Viene talvolta ritenuto che uno dei teoremi economici dalle
basi più solide che giustifica il libero mercato sia la “teoria del vantaggio
comparato” ove si sostiene, in pratica, che se due diverse “parti” (persone,
nazioni o gruppi) producono beni con un rendimento differente, avviare una
attività commerciale sarà vantaggioso per entrambe le parti, persino se una
delle due sa fare tutto meglio dell’altra. Probabilmente il problema, però, è
più complesso e attiene ad un problema generale di “equilibrio”, non solo in
senso economico, ma in senso lato.
La polemica tra ultra-liberisti e ultra-keynesiani ha
caratterizzato l’intero decorso della recente crisi economica sino ai nostri
giorni e non accenna a diminuire, alimentata anche da molti contenuti che si
ritrovano ovunque nella cronaca economica quotidiana, nel dibattito politico, come
pure nella Dottrina Sociale della Chiesa, specie dopo le più recenti encicliche
“Caritas in Veritate”, “Evangelii Gaudium” e “Laudato Sì’“ che mettono l’accento
sui poveri e quindi sul cuore del Vangelo.
Un interessante articolo dal titolo << Il socialismo del XXI secolo - