Sin dai primi rudimenti di catechismo
e lungo tutto il percorso di crescita di un cristiano viene spesso sottolineato
il “valore profetico” delle Sacre Scritture e chi si avvicina ad esse ha anche
modo di ritrovare fatti, episodi, rispondenze, analisi che tendono a confermare
questo tipo di ermeneutica, al punto di percepire il nesso di continuità, quel
filo rosso, quel grande piano salvifico che presenta la tradizione cristiana e
sottende la storia dal momento della creazione sino all’instaurazione del regno messianico. Si
tratta di un messaggio sottile, acuto, ma universale, che tutti possono
comprendere e che non è nascosto, ma anzi destinato ai “piccoli” che, nella
fede, potranno comprenderlo proprio mentre sarà occultato ai “grandi”. Tutto
ciò non toglie, però, che punto oscuro di tutta la catena sequenziale che presentano
i Libri del Canone è e resta l’Ultimo
Libro.
Il Libro dell’Apocalisse, ultimo
libro del Nuovo Testamento, è veramente un Libro difficile. Un lettore
semplice, senza alcuna preparazione teologica, rischia di “perdersi” alla
ricerca di un senso sfuggente e che oscilla tra una generica, mera e rigida
interpretazione letterale, d’impronta millenarista sulla fine dei tempi, e tante
possibili interpretazioni allegoriche, che non si riesce a decidere quanto possano
escludere oppure integrare il significato letterale che se ne può cogliere in
senso stretto. Viene anche il dubbio se un libro di tali contenuti possa essere
destinato a quegli umili di cuore e poveri di spirito esaltati nel Discorso
della Montagna o non sia invece destinato, sebbene non in maniera esclusiva, a
particolari componenti oppure agli
stessi Pastori del Gregge.
Chi ha ricevuto una formazione
tecnico-scientifica e si ponga il problema di comprendere il Libro dell’Apocalisse
non può far a meno di far ricorso, alla fine, anche al Trattato sull’Apocalisse
di Isaac Newton. Quest’opera del grande scienziato e teologo inglese conduce
inevitabilmente ad una interpretazione posta alla base di una storica disputa,
ancora oggi presente in una parte del mondo protestante, che vede nell’Apocalisse
la caduta della Grande Meretrice identificata con la Chiesa di Roma.
L’argomento di questa breve nota
non vuole, comunque, entrare nel merito di questa difficilissima questione, da
sempre dibattuta a partire dal momento in cui il cristianesimo riformato si è
disperso in tanti rivoli, quanto porre l’accento su una singolare e netta posizione
dello scienziato che si scopre nel corso del citato trattato: la negazione
della natura trinitaria attribuita al Dio cristiano dal concilio di Nicea; elemento
esso stesso di condanna e caduta, secondo Newton, della Chiesa di Roma.
Affascina, però, pensare che proprio
Newton che propendeva per una teoria corpuscolare della luce, in
contrapposizione con Huygens, che invece propendeva per una teoria ondulatoria,
non abbia potuto compiacersi dei risultati cui è giunto, molto dopo, De Broglie
nella sua teoria duale della luce, mettendo praticamente d’accordo le due diverse impostazioni
che sembravano contrapposte. La luce, infatti, come è accertato dalla Fisica
moderna, in alcuni fenomeni mostra il suo aspetto corpuscolare, mentre in altri quello ondulatorio. Ma, in
entrambi i casi, la luce si manifesta come fenomeno energetico o comunque ad
esso riconducibile. Nel caso in cui emerge l’aspetto corpuscolare della luce
entrano in gioco le masse, le velocità delle particelle in interazione; mentre,
invece, quando emerge l’aspetto ondulatorio entrano in gioco la frequenza della
luce e la costante di Planck. In ogni caso tutte e due le manifestazioni sono
riconducibili a energia che si manifesta nell’uno e nell’altro modo.
Oggi in scritti di teologia (vedi
ad esempio Michael Mireau (1998) - God the Creator : Developing a Trinitarian
Understanding of Creation) si sostiene che lo Spirito (amore che esprime il
legame trinitario) è il potere unitivo all’interno della creazione e lo spazio
in cui le creature restano distinte una dall’altra; si parla, in maniera
esplicita ma analogica, del lavoro dello Spirito come campo di forza che tutto
permea e che mantiene ogni parte dell’intera creazione in uno stato di mutua
interazione per condurla verso i propri fini. Tutto questo appare molto
convincente nella sfera macro della realtà, ma appena si giunge al livello
micro, la natura della luce riaffiora e allora ci si domanda se non sia lecita
anche qui una esplicita analogia esplicativa della natura trinitaria. La
particella di luce, il suo relativo pacchetto di onde e l’energia che essi
esprimono, non possono ben rappresentare una triade di un’unica natura
(energetica) pur restando tre distinte entità intimamente connesse?
Newton - che taluni, per tracciarne ed enfatizzarne i
tratti, hanno esageratamente paragonato ad un teologo che incidentalmente si
occupava di fisica – se fosse vissuto ai nostri tempi si sarebbe certamente occupato
di questi argomenti e chissà se le sue argomentazioni intorno alla Trinità non
sarebbero mutate?
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