sabato 15 settembre 2018

«INSEGNACI A CONTARE I NOSTRI GIORNI E GIUNGEREMO AL CUORE DELLA SAPIENZA» (Salmo 90,12)

«INSEGNACI A CONTARE I NOSTRI GIORNI E GIUNGEREMO AL CUORE DELLA SAPIENZA»
(Salmo 90,12)
Riflessioni su un tema proposto dall’ABI (Associazione Biblica Italiana) per la Settimana Biblica Nazionale 10 -14 settembre 2018

1.     Aspetti introduttivi
Si coglie spontaneamente, in modo evidente, che il versetto proposto, anche se letto fuori dal contesto dell’intero Salmo 90, è una preghiera di un essere caduco, consapevole della  propria finitezza, che si pone  alla ricerca di conoscenza e senso sfuggenti alle sue limitate possibilità di comprensione.
Senza entrare in questioni esegetiche ed ermeneutiche si sottolinea, ad esempio, che le differenze rilevabili nella presentazione del versetto e relativo Salmo su diverse edizioni delle Scritture ampliano, seppure in modo  circoscritto, l’area di significato e di senso che li permea.
La Bibbia CEI 2008[1] (come pure The Jerusalem Bible, che aggiunge il soprattitolo “The Human Condition”[2]) riporta il Salmo 90 in cui questo versetto è inserito come la “Preghiera Di Mosè, uomo di Dio.” e il versetto lo  si ritrova nella forma :
“Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio
Nella versione dell’Edizioni  Paoline 1983, lo stesso Salmo 90, viene titolato “Fragilità dell’Uomo”  e riportato nella forma :
“Insegnaci a valutare i nostri giorni e così potremo offrire  un cuore sapiente”,
mentre in The Jerusalem Bible viene espresso con :
“Teach us to count  how few days we have and so gain wisdom of heart”.
Il riferito ampliamento dell’area semantica nel caso del versetto proposto va ricercata nel differenziale sinonimico tra sapienza e saggezza,  come pure in quello che intercorre tra contare e valutare, tra offrire e acquistare.
Non si può trascurare che il versetto proposto è preceduto da:
Chi conosce l’impeto della tua ira e, nel timore di te, la tua collera?
e seguito da :
Ritorna, Signore: fino a quando? Abbi pietà dei tuoi servi!
che  richiamano e si agganciano all’escathon, prefigurando le “cose ultime” e il Regno di Dio dell’apocalittica giudaica (per es. nei Profeti)  cui il salmista si riferiva; ma in chiave moderna e cristiana l’aggancio include tutto il Nuovo Testamento e in particolare il Vangelo, le Lettere e l’Apocalisse di Giovanni.
Contestualizzando il versetto nell’intero testo del salmo cui appartiene, non si può che concordare di essere in presenza di un testo “ …composito formato da un poema sapienziale che tratta dell’eternità di Dio e della vanità della vita umana 1-12;[3] che “comprende una preghiera collettiva per la restaurazione di Israele e per il conferimento dei beni messianici, 13-17;” [4].
In ogni caso il focus è posto su due diverse e separate azioni:
-        Contare i nostri giorni, per cui viene invocato l’insegnamento divino;
-        Giungere al cuore della Sapienza, ossia ad avere un cuore saggio.
E’ evidente, quindi, che l’analisi ruoti intorno alla nozione di tempo e quella di sapienza (e di saggezza), ma senza trascurare l’efficacia della “pressione emotiva” che il testo, in ogni forma, esercita immediatamente sul lettore.
Infine, questo versetto orante per giungere alla Sapienza sembra rivestire dimensione individuale, collettiva e universale. Però, mentre la dimensione individuale è facilmente accessibile e comprensibile, quella collettiva e universale sembrano meno evidenti e certamente, per essere comprese, rimandano il pensiero ai destini collettivi dell’umanità sulla Terra,  alle “cose ultime”; in definitiva, come sopra accennato, alla Rivelazione contenuta nell’Apocalisse di Giovanni.
Un interrogativo sorge spontaneo. Se è vero – come è vero! – che contare i propri giorni spinge verso la sapienza del cuore, quest’effetto si verifica anche nella dimensione collettiva (di gruppo) ed universale, oltre che in quella individuale, dove è di certo presente?
Il tema che pone questo interrogativo appare meritevole di approfondimento, non soltanto per gli aspetti teologici che implica, ma anche e forse soprattutto per la speranza che suscita di poter ancora ricondurre su vie salvifiche una parte di umanità che appare oggi ignara o sviata e dimentica della precarietà della propria condizione esistenziale. In tale ambito gli approcci millenaristi alla fede cristiana troverebbero spazio e maggior attenzione.

