L’intero racconto biblico cristiano ci parla di un
progetto di salvezza dell’Uomo caduto in peccato attraverso la disobbedienza
dopo la Creazione; progetto che si
realizza attraverso l’azione salvifica di Cristo mediante la volontaria
immolazione di se stesso sulla Croce e che si compie con l’avvento del Regno
Messianico al ritorno di Cristo sulla Terra.
In una polarizzazione che dura da secoli, per alcuni si
tratta di “favole”, “oppio dei popoli”, attraverso cui si esercita un dominio
sull’Uomo e nella Società; per altri si tratta della Parola ispirata da Dio tra
gli uomini per guidare gli Eletti e condurli alla salvezza eterna, ossia: un
corpo immortale ed incorruttibile in quel Regno di Giusti da venire. Comunque
ci si collochi tra questi due poli occorre riconoscere che in un processo
circolare di interdipendenza si potrebbe dire che le Sacre Scritture e la
Tradizione maturata sul racconto biblico guidano la Chiesa da oltre duemila
anni, ma viceversa la stessa Chiesa,
facendosi depositaria e custode della Fede e della Tradizione nei secoli, guida
l’analisi e l’interpretazione delle Sacre Scritture nel tempo,
contestualizzandone e attualizzandone il senso. Il modo in cui leggerle,
secondo la Chiesa, non è celato - sebbene si tratti di argomento molto dibattuto
- e lo si può trovare in un documento della Pontificia Commissione Biblica dal
titolo “L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa”.
Qui di seguito, a fini illustrativi ed esplicativi degli interrogativi posti
nel titolo, si cercherà di utilizzare - per quanto possibile - concetti e argomenti
di tale importante documento onde evitare possibili fraintendimenti ed errori.
(Fonte dell' Immagine: Wikipedia)
·
Teologia della liberazione
Nella lettura biblica, la prospettiva di una teologia della liberazione appare, tra le
altre, intellettualmente attraente e auspicabile, ma è certamente – come viene
chiarito nel citato documento - un movimento teologico complesso, consolidatosi
verso gli inizi degli anni settanta, che non va indebitamente semplificato.
Peraltro, nel suddetto documento, viene riconosciuto che il punto di partenza
del movimento, oltre alle circostanze economiche, sociali e politiche dei paesi
dell’America Latina, si trova in due grandi avvenimenti ecclesiali:
-
il Concilio Vaticano II, con la sua dichiarata
volontà di aggiornamento e di orientazione del lavoro pastorale della Chiesa
verso i bisogni del mondo attuale,
e
-
la II Conferenza Generale dell’Episcopato
Latino-Americano a Medellin nel 1968, che ha applicato gli insegnamenti del
Concilio ai bisogni dell’America Latina.
Ma, se da un lato si è trattato di un movimento teologico di successo -
infatti si è propagato anche in altre parti del mondo (Africa, Asia,
popolazione di colore degli Stati Uniti) - viene chiarito che è difficile discernere
se esista “una” teologia della liberazione e definirne il metodo. Altrettanto difficile
appare determinare in maniera adeguata il suo modo di leggere la Bibbia,
sebbene sembra si possa dire che non adotta un metodo speciale, ma, partendo da
punti di vista socio-culturali e politici propri, pratica una lettura biblica
orientata in funzione dei bisogni del popolo, che cerca nella Bibbia il
nutrimento per la propria fede e la propria vita. Insomma, si cerca una lettura che nasca dalla
situazione vissuta dal popolo in circostanze di oppressione per cercarvi il
nutrimento capace di sostenerlo nelle
sue lotte e nelle sue speranze, da cui scaturirà la prassi cristiana tendente
alla trasformazione della società per mezzo della giustizia e dell’amore. Insomma,
nella fede, la Scrittura si trasforma in fattore di dinamismo di liberazione
integrale, dove i principi sono i seguenti:
i. Dio è presente nella storia del suo popolo per
salvarlo.
ii.
Egli è il Dio dei poveri, che non può tollerare
l’oppressione né l’ingiustizia.
iii. Questa è la ragione per cui l’esegesi non può
essere neutra, ma deve schierarsi, al seguito di Dio, dalla parte dei poveri e
impegnarsi nella lotta per la liberazione degli oppressi.
iv. La partecipazione a questa lotta permette di far
apparire dei significati che si scoprono solo quando i testi biblici vengono
letti in un contesto di solidarietà effettiva con gli oppressi.
v. Poiché la liberazione degli oppressi è un
processo collettivo, la comunità dei poveri è il migliore destinatario per
ricevere la Bibbia come parola di liberazione.
