Massimo Castellani, a 67 anni è
stato ricoverato per terapia neuro-riabilitativa presso l’INI di Grottaferrata
(RM), nel corso del primo semestre 2018 e fino ai primi di luglio dello stesso
anno, per un’ernia del disco che lo costringeva ancora una volta alla sedia a
rotelle. Lo si poteva incontrare lungo i corridoi di questa struttura
ospedaliera, dove si muoveva con la sua sedia a rotelle in maniera
infaticabile, nel bar e nella cappellina, dove attendeva puntualmente alla S.
Messa delle 18,30 per i malati, celebrata dal cappellano Don Gioacchino
talvolta solo per Massimo, e dove egli si intratteneva a lungo nel corso della
mattinata in un silenzio e in una atmosfera di pace che facilitava la
contemplazione e la preghiera. Massimo si mostrava attivo e infaticabilmente
impegnato nella fisioterapia, che come poteva continuava con i suoi metodi e
per proprio conto aldilà del programma fisioterapico che lo riguardava e delle
relative sedute ufficiali cui partecipava puntualmente. Il suo carattere
aperto, gioviale e tenace favoriva il contatto con gli altri e l’instaurazione
di un umano rapporto che facilmente sfociava nel racconto delle reciproche
storie. E la storia di Massimo è davvero stupefacente, ricca di episodi che
hanno apparentemente dell’inverosimile, tuttavia è storia vera, sia perché
Massimo la racconta in spirito di amicizia e verità, sia perché sembra
documentabile anche attraverso testimonianze di altre persone coinvolte.
Nel 1992, a seguito di un
incidente stradale (contro un camion) di cui conserva ancora le fotografie,
Massimo rimase intrappolato nella sua macchina, accartocciata in maniera
spaventosa; per estrarlo dalle lamiere si dovette lavorare per oltre quattro
ore. A guardare le foto che Massimo ancora mostra ci si chiede immediatamente
come si possa uscire vivi da un groviglio di lamiere contorte e pressate in
quel modo in un pacchetto appiattito contro la strada. Né uscì ancora vivo, ma con fratture esposte
plurime su tutti gli arti e diverse parti del corpo che imposero, nell’ospedale
di Anzio, un’operazione durata oltre 13 ore. Ricevette l’Estrema
Unzione, anche grazie ad un sacerdote che si recava (sempre con “un quartino di
vino”) a visitare il proprio padre ricoverato nello stesso ospedale in cui era
ricoverato Massimo. Dopo una ulteriore complicata operazione al braccio (con placca e chiodi), il risveglio post-operatorio Massimo lo descrive come “un
nido di vespe nello stomaco” a causa dell’anestesia accumulata anche nelle immediatamente precedenti operazioni. Il dolore che provava per un’operazione
così complicata e un’anestesia così intensa sfociò in un’emorragia. Massimo ebbe a
quel punto quella che sembra definibile una “esperienza extra corporea” e
dall’alto dove si trovava (il suo spirito?) vide in basso i medici e lo staff
che lo soccorrevano e si vide anche con i capelli insanguinati per il sangue
presumibilmente sversato. Egli riferisce che la quantità di
anestesia somministratagli non permetteva a quel momento ulteriori dosi e
dovendo essere “intubato” i tagli alla gola per permetterlo dovettero essere
eseguiti “a freddo” senza anestesia totale o locale. La rimozione dei tubi fu poi troppo veloce e provocò embolia con perdita di conoscenza che indusse i suoi cari a piangerlo morto. Eppure Massimo, proprio mentre i suoi erano riuniti nella mestizia del momento intorno al suo letto, si risveglia tra solenni risate che egli riferisce essere intrattenibili e di natura nervosa. Insomma, tra diverse sofferenze, seppure con placche e
chiodi, con il tempo Massimo si rimise in piedi e tornò alla vita normale al
punto che un giorno, mentre assisteva - a bordo strada con la sua bimba in
braccio - ad una processione che passava lungo le strade di Anzio il parroco
che lo aveva “unto”, e che era alla testa della processione, riconoscendolo fermò la processione e si
avvicinò a lui sollecitandolo a recarsi in chiesa per una confessione dei
peccati commessi prima dell’incidente subito. A questo episodio Massimo, che lo
considera un “segno”, attribuisce un grande significato, anche se può sembrare
che sottovaluti la sua fede e non ne parli volentieri, ma forse soltanto perché
vuole tenerla nel suo intimo in modo riservato e protetto.
Poco prima del 2001, a Massimo
viene diagnosticato - per precedente trauma cranico subito - un astrocitoma benigno (tumore cerebrale) di 0,5 cm.; ma
egli tra l’intervento operatorio immediato e
i controlli sistematici ogni 6 mesi sceglie quest’ultimi. Purtroppo a
seguito di uno dei controlli successivi, nel 2001 viene operato (nel
Policlinico Umberto I di Roma, dal Prof. Esposito) perché il tumore è evoluto
in modo esponenziale in una dimensione di circa 8 x 5 cm. che induce i medici a
ipotizzare il peggio e valutare una speranza media di vita di 3 mesi. I
successivi esami istologici permettono, infatti, di appurare che si tratta di
un glioblastoma di IV grado, che in base alle attuali conoscenze non lascerebbe
scampo.
Prima dell'operazione, Massimo, da “sofferente di lungo
corso” e forte dei suoi trascorsi, aveva incominciato a partecipare insieme a membri
della sua famiglia a gruppi di preghiera, in special modo orientando la
devozione verso S. Padre Pio da Pietralcina. Oggi Massimo, a 17 anni da quell’episodio,
racconta ancora come sua sorella abbia avuto in sogno - proprio prima ancora dell'operazione - una visione di S.Padre Pio nel
corso della quale ha ricevuto assicurazione sulla guarigione del fratello.
Tutto ciò per molti è solo frutto
della “devozione popolare” associata a un gioco di statistica: per effetto dei
grandi numeri di malati: qualche raro caso di guarigione inspiegabile può anche
verificarsi. Per altri, invece, specie sofferenti, Massimo è divenuto un
esempio e una speranza che “una Via c’è”!
Nell'auspicio che i media vogliano e possano parlare del suo caso "miracoloso", un caro abbraccio e un augurio di guarigione a Massimo, campione di fortezza e portatore di speranza per sé e per gli altri.