Il 2/12/2015 si è tenuto il
Seminario organizzato dalla SVIMEZ sul
tema “Cooperazione virtuosa tra Regioni meridionali e Stato”.
L’ascolto delle illustri
personalità intervenute ha fornito molti spunti di riflessione e
considerazioni, alcune delle quali si riportano qui di seguito.
Parlare oggi di una previsione di
crescita del PIL 2015 del nostro Paese
di 0,8% oppure dello 0,9% non fa molta differenza, ma la differenza la
fa certamente lo 0,1% che sembra caratterizzare le regioni del Mezzogiorno nel
loro complesso. Ciò significa che :
- a) Se questo tasso di crescita fosse mantenuto nel tempo, per tornare ai livelli di ricchezza antecedenti al 2007 - rispetto ai quali si è perso un quarto dell’industria nazionale e circa il 10% del PIL – ci vorrebbe più di un decennio;
- b) Se questo differenziale di crescita tra il Paese e le Regioni del Mezzogiorno fosse mantenuto per 10 anni la ricchezza del Paese crescerebbe di un fattore 2 rispetto alle Regioni del Mezzogiorno scavando ancora più profondamente il solco di differenze oggi esistenti.
- c) I rapporti ISTAT e Censis confermano un paese in “stasi da letargo” dove la crescita è esclusivamente affidata all’iniziativa dei singoli e dove nel Mezzogiorno il 30% delle famiglie non riescono ad arrivare alla fine del mese.
Questi dati, oltre a riproporre
interrogativi sull’attuale modello di sviluppo esponenziale, di fatto
necessario in una logica di sostenibilità dei debiti sovrani (si ricordi che il
debito aumenta automaticamente quando il tasso reale di crescita è inferiore al
tasso reale di inflazione); oltre a riaprire interrogativi sulla crisi
finanziaria del 2007 e sulla sua gestione e conseguenze per i paesi del mezzogiorno europeo, impongono il
riconoscimento della “straordinarietà” della situazione contingente, che non
può solo essere affidata e risolta da Organismi Regionali con personalità
giuridica, o autonomia gestionale finalizzata all’utilizzo di fondi europei per
lo sviluppo e la coesione. Si è giunti
anche a sperare che la Consip, nata per marginalità e standard, possa avere un
qualche carattere risolutivo in programmi che evidentemente portano i caratteri
della straordinarietà. Bisognerebbe, piuttosto riconoscere il fallimento di
ogni politica di sviluppo e coesione a partire dal 2000, anche perché le
politiche “ordinarie” attuate hanno prodotto e producono tuttora “divari”,
vengono programmate tardivamente nel bel mezzo dei periodi di implementazione cui
si riferiscono, si attuano in maniera diluita per ritardi (specie progettuali,
di committenza e autorizzativi) e si mostrano nei fatti di esigua efficacia per
gli scopi cui sono destinate.
Voci unanimi sembrano attestare
che nella loro autonomia decisionale le imprese a partecipazione pubblica
abbiano fatto veramente poco per il Mezzogiorno e a simbolo tra esse assurge
l’inamovibilità dei tempi di percorrenza
dei treni diretti al sud, che mostrano sempre le stesse durate da decenni a
questa parte. Ma, c’è anche chi evidenzia come l’attestazione di tutto allo
Stato in tema di energia debba essere tema di attenta riflessione, perché oggi
la questione meridionale è questione energetica che si caratterizza per una
mancata sussidiarietà e bilateralità specie in tema di concessioni estrattive.
Stante l’attuale situazione,
tutto ciò riconduce al rischio di una Governance impossibile su qualunque
master-plan che l’Esecutivo si accinge a varare.
Infatti, nel retroterra di questa
situazione si rispecchia una segmentazione istituzionale e una parcellizzazione, se non talvolta
frantumazione, delle strutture dello Stato, dove la proliferazione di soggetti
giuridici pubblici rende sfuggente e talvolta sconosciuta l’organicità statuale
al punto da doverla considerare compromessa e necessitante di un processo di
mappatura e ricomposizione interna.
L’incremento dell’efficienza
degli attori in campo è divenuto strumentale alle attuali tendenze del
rafforzamento amministrativo. Così, in
un contesto di mancata integrazione degli specialismi e poco chiara
attribuzione delle responsabilità, la
“capacità amministrativa” si trasforma di fatto in “blocco della spesa”, mentre
il “rafforzamento amministrativo” piuttosto che puntare a coltivare un
funzionariato di competenze stabili si orienta ad una assistenza tecnica
deformata che è propria delle politiche aziendali di outsourcing. In tal modo
prevale la tendenza ad affidare alla tecnologia informatica - all’insegna
dell’innovazione, ma in modo destrutturato - le dubbie possibilità di una
soluzione, insieme ad evidenti speranze di salvezza che in realtà non può
offrire, ma che comportano un oneroso dispendio di risorse.
Permane, dunque, l’assenza e la
centralità di un motore per la crescita che aldilà delle discussioni di merito
deve ruotare intorno alla necessità di ripresa degli investimenti e ripresa
della domanda che non decolla; permane la necessità di un recupero del gap
strutturale tra sud e nord, specie
attraverso la logistica e il sostegno alla produzione e tutti i problemi
sembrano convergere verso un unico focus : l’EUROPA.
Si giunge così ad ipotizzare da
parte di alcuni che IL SUD SIA MORTO DI DEVOLUTION E DI FEDERALISMO, mentre altri non formulano
ipotesi, ma affermano in modo deterministico che IL SUD E’ MORTO DI EUROPA.
Ci si chiede se non sia il solito
gioco di cattura del consenso che tanto è costato al mancato bene comune di
tutto il Paese. E’ questo il bene da recuperare, senza il quale ogni sviluppo
non è necessariamente progresso.
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