Il Magistero Petrino ai nostri
giorni rammenta al mondo – non solo cattolico - che “I soldi non possono
servire a fare altri soldi”, sottintendendo che non è la finanza che può creare
ricchezza collettiva, ma l’intrapresa, il lavoro. Niente di diverso, in fondo,
da ciò che l’etica calvinista ci andava ripetendo dai suoi primi albori e che
Max Weber aveva magistralmente analizzato nel suo saggio su “L’Etica
Protestante e Lo Spirito del Capitalismo”. Ma, lo storico spirito calvinista degli
albori (quasi monacale) – che ha fatto grande l’America e con essa la civiltà occidentale - è
ancora vivo, attivo e presente nel mondo di oggi? Oppure vi è stata una lenta e
progressiva deriva da quei valori primordiali, che non sono mai stati assenti
dall'insegnamento cristiano in generale?
Spesso dimentichiamo i grandi
contributi “premonitori” che la cultura nordamericana ha dato all'odierna
civiltà occidentale, anche fornendo strumenti di analisi e di indagine della
realtà sociale che stiamo vivendo nei nostri anni.
Tra i tanti esempi disponibili,
anche noti al grande pubblico, nel suo capolavoro “Hidden Persuaders”, Vance
Packard ci aveva fatto intravedere, tra gli anni ’50 e i ‘60, le tecniche psicosociali
di marketing e persuasive di cui si sarebbe poi avvalso non soltanto il mondo
commerciale, ma la “società dell’immagine” che allora si profilava all'orizzonte
nel suo complesso. Avvalimento mirante non certo all'edificazione delle masse,
bensì al loro profilo di “meri consumatori”.
Non di meno Marshall Mc Luan
prevedendo gli sviluppi della tecnologia elettronica aveva previsto “Il
villaggio globale” (vedasi ad esempio “Le Vie della Comunicazione”), ossia l’insieme
delle peculiarità di comunicazione in tempo reale che caratterizza il mondo
odierno e al tempo stesso quell’unità socio-virtuale ancora in itinere che ha
innescato “la globalizzazione”. Insomma, un mondo in cui “il medium è il
messaggio” si evidenziava ai tempi di Mc Luan per la radio e la televisione e ciò vale
ancora oggi per il web, l’I.T., la telefonia multimediale e mobile. Quindi, eravamo
stati resi edotti, preavvertiti, e oggi “il telefonino” è il “messaggio” per il
mondo in cui viviamo. Nulla possiamo più fare senza il suo ricorso e soccorso:
in banca, per gli acquisti, per orientarci e tornare a casa quando ci siamo
smarriti, per far sentire la nostra vicinanza ad un amico o parente lontano, o
persino a coloro colpiti da un lutto. Per contro, checché se ne dica, dobbiamo
rinunciare alla nostra privacy: siamo costantemente geo-localizzati, ci “mettiamo
in piazza” attraverso i social media, lasciamo costantemente traccia dei nostri
gusti, delle nostre preferenze, dei nostri comportamenti, delle nostre
amicizie, dei nostri valori, che possono essere “ricordati” da un mondo che
dispone di “memoria” illimitata grazie alla tecnologia al silicio. E’ il mondo
dei “Big Data” e della loro analisi. Per aggiunta si incomincia a parlare di una sindrome di rete e di "sleep texting" (invio di messaggi sconclusionati nel dormiveglia di cui al risveglio non si ricorda più nulla). Si comprende in questo modo il potere dell’informazione
e soprattutto della sua gestione che va profilandosi in modo molto problematico nel tempo in cui viviamo.
Sarà forse mai per tutto questo
che quel Magistero sopra nominato ricorda ai suoi consacrati : “Non accada di
guardare lo schermo del cellulare più degli occhi del fratello, o di fissarci
sui nostri programmi più che nel Signore”?
Non lo sappiamo, possiamo solo
arguire, ma sappiamo di certo che psicologi e sociologi sembrano concordare sul
fatto che incontrarsi e spendere collettivamente nelle “grandi cattedrali” del commercio mondiale: i grandi magazzini, promuove – detto in chiave freudiana - l’Eros
e rimuove il Thanatos, trovando così gratificazione
e limite la nostra vita umana di tutti i giorni. Per esempio,
dinanzi ai superalcolici d'importazione schierati in raffinate confezioni nei grandi supermercati, fatti oggetto di
dono in stagioni festive, i nostri tradizionali rosolio, marsala, malvasia, come pure vin santo e tozzetti, evocano
ricordi nella mente dei vecchi che non vogliono rassegnarsi al mutamento dei
tempi. Così, dinanzi alle dimenticate tradizioni il loro ricordo evoca formali riunioni
casalinghe di anziane pettegole, oppure soddisfazione serale di un capofamiglia “con i
baffi”, come pure conviviali momenti di incontro o folklore riesumato (per motivi
commerciali) in ristoranti o trattorie locali.
Allo stesso modo l’evidente attecchimento
tra la gente del “Montecarlo dei Poveri” sconforta; si tratta di quei giochi d’azzardo
d’importazione che nulla hanno a che fare con le nostre tradizioni: corse,
bingo, “Gratta e Vinci” et similia , cui molti pensionati,
casalinghe e spesso “inoccupati” o gente non certo con una vita spensierata, volgono
oggi i loro reiterati tentativi (e le loro già magre finanze) per migliorare
attraverso la fortuna esistenze, perlopiù, tutt'altro che invidiabili. La
tradizionale “passatella” con le carte da gioco - rito celebrato
particolarmente dagli anziani, nelle osterie o nei bar sulle piazze principali
o nei cantucci dei nostri paesini dinanzi ad un vassoio pieno di bicchieri di buon
vino, o di birra con la gazzosa, per stabilire chi fosse “padrone” e chi “sotto”
con diritto di bere e far bere anche gli amici o talvolta “nemici” partecipanti
al gioco – sembra ormai solo un ricordo da canuti, tristemente e
inesorabilmente rimpiazzato dalla visione di un “gioco solitario” che va
celebrandosi nei bar, tabaccai, sale da gioco, grandi magazzini, da parte di
gente, che a detta dei media, soffre spesso di assuefazione e difficoltà d’astinenza
da questi nuovi “trastulli” portati dalla tecnologia informatica, dall’ “omogeneizzazione”
in atto, in definitiva dalla ludica “civiltà contemporanea”.
E qui vengono in mente esortazioni
apparentemente diverse e opposte che quel Magistero pur diffonde, ma che
meritano attenzione. Da un lato si dice:
“non c’è avvenire senza…incontro tra anziani e giovani; non c’è crescita senza
radici e non c’è fioritura senza germogli nuovi”; con gli anziani i giovani
trovano «le radici del popolo» e «le radici della fede»; d'altro canto si
raccomanda di evitare “il «misticismo isolato» e il «sentimentalismo devoto»; la
«paralisi della normalità» e «la sterile retorica dei “bei tempi passati”», di
non «farsi risucchiare in una vita asfittica, dove le lamentele, l’amarezza e
le inevitabili delusioni hanno la meglio», perché è la nostalgia che uccide l’anima.
Resta in ogni caso in questo
nostro tempo una sproporzionata frenesia del vivere che «induce a chiudere
tante porte all'incontro», spesso per paura, mentre rimangono «sempre aperte le
porte dei centri commerciali e le connessioni di rete».
E' ormai una domanda esistenziale: dove stiamo andando?