Inoltre, poiché i testi biblici sono stati scritti per comunità, la
lettura della Bibbia è affidata in primo luogo proprio a comunità, specie dove La Parola di Dio è pienamente attuale, grazie
soprattutto alla capacità che possiedono alcuni “eventi fondatori” (l’uscita
dall’Egitto, la passione e la risurrezione di Gesù) di suscitare nuove
realizzazioni nel corso della storia.
Inutile in questa sede discutere e dare evidenza, a
sostegno della teologia della liberazione, ricavandolo dal senso complessivo
del racconto biblico e in particolare dei molti brani – specie, ma non solo,
del Nuovo Testamento – che la motivano;
lo si dà per scontato! Sebbene, però, si riconosca che la teologia della
liberazione comprende elementi il cui valore è indiscusso si sottolinea anche
che una lettura così orientata della
Bibbia comporta certi rischi, particolarmente non prestando altrettanta
attenzione ad altri testi della Bibbia stessa. Ed è proprio prestare attenzione
anche altrove, ciò che si tenterà di fare qui di seguito, poiché se è
riconosciuto che l’esegesi non può essere neutra, ci si deve però anche
guardare affinché non sia unilaterale. Sotto la spinta di enormi problemi
sociali, viene riconosciuto, che l’accento è stato talvolta messo di più su
un’escatologia terrena, e talvolta a detrimento della dimensione escatologica
trascendente della Scrittura; in definitiva, una svalutazione dei connotati
profetici insiti nella Scrittura stessa.
·
La Prima Lettera di Pietro - Un codice di
condotta cristiano
(1 Pietro 2:11-25)
Per rivolgere l’attenzione anche altrove ed evitare di
guardare in modo unilaterale si propone, quindi, come esempio, il seguente
brano della Prima Lettera di Pietro, nella forma familiare ad evangelici
nordamericani, che in maniera auto evidente e non esclusiva, giustamente
ravvedono in essa un codice di condotta cristiano.
(11) Carissimi, vi supplico come compagni di soggiorno
e residenti temporanei [su questa terra] di astenervi dalle concupiscenze
carnali che stanno facendo guerra contro le vostre [stesse] vite. (12) Mantieni
il tuo modo di vivere tra i gentili (cioè i non credenti) [moralmente] buono,
in modo che sebbene vi calunniano come malfattori, quando guardano alle
vostre buone opere (cioè vita e produzione) possano [ancora] dare gloria a Dio
nel giorno della visitazione. (13) Sottomettetevi ad ogni autorità umana
stabilita per amore del Signore, sia che si tratti di un re, come sovrano, (14)
o di [altri] dirigenti, come inviati tramite Lui allo scopo di riprendere i malvagi
ma per lodare quelli che fanno del bene. (15) Questa è infatti la volontà di
Dio, cioè che voi mettiate a tacere l'ignoranza degli stolti operando il bene,
(16) come uomini liberi, ma non usando la vostra libertà come un mantello per
il male, ma come servi di Dio. (17) Rispetta tutti, ama la fratellanza [dei
credenti], temi Dio, onora il re. (18) I servi si sottomettano con tutto il
rispetto ai loro padroni, non solo a coloro che sono buoni e ragionevoli, ma
anche a coloro che sono ingiusti. (19) Perché questo è piacevole [agli occhi di
Dio], [cioè] se per [mantenere una coscienza pulita] verso Dio qualcuno
sopporta le afflizioni quando ingiustamente [sottoposto] alla sofferenza. (20)
Ma quale gloria [è la tua] se sopporti la punizione per aver peccato? Ma se
sopporti la sofferenza per aver fatto il bene, questo è gradito a Dio. (21)
Perché è proprio a questo scopo per cui sei stato chiamato (cioè la
partecipazione alle sofferenze di Cristo); perché anche Cristo è morto per te,
lasciandoti un esempio perché tu possa seguire le sue orme: (22) «Non commise
peccato, né si trovò inganno nella sua bocca» (Is 53,9b). (23) Non ha
ricambiato la calunnia quando è stato calunniato, non ha minacciato quando ha
sofferto, ma si è affidato a Colui che giustamente giudica. (24) Egli stesso
portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno, affinché, essendo morti ai
peccati, potessimo vivere alla giustizia. Per la sua ferita sei stato guarito.
(25) Perché un tempo eravate come pecore smarrite, ma voi ora siete tornati al
Pastore e Sorvegliante delle vostre vite.
