lunedì 7 dicembre 2015

SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO - “Cooperazione virtuosa tra Regioni meridionali e Stato”.

Il 2/12/2015 si è tenuto il Seminario  organizzato dalla SVIMEZ sul tema “Cooperazione virtuosa tra Regioni meridionali e Stato”.
L’ascolto delle illustri personalità intervenute ha fornito molti spunti di riflessione e considerazioni, alcune delle quali si riportano qui di seguito.
Parlare oggi di una previsione di crescita del PIL 2015 del nostro Paese  di 0,8% oppure dello 0,9% non fa molta differenza, ma la differenza la fa certamente lo 0,1% che sembra caratterizzare le regioni del Mezzogiorno nel loro complesso. Ciò significa che :
  • a)      Se questo tasso di crescita fosse mantenuto nel tempo, per tornare ai livelli di ricchezza antecedenti al 2007 - rispetto ai quali si è perso un quarto dell’industria nazionale e circa il 10% del PIL – ci vorrebbe più di un decennio;
  • b)      Se questo differenziale di  crescita tra il Paese e le Regioni del Mezzogiorno fosse mantenuto per 10 anni la ricchezza del Paese crescerebbe di un fattore 2 rispetto alle Regioni del Mezzogiorno scavando ancora più profondamente il solco di differenze oggi esistenti.
  • c)       I rapporti ISTAT e Censis confermano un paese in “stasi da letargo” dove la crescita è esclusivamente affidata all’iniziativa dei singoli e dove nel Mezzogiorno il 30% delle famiglie non riescono ad arrivare alla fine del mese.

Questi dati, oltre a riproporre interrogativi sull’attuale modello di sviluppo esponenziale, di fatto necessario in una logica di sostenibilità dei debiti sovrani (si ricordi che il debito aumenta automaticamente quando il tasso reale di crescita è inferiore al tasso reale di inflazione); oltre a riaprire interrogativi sulla crisi finanziaria del 2007 e sulla sua gestione e conseguenze per i paesi  del mezzogiorno europeo, impongono il riconoscimento della “straordinarietà” della situazione contingente, che non può solo essere affidata e risolta da Organismi Regionali con personalità giuridica, o autonomia gestionale finalizzata all’utilizzo di fondi europei per lo sviluppo e la coesione.  Si è giunti anche a sperare che la Consip, nata per marginalità e standard, possa avere un qualche carattere risolutivo in programmi che evidentemente portano i caratteri della straordinarietà. Bisognerebbe, piuttosto riconoscere il fallimento di ogni politica di sviluppo e coesione a partire dal 2000, anche perché le politiche “ordinarie” attuate hanno prodotto e producono tuttora “divari”, vengono programmate tardivamente nel bel mezzo dei periodi di implementazione cui si riferiscono, si attuano in maniera diluita per ritardi (specie progettuali, di committenza e autorizzativi) e si mostrano nei fatti di esigua efficacia per gli scopi cui sono destinate.
Voci unanimi sembrano attestare che nella loro autonomia decisionale le imprese a partecipazione pubblica abbiano fatto veramente poco per il Mezzogiorno e a simbolo tra esse assurge l’inamovibilità dei  tempi di percorrenza dei treni diretti al sud, che mostrano sempre le stesse durate da decenni a questa parte. Ma, c’è anche chi evidenzia come l’attestazione di tutto allo Stato in tema di energia debba essere tema di attenta riflessione, perché oggi la questione meridionale è questione energetica che si caratterizza per una mancata sussidiarietà e bilateralità specie in tema di concessioni estrattive.
Stante l’attuale situazione, tutto ciò riconduce al rischio di una Governance impossibile su qualunque master-plan che l’Esecutivo si accinge a varare.
Infatti, nel retroterra di questa situazione si rispecchia una segmentazione istituzionale e  una parcellizzazione, se non talvolta frantumazione, delle strutture dello Stato, dove la proliferazione di soggetti giuridici pubblici rende sfuggente e talvolta sconosciuta l’organicità statuale al punto da doverla considerare compromessa e necessitante di un processo di mappatura e ricomposizione interna.
L’incremento dell’efficienza degli attori in campo è divenuto strumentale alle attuali tendenze del rafforzamento  amministrativo. Così, in un contesto di mancata integrazione degli specialismi e poco chiara attribuzione delle responsabilità,  la “capacità amministrativa” si trasforma di fatto in “blocco della spesa”, mentre il “rafforzamento amministrativo” piuttosto che puntare a coltivare un funzionariato di competenze stabili si orienta ad una assistenza tecnica deformata che è propria delle politiche aziendali di outsourcing. In tal modo prevale la tendenza ad affidare alla tecnologia informatica - all’insegna dell’innovazione, ma in modo destrutturato - le dubbie possibilità di una soluzione, insieme ad evidenti speranze di salvezza che in realtà non può offrire, ma che comportano un oneroso dispendio di risorse.
Permane, dunque, l’assenza e la centralità di un motore per la crescita che aldilà delle discussioni di merito deve ruotare intorno alla necessità di ripresa degli investimenti e ripresa della domanda che non decolla; permane la necessità di un recupero del gap strutturale tra sud e nord,  specie attraverso la logistica e il sostegno alla produzione e tutti i problemi sembrano convergere verso un unico focus : l’EUROPA.
Si giunge così ad ipotizzare da parte di alcuni che IL SUD SIA MORTO DI DEVOLUTION  E DI FEDERALISMO, mentre altri non formulano ipotesi, ma affermano in modo deterministico che IL SUD E’ MORTO DI EUROPA.
Ci si chiede se non sia il solito gioco di cattura del consenso che tanto è costato al mancato bene comune di tutto il Paese. E’ questo il bene da recuperare, senza il quale ogni sviluppo non è necessariamente progresso.



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