2.     Il tempo: “Contare i nostri giorni”
Da un punto di vista umano contare i propri giorni, se inteso in senso letterale ma statistico, ossia probabilistico e non deterministico, può essere anche ritenuta un’operazione abbastanza comune allorquando intrapresa con le tavole di speranza di vita usate di norma dagli istituti assicurativi. Non è certo questo, però, il senso del versetto del salmo cui si fa qui riferimento.
Contare i nostri giorni implica il riconoscersi creature limitate e caduche; sebbene, la civiltà contemporanea (e presumibilmente di ogni tempo) non sembra vivere la realtà concreta, bensì per lo più dimentica di ciò che scorre quotidianamente sotto i suoi occhi, sembra ipnotizzata spiritualmente e proiettata nella percezione di un’apparente ed ingannevole senso di eternità, vissuto in maniera quasi virtuale, dominato da una sindrome di onnipotenza, che porta a inseguire i tradizionali obiettivi del potere, del successo, del denaro, dello sciupio vistoso e frivolo; non importa quali conseguenze catastrofiche, quanti morti, guerre, affamati o disoccupati comporti il raggiungimento di tali obiettivi. Relegando negli anfratti della coscienza collettiva il ruolo di Custode del Creato, la lotta per la sopravvivenza, che giunge a contrapporre l’uomo ai suoi simili, lo porta ad abusare dei beni della terra, dell’ambiente, delle collettività che lo circondano, violando ogni legge naturale, ogni retto sentire, ogni sentimento di umana solidarietà, per sfociare in un presunto ruolo di padrone del creato che sembra aver assunto, di fatto, l’uomo di oggi.
Contare i giorni presuppone la nozione di tempo lineare, in modo che sia sempre individuabile un prima e un dopo, un inizio e una fine. Sebbene facciamo uso del tempo  la sua essenza, però, ci rimane sfuggente. L’aforisma di sant’Agostino  ce lo ricorda : “Che cosa è, allora, il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so.”
Invece oggi, in accordo con la teoria della Relatività, che ha dominato la scienza contemporanea, viene voglia di dire che il tempo è una delle quattro dimensioni dello spazio-tempo entro cui si consuma l’esistenza umana, relegata in un piccolo e meraviglioso pianeta del sistema solare, in un universo in continua espansione e i cui destini, a lungo termine, sembrano variare, secondo la scienza ufficiale, tra un’espansione illimitata che conduce alla cosiddetta “morte termica” (raggiungimento dello zero assoluto) e un’implosione che riversa tutto ciò che esiste in una singolarità chiamata “big chrunch” (in contrapposizione al “big bang” che identifica la singolarità da cui è sorto lo spazio-tempo e il suo contenuto). In quest’ottica, il tempo è dunque solo una delle quattro coordinate che colloca i vari contenuti nello spazio-tempo, sebbene l’uomo non lo percepisca in questo modo. Sempre secondo questa ottica la controversia sul Messianismo[5] – “concezione propria delle religioni ebraica e cristiana, fondata sul significato assunto dall'avvenire improntato dall'opera e dalla personalità del Messia[6]” - si riduce non tanto alla negazione o affermazione della figura messianica, quanto piuttosto al posizionamento della sua missione nello spazio-tempo.
                                              
