venerdì 13 dicembre 2019

"Elementi di Mitigazione" che non possono essere ignorati PER RIFLETTERE SULL'EMERGENZA CLIMATICA CONCLAMATA

Confondere e condannare l’energia nucleare senza distinguere tra “nucleare militare” e “nucleare di pace” è esecrabile e peccaminoso secondo una razionalità cristianamente orientata e nettamente percepita, intendendo per “nucleare di pace” la fissione controllata, la fusione (calda o fredda) insieme a tutte le possibili tecnologie da LENR (Low Energy Nuclear Reaction) in via di ricerca e sviluppo e che andrebbero invece incentivate in una situazione di emergenza conclamata.
L’unico modo oggi esistente per eliminare o almeno contenere il “nucleare militare” è bruciare i materiali fissili (e il plutonio in particolare) attraverso il “nucleare di pace”, a meno di non optare per un ulteriore grave lascito di ordigni mortiferi alle generazioni future già gravate di una emergenza climatica e ambientale dai risvolti che si presentano incontenibili.
A parità di potenza installata ed "emissioni serra", un impianto nucleare in servizio di "base load" ha una producibilità in termini di energia almeno 4 volte superiore di un impianto fotovoltaico oppure eolico.
La transizione energetica che l’Europa si propone di guidare richiede scelte difficili che non possono essere approssimative o peggio ancora sottese da interessi politici o commerciali egemonici. Tali scelte sono da vagliare e da provare scientificamente prima e durante la loro adozione. Pena l’aggravamento della situazione verso scenari apocalittici per l’umano genere.
Escludere il “nucleare di pace” dalla transizione energetica vizia l’efficacia e la stessa possibilità che tale transizione avvenga, dando così prova della natura irresponsabile di tale scelta, come peraltro sottolineano élite scientifiche di livello mondiale (per es. MIT).
E’ provato che i movimenti migratori in atto possono assorbire solo 15 dei circa 80 milioni di nuovi poveri che l’attuale sistema globale produce annualmente attraverso i “popoli marginali” del pianeta. Le rimesse dei migranti, come pure gli aiuti di cooperazione e sviluppo in loco, divengono inefficaci (se non “spreco”) senza opportune operazioni di evangelizzazione e acculturazione, che possono avvenire e produrre frutto solo in un periodo medio-lungo.
Per motivi commerciali, di presunta economia ed egemonia, si va generalizzando globalmente anche il fenomeno della disoccupazione giovanile; specie di quei giovani che portano a compimento i loro studi, speranza delle famiglie e onere degli stati; e le società occidentali sperimentano crisi e tassi di povertà mai raggiunti prima. Le politiche di pieno impiego (salvo un tasso strutturale) sono rigettate per il “Credo Ultra-Liberista” incontrollato di cui l’Europa si è fatta acriticamente portatrice e simbolo verso il Mondo, sospinta anche da fobie inflattive che asfissiano i sistemi nazionali attraverso un'austerità stranamente prossima alla decrescita, ma solo per alcune economie della UE.
La correlazione provata scientificamente tra crescita demografica e aumento dei gas serra (ma più in generale dei fattori ambientalmente inquinanti) richiedono seri ed espliciti provvedimenti verso l’adozione di una paternità e maternità responsabile, non certo nei paesi europei o nordamericani che incominciano a soffrire di bassa natalità, bensì verso paesi asiatici ed africani e che al tempo stesso sono mossi dall'attuazione di modelli di sviluppo occidentali e non esitano ad adottare metodi di “dumping ambientale” per soli fini commerciali ed egemonici.
Ignorando le spinte demografiche e le aree geografiche che ne sono afflitte, il rapporto EEB 2019 (Environmental European Bureau) pretende di provare la non sostenibilità tra crescita e sviluppo invocando al tempo stesso l’adozione di politiche di decrescita, specie nel mondo occidentale, pensando così di lasciare “giusto” spazio a chi non ha potuto sinora crescere. Questo approccio è destabilizzante poiché l’economia e la finanza globale sono afflitti da volatilità e instabilità (specie finanziaria) e la decrescita minando i meccanismi oggi in atto (attraverso i PIL e i debiti sovrani: questi sono solvibili solo nella misura in cui crescono quelli)  renderebbe inesigibili in concreto  i debiti, provocando il definitivo collasso dell’economia e della finanza globale e innescando un conflitto che diverrebbe ben presto nucleare ed apocalittico.

La situazione interpella le coscienze con interrogativi della seguente natura:
    • 1. La decrescita è praticabile da singole comunità (nazionali) mentre altre permangono nello status quo?
    • 2. Le guerre commerciali (e non solo), già in atto o che si profilano in futuro, anche attraverso la massimizzazione della produzione interna e dell’export, minimizzando l’import e puntando alla crescita del PIL (parametro indiscutibile su cui gli ambienti finanziari valutano la solvibilità dei debiti pubblici accumulati), consentiranno mai l’adozione di un virtuoso, volontario e pacifico percorso di decrescita?
    • 3. Un simile percorso è a sua volta compatibile con la stabilità finanziaria dell’economia globale?
    • 4. Ammesso che un tale percorso possa essere intrapreso in maniera volontaria, pacifica ed autonoma, il lavoro potrà mantenere gli attuali livelli occupazionali già problematici e essere retribuito con una “giusta mercede” in maniera tale da garantire la “sussistenza dignitosa" di chi la decrescita l’adotta?
    • 5. Se un esempio concreto di adozione di un tale orientamento di decrescita non viene dalle grandi economie, è possibile che possa essere praticato dalle piccole economie, specie se già in difficoltà?
    • 6. L’attuale apparato, non solo di capitalismo democratico, ma di diritto internazionale e diritti umani, potrà essere conservato senza derive verso l’impiego della forza (per es. militare)?
    • 7. La transizione energetica è veramente possibile “decarbonizzando” e puntando sulle sole rinnovabili, senza un adeguato mix di nucleare e combustibili fossili, nonché moderazione della spinta demografica?
    • 8. In un’ottica di “Diritto Naturale” e di “Salvaguardia del Creato” è da considerarsi prevalente l’esistenza (fin quanto possibile) della specie umana o quella dell’ambiente planetario? Invece, assumendo il punto di vista della legge universale o “Legge Eterna” che cosa sarebbe prevalente tra l’esistenza umana e la salvaguardia del Pianeta?

  • Un approccio olistico e multidisciplinare, scevro da finalità politiche e commerciali egemoniche da parte delle potenze della Terra s’impone ed è l’unica possibilità, forse, che attraverso la straordinaria incentivazione della ricerca – riappropriandosi delle risorse umane sprecate attraverso la disoccupazione intellettuale che va estendendosi ovunque – si può ricostituire in virtù e con l’aiuto dello Spirito quel Popolo disperso, cristianamente ispirato, che può trovare attraverso la Scienza e la Fede una soluzione agli attuali problemi della Terra.
  • Abbiamo l’obbligo di pensare ancora che un Creatore benevolo non faccia mancare, come ha sempre fatto nella storia umana, la Sua Provvidenza, perché la Terra ha limiti, ma “I Cieli non hanno limiti!”, nonostante alcuni la pensino diversamente. 
In alternativa non possiamo che prendere atto che le Scritture - pregne di Spirito Profetico - iniziano con la Genesi e terminano con l‘Apocalisse.




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