domenica 25 ottobre 2015

TRA LIBERISMO E ORIENTAMENTI KEYNESIANI


Viene talvolta ritenuto che uno dei teoremi economici dalle basi più solide che giustifica il libero mercato sia la “teoria del vantaggio comparato” ove si sostiene, in pratica, che se due diverse “parti” (persone, nazioni o gruppi) producono beni con un rendimento differente, avviare una attività commerciale sarà vantaggioso per entrambe le parti, persino se una delle due sa fare tutto meglio dell’altra. Probabilmente il problema, però, è più complesso e attiene ad un problema generale di “equilibrio”, non solo in senso economico, ma in senso lato.
La polemica tra ultra-liberisti e ultra-keynesiani ha caratterizzato l’intero decorso della recente crisi economica sino ai nostri giorni e non accenna a diminuire, alimentata anche da molti contenuti che si ritrovano ovunque nella cronaca economica quotidiana, nel dibattito politico, come pure nella Dottrina Sociale della Chiesa, specie dopo le più recenti encicliche “Caritas in Veritate”, “Evangelii Gaudium” e “Laudato Sì’“ che mettono l’accento sui poveri e quindi sul cuore del Vangelo.
Un interessante articolo dal titolo << Il socialismo del XXI secolo - Il ritorno del “keynesismo idraulico”? >> di Eugenio Somaini, Professore emerito di Politica economica presso l’Università di Parma, è apparso il 10 Ottobre 2015 sul sito dell’Istituto Bruno Leoni al seguente link
Il seguente stralcio introduttivo dell’articolo illustra i temi che vengono dibattuti con molta precisione ed efficacia.
 “Gira e rigira le posizioni di quanti si oppongono alle politiche di rigore finanziario e/o a riforme di stampo liberale ruotano intorno ai seguenti punti: la spesa pubblica non deve essere tagliata, ma piuttosto aumentata e riqualificata, concentrandola sugli investimenti in infrastrutture, sulla ricerca e sul sostegno alle fasce più bisognose e alle aree più arretrate; l’osservanza di vincoli di bilancio è da evitare in una fase di recessione in quanto pro-ciclica, ma nel più lungo periodo può essere resa compatibile con un sensibile aumento della spesa pubblica grazie agli effetti espansivi che la stessa avrebbe sul reddito (e quindi anche sul gettito fiscale), soprattutto quando il prelievo si concentri sulle fasce di reddito più elevate; le misure di liberalizzazione, in particolare quelle riguardanti i rapporti di lavoro, non danno alcun contributo al superamento della crisi, ma piuttosto ne aggravano le conseguenze sociali e rappresentano comunque un attentato a diritti fondamentali. Tali idee condivise dalle correnti più radicali dei partiti di sinistra (da Corbyn, a Tsipras, alla sinistra del PD) non sono in fondo che una riproposizione di quella combinazione di keynesismo e di welfare che potremmo definire socialdemocratica e che ha dominato la scena negli anni che vanno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla metà degli anni ’70. Le ipotesi sulle quali quelle posizioni si fondano sono sostanzialmente tre: i) la prima, e più generale, è che i comportamenti economici rispondano in modo prevedibile agli impulsi che vengono loro impartiti e possano essere plasmati dai governi attraverso un dosaggio di stimoli e di freni, conciliando gli obiettivi immediati di natura congiunturale con quelli di lungo periodo di una crescita sostenuta e di una società più equa e democratica; ii) la seconda è che i soggetti con redditi più elevati abbiano una propensione al risparmio sistematicamente superiore a quella del resto della popolazione e che pertanto un inasprimento del prelievo fiscale a loro carico accompagnato da un uguale alleggerimento di quello sulle fasce di reddito inferiori abbia di per sé effetti espansivi; iii) terza è che i redditi generati dalla spesa pubblica abbiano non solo un titolo di autenticità pari a quello dei redditi generati privatamente, ma anche uno status e una valenza superiori, in quanto motivati da scelte più lungimiranti (riguardanti la crescita, il rispetto dell’ambiente ecc.) e in quanto modellabili secondo criteri di equità distributiva.”
Ciascuna di queste argomentazioni viene affrontata e discussa giungendo a riaffermare il valore del libero mercato, contrapposto  non solo al discreditato “keynesismo idraulico”, ma anche all’inadeguatezza dell’impostazione keynesiana più autentica fondata su interventi dello Stato.
Aldilà della questione di principio che vede comunque la necessità di un intervento statale, e quindi una “interferenza “ con il mercato, anche li dove si punti a realizzare un libero mercato (che di solito non è una manifestazione spontanea e naturale di un assetto economico!), è però da notare che i cosiddetti “vincoli”, come mostra una “ideale” economia Coaseiana, sembrano difficilmente sopprimibili. Ciò accade anche perché “l’informazione” ha di fatto un costo e ciò crea ostacoli seri alla piena realizzazione di un libero mercato.  Su tale argomento, viste le implicazioni “morali” che di solito vengono addotte, si vuole in questo contesto suggerire un altro articolo <<La distinzione Valore / Fatto: Il Teorema di Coase Unifica Economia Normativa e Positiva>> di Frank Tipler - Tulane University New Orleans. Copia elettronica di questo documento è disponibile all'indirizzo: http://ssrn.com/abstract=959855 di cui si riporta qui di seguito la traduzione dell’ABSTRACT predisposto dall’autore:
“Mostro che in un vero e proprio mondo di Coase - un mondo senza costi di transazione – non ci sarebbe disaccordo sulle questioni morali. Non ci sarebbe alcun disaccordo su quella che dovrebbe essere l’adeguata distribuzione del reddito. Non ci sarebbe alcun disaccordo sulla questione della pena capitale o l'aborto. Se il governo ha cercato di ridistribuire reddito in contrasto con l’ideale dell’assenza di costi di transazione, quindi in un mondo di Coase, i beneficiari restituirebbero il denaro a coloro da cui è stato preso attraverso la tassazione. Studi empirici di un'economia quasi Coaseiana  mostrano che questa  prevista restituzione si verifica. Così disaccordi sui valori sono in realtà disaccordi sui fatti. Sosterrò che il Teorema di Coase stesso suggerisce una regola morale: agire per ridurre al minimo i costi di transazione.”

Così, nella contrapposizione “TRA LIBERISMO E ORIENTAMENTI KEYNESIANI” emerge la presenza di impostazioni ideali che caratterizzano entrambe le posizioni, per cui sembra effettivamente presente un problema generale di “equilibrio”, non solo in senso economico, ma in senso lato come affermato sin dall’inizio.

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