi ignorare il problema del volume spropositato dei derivati? Come commenta in un vecchio articolo del 2012 il Sole24Ore “si tratta in realtà di contratti che sono stati inventati con uno scopo nobile: "gestire i rischi”. La stragrande maggioranza di questi strumenti, pari a 504mila miliardi di dollari, è costruita su tassi d'interesse: serve dunque a chi vuole trasformare un finanziamento a tasso fisso in variabile, o viceversa. Il resto è dato da derivati su valute (63mila miliardi), su azioni (6mila) e su materie prime (3mila). Ci sono poi i credit default swap (che valgono 28mila miliardi di valore nominale): si tratta di polizze assicurative, usate dagli investitori per coprirsi dal rischio di fallimento di qualunque debitore al mondo.  
Insomma: non esisterebbero derivati "cattivi". Cattivo, però, può esser l'uso che ne viene fatto. (vedi l'articolo di Morya Longo - Il Sole 24 Ore - su http://24o.it/YK81E )”
Viene voglia di dire che i derivati sono così sfuggenti e aleatori che la ricchezza che essi rappresentano può essere ricchezza vera solo in un mondo in pace e fuori da ogni crisi; altrimenti corrono il rischio di essere ricchezza  virtuale ed inesigibile.