(1 Pietro 2:11-25)
E’ evidente ad ogni lettore, anche senza alcuna
preparazione teologica, che il tema dominante nel brano sopra riportato è
quello della sottomissione e
dell’obbedienza; sia che si tratti di un re, come sovrano, o che si tratti di un
padrone, come pure di ogni altra autorità umana stabilita. E si badi bene che
sottomissione e obbedienza sono dovute non solo verso coloro (in autorità) che
sono buoni e ragionevoli, giusti, ma anche verso coloro che sono ingiusti. Si! Perché
ciò va fatto per amore del Signore, affinché attraverso le sofferenze che ne
derivano ciascun “chiamato” possa partecipare alle sofferenze di Cristo, tanto
più quanto più si marcerà verso tempi escatologici e verso la Grande
Tribolazione. In definitiva, la chiamata è sopportazione della sofferenza per
aver fatto il bene; questo è gradito a Dio! Cristo non ha ricambiato la
calunnia quando è stato calunniato, non ha minacciato quando ha sofferto, ma si
è affidato a Colui che giustamente giudica.
E’ altrettanto evidente ad ogni lettore lo stridore di
senso che sembra nascere tra la teologia della liberazione e il brano della
Prima Lettera di Pietro su riportato. Non si tratta di un unico caso e non si
potrebbe ignorarlo, perché vi sono numerosi altri esempi, anche in scritti
vetero-testamentari che possono essere intesi in contrasto con una tale
teologia. Si veda, per citarne uno, ad esempio il Salmo 2:
Perché le genti sono in tumulto
e i popoli cospirano invano?
|
Chiedimi e ti darò in eredità le genti
e in tuo dominio le terre più lontane.
|
Insorgono i re della terra
e i prìncipi congiurano insieme
contro il Signore e il suo consacrato:
|
Le spezzerai con scettro di ferro,
come vaso di argilla le frantumerai”.
|
“Spezziamo le loro catene,
gettiamo via da noi il loro giogo!”.
|
E ora siate saggi, o sovrani;
lasciatevi correggere, o giudici della terra;
|
Ride colui che sta nei cieli,
il Signore si fa beffe di loro.
|
servite il Signore con timore
e rallegratevi con tremore.
|
Egli parla nella sua ira,
li spaventa con la sua collera:
|
Imparate la disciplina,
perché non si adiri e voi perdiate la via:
|
“Io stesso ho stabilito il mio sovrano
sul Sion, mia santa montagna”.
|
in un attimo divampa la sua ira.
|
Voglio annunciare il decreto del Signore.
Egli mi ha detto: “Tu sei mio figlio,
io oggi ti ho generato.
|
Beato chi in lui si rifugia.
|
Piuttosto occorre spiegare questa che appare essere una
contraddizione ed impedire che essa sia motivo di sviamento e contrapposizione,
specie tra Cristiani. A tale riguardo si propone una riflessione, nel seguito, su
un passo della Seconda lettera di Pietro.
·
La proposta di alcuni Interrogativi “Angelici”
La Seconda Lettera di Pietro, 2 Pt 2.10 -11, nella versione
Bibbia CEI 2008 che letteralmente traduce dal Greco (in Italiano):
10
......Temerari, arroganti, non temono d’insultare “gli esseri gloriosi decaduti”, 11mentre gli
angeli, a loro superiori per forza e potenza, non portano davanti al Signore
alcun giudizio offensivo contro di loro.12
Altre versioni moderne, invece, indicano “manifestazioni
della gloria”.
Interpellati al riguardo, gli
Evangelici nord-americani rispondono che la parola greca chiave qui è doxa al plurale, quindi
"glorie" è una traduzione abbastanza letterale, ma in termini di
interpretazione la traduzione italiana soprariportata è esattamente corretta:
questa è una critica agli gnostici
che pensavano di lanciare incantesimi, in effetti, contro gli angeli caduti.
Ecco un collegamento dove si spiega questo in dettaglio. (vedasi il link: https://ichthys.com/mail-Preaching-to-the-Spirits.htm#reviling%20angelic%20beings
).
Dunque ciò che valeva allora
contro gli Gnostici, ossia la colpa di non temere d’insultare gli esseri
gloriosi decaduti, che pur restano una manifestazione della gloria, non vale
anche per noi oggi nei confronti della nostra temerarietà e talvolta insulto verso ogni autorità umana
stabilita?
Su una tale linea di pensiero si
trova assolutamente ragione di sostenere che i contenuti delle Lettere (2 Pietro 2: 10-11) e (Giuda 1: 8-10) siano strettamente correlati, in particolare perché (Giuda 1:9) fornisce
l'esempio di Michele che si astiene dal rendere un "giudizio
blasfemo" contro il diavolo. Ma, è ancor più notevole che Cristo stesso
con la sua potenza abbia accettato di essere tentato e di rifiutare qualsiasi
offerta mondana pur mantenendo il massimo rispetto per colui che gli si
opponeva. Il Progetto di Salvezza doveva progredire e compiersi nella purezza
degli atti e dei pensieri!
