venerdì 10 giugno 2016

LAVORO: NEL PRIMO TRIMESTRE DEL 2016 242 MILA OCCUPATI IN PIU’? Qualche precisazione!

Tutti i quotidiani nazionali hanno sottolineato in questi giorni, a grandi titoli, che nel mondo del lavoro nel primo trimestre 2016 si sono avuti 242 MILA OCCUPATI IN PIU’. Anche la Redazione del quotidiano on-line In Terris (d’ispirazione cristiana), in modo piuttosto asettico e senza consentire commenti ai lettori, ha trattato l’argomento e come sottotitolo si ritrova il seguente :
L'Istat: "Gli indicatori di mercato segnano un miglioramento". Renzi: "Cancellare l'articolo 18 ha permesso di assumere"
Senza voler entrare nel merito del dibattito sulla cancellazione dell’articolo 18, cui il capo del governo sembra comunque attribuire poteri taumaturgici per la cura della disoccupazione in Italia, si dovrebbe far notare che :
1)      242 mila occupati in più sono “pannicelli caldi” per curare una malattia grave che mostra oltre 2,5 milioni di disoccupati nel nostro Paese, gran parte dei quali ingrossano le file della disoccupazione giovanile ed intellettuale, senza contare i delusi e sconcertati che ormai un lavoro hanno smesso di cercarlo e che porterebbe molto oltre le cifre ufficiali sulla disoccupazione.

2)      Non viene mai sottolineato abbastanza che gran parte degli occupati usufruiscono di posizioni di lavoro piuttosto precarie ed è ormai divenuto fatto ricorrente trovare nel precariato geometri che fanno i restauratori di mobili, laureati in scienze della comunicazione che fanno i cuochi, archeologi che svolgono mansioni ambulanti di promozione di grandi marche di sigarette,  laureati in scienze politiche che vendono in strada abbonamenti a riviste, laureati in ingegneria che sono costretti a fare i barman o gli operatori di call center. Certamente tutti lavori onorevoli, anche se precari e a più basso salario rispetto alla media, ma non certo ciò che loro stessi, le loro famiglie e lo Stato che ha investito sui loro studi si sarebbero potuto legittimamente aspettare.

3)      L’assenza di una vera politica da parte dello Stato per i disoccupati che l’automazione e le nuove tecnologie  producono in gran numero, a cominciare dal settore bancario  (si pensi a impiegati di banca sostituiti dall’home banking) e commerciale (si pensi a cassiere sostituite da casse automatizzate), per finire a quello industriale e dei servizi; mentre autorevoli esponenti delle istituzioni nazionali individuano grottescamente spazi di occupazione nel settore agricolo già conteso da manodopera “a perdere” costituita da poveri diseredati ammucchiati in tendopoli e baraccopoli per impieghi stagionali per mera sopravvivenza a livelli offensivi della dignità umana.

4)      Si assiste anche alla generalizzazione sistemica della partita IVA (o anche vaucher) ai lavoratori precari e sottopagati, che  se da un lato offre il pregio di sgravare e snellire le imprese dai costi fissi e dalla gestione del personale, dall’altro non consente alla gente che lavora di programmare un minimo il proprio futuro, al punto che socialmente si generalizza il modello della “convivenza” invece del modello “famigliare” essendo lo stesso matrimonio divenuto un “lusso per persone abbienti” a detta dei diretti interessati che vi aspirano.  Per dipiù, veri specialisti, professionisti a partita IVA impiegati in questa configurazione per anni da aziende che poi falliscono, non hanno diritto ad alcuna indennità di disoccupazione in attesa di un ricollocamento.

Ogni miglioramento dell’occupazione è certamente una buona notizia, ma va contestualizzata nella realtà che viviamo senza puntare su effetti suggestivi per migliorare il consenso politico all’azione di governo. I governi vanno giudicati alla fine del loro mandato per ciò che hanno compiuto e non per le suggestioni che possono aver creato. Volenti o nolenti.

Soprattutto non va mai dimenticato che la promozione della famiglia non implica solo la salvaguardia e protezione della vita del feto sin dal grembo materno, quindi  in termini di diffusione di cultura anti-abortistica, bensì anche e soprattutto il riconoscimento della dignità della vita in termini più generali affinché si possano diffondere condizioni di vita dignitose che solo un serio lavoro può dare; condizioni che preparino ad una procreazione responsabile, in modo che quel nascituro possa essere accolto cresciuto ed educato nell’ambito di una famiglia “normale” e sostenuto da un credo rispettoso della dignità di ogni essere umano.  


Rocco Morelli

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