3.     Giungere al cuore della Sapienza
Non certo casuale è la presenza del Libro della Sapienza tra quelli del Vecchio Testamento ; esso prima di ogni altro ci istruisce al riguardo : “La sapienza è splendida e non sfiorisce, facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano. Nel farsi conoscere previene coloro che la desiderano. Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta. Riflettere su di lei, infatti, è intelligenza perfetta, chi veglia a causa sua sarà presto senza affanni; poiché lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei, appare loro benevola per le strade e in ogni progetto va loro incontro.” (Sapienza 6,12-16)
Possiamo quindi ritenere che per gli informati e maturi “Il cuore della Sapienza” sia discernimento nell’esistenza, che conduce:
-        (in ambito veterotestamentario) al rispetto della Legge secondo il Patto offerto ad Israele per la propria salvezza;
-        (in ambito neotestamentario)  a riconoscere la caducità di questo mondo,  e l’inutilità di quanto esso offre, rispetto all’immensità del dono salvifico offerto a tutte le Genti dal sacrificio consumato sulla Croce .
In entrambi i casi è sempre la Grazia che opera in quanto concessione di Dio misericordioso  verso i suoi eletti. Infatti, in un caso, a salvare è il Patto offerto da Dio ad Israele,  piuttosto che la rigida aderenza alla Legge,  che per quanto minuziosa si rivela insufficiente senza la Grazia; mentre nell’altro caso è l’immolazione dell’Unigenito figlio di Dio, che senza macchia, si spoglia della sua divinità per assumere da Uomo su di sé il peccato del Mondo e ripristinare, attraverso la propria passione, morte e resurrezione, l’Adamo caduto.  

4.     Rilievi conclusivi
Questo cenno alla Grazia può apparire sbilanciato rispetto al valore che deve assumere la necessità della Fede in un percorso salvifico; in realtà esse sono indissolubilmente legate poiché “per grazia siamo salvati mediante la fede” (Efesini 2,8). La Fede produce atteggiamenti che conducono ad operare in modi ad essa conformi, ma le opere risultanti non sono garanzia di salvezza; ne costituiscono semmai il presupposto essenziale. Parafrasando un concetto matematico possiamo dire che la Fede è condizione necessaria, ma non sufficiente alla salvezza. Soltanto la Grazia, che è dono dell’Onnipotente per coloro che hanno Fede, trasforma questi due elementi in una condizione necessaria e sufficiente alla salvezza, promessa ai battezzati in Cristo Salvatore, Sacerdote e Re.
Un simile impianto presente nella Lettera agli Efesini, più che aggiustare presunte controversie su impostazioni paoline in merito al valore salvifico della sola fede, sembra invece dare corpo e avvicinare quel mondo che si presenta come profondamente cristiano e che professa << Sola Scriptura - Sola Fide - Sola Gratia - Solus Christus – Soli Deo Gloria >>. è proprio in questo mondo che approcci millenaristi alla fede cristiana emergono più frequentemente[7] dando, oltre la dimensione individuale, una concreta manifestazione della dimensione collettiva e universale dell’area di senso che riveste il versetto in esame in merito al contare i propri giorni.
Le due azioni dunque, contare i propri giorni e giungere al cuore della sapienza, si riunificano così in un unico strumento di conversione con portata individuale, collettiva e universale, come ben aveva colto il salmista (Mosè) nella sua preghiera (a Dio).

Roma 8/Settembre/2018



[2] The Jerusalem Bible – Imprimatur John Cardinal Heenan Westminster. July, 4, 1966
[3] La Bibbia – Nuova versione dai testi originali. Edizioni Paoline 1983
[4] Idem c.s.
[5] Concetto “Il Messia è già venuto e tornerà!” contrapposto a “Il Messia non è mai venuto e deve ancora venire!”
[6]https://www.google.it/search?q=messianismo&rlz=1C1AOHY_itIT737IT737&oq=messianismo&aqs=chrome..69i57.5975j0j7&sourceid=chrome&ie=UTF-8

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