Ad un primo momento può sembrare
che anche tutta questa ulteriore riflessione sia rivolta a sottolineare il
valore della sottomissione e dell’obbedienza, in contrasto con la teologia
della liberazione, ma in realtà essa vuole tendere a riscoprire la dimensione
escatologica e profetica che soggiace alle Sacre Scritture.
In definitiva, “gli esseri
gloriosi decaduti”, come pure ogni autorità umana stabilita, giusta o ingiusta
che essa sia, sono “personificate” manifestazioni della gloria, nei confronti
delle quali sembra essere sospeso il giudizio, cosi come per tutta l’umanità,
sino ai tempi escatologici; ossia sino all’avvento del Regno Messianico che si
manifesterà appunto dopo il Giudizio da parte dell’Unico che può giudicare con
rettitudine e giustizia. Ci si chiede: e sino ad allora? Varrà in maniera
analogica: “Nessuno tocchi Caino”?
• Alcune considerazioni conclusive
Certo è che il già citato
documento
della Sacra Congregazione Per La Dottrina Della Fede “ISTRUZIONE SU ALCUNI
ASPETTI DELLA «TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE», nelle sue conclusioni indica
esplicitamente :
“Noi confessiamo che il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella
Chiesa di Cristo, “non è di questo mondo”, “la cui figura passa”; e che la sua
vera crescita non può essere confusa con il progresso della civiltà, della
scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere sempre più
profondamente le imperscrutabili ricchezze di Cristo, nello sperare sempre più
fortemente i beni eterni, nel rispondere sempre più ardentemente all'amore di
Dio, e nel dispensare sempre più abbondantemente la grazia e la santità tra gli
uomini. Ma è questo stesso amore che porta la Chiesa a preoccuparsi
costantemente del vero bene temporale degli uomini. Mentre non cessa di ricordare ai suoi figli che essi "non hanno
quaggiù stabile dimora", essa li spinge anche a contribuire - ciascuno
secondo la propria vocazione e i propri mezzi - al bene della loro città
terrena, a promuovere la giustizia, la pace e la fratellanza tra gli uomini, a
prodigare il loro aiuto ai propri fratelli, soprattutto ai più poveri e ai più
bisognosi. L'intensa sollecitudine della Chiesa, sposa di Cristo, per le
necessità degli uomini, per le loro gioie e le loro speranze, i loro sforzi e i
loro travagli, non è quindi altra cosa che il suo grande desiderio di esser
loro presente per illuminarli con la luce di Cristo e adunarli tutti in lui,
unico loro salvatore. Tale sollecitudine
non può mai significare che la Chiesa conformi se stessa alle cose di questo
mondo, o che diminuisca l'ardore dell'attesa del suo Signore e del regno
eterno".
Se così è, come si crede, allora sembra
quasi che quando si parla di teologia della liberazione occorra pensare ad essa
come ad un obiettivo proiettato nella dimensione escatologica e quindi che, pur
evolvendo progressivamente, si compirà solo con l’Avvento del Regno Messianico.
Parallelamente ed indissolubilmente, come “metodologia
da seguire”, invece, sembra quasi che per raggiungere quell’obiettivo proiettato
nella dimensione escatologica si possa e si debba parlare della necessità di
adozione di un codice di condotta cristiano, che include quello proposto nei due
brani delle Lettere di Pietro; ma non solo, affinché non possa essere esclusa
la Legge, ivi comprese quella Antica o delle autorità umane, per “dare a Cesare
ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Matteo 22,21 - Marco 12,17 -
Luca 20,25).
In definitiva, schematizzando in termini pseudo-operativi:
OBIETTIVO STRATEGICO: LIBERAZIONE
METODO TATTICO PER GIUNGERE ALL'OBIETTIVO: SOTTOMISSIONE
Si vede così come, condotti da un simile orientamento nella lettura delle Sacre Scritture, gli eventuali aspetti controversi che si possono incontrare, simili a quelli sopra illustrati, possono trovare adeguata sistemazione logica e perdendo così quell'apparente stridore di "contraddizione" viene ridato senso ad una ricerca razionale che alle Scritture si riferisse per orientarsi nel proprio cammino in questo mondo.
Evidentemente, l'accettazione di una simile interpretazione, specie se non avallata da un'alta autorità morale che abbia lo status richiesto per farlo, non sarebbe frutto della sola "razionalità" e questo consentirebbe a a coloro che quell'autorità rifiutano di sostenere che le contraddizioni restano irrisolte in quanto frutto di personale interpretazione. In definitiva: un problema di coscienza personale da risolvere personalmente.
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…and they have no need of lamplight or sunlight,
for God will shed light upon them, and
they will rule as kings forever and ever. [Revelation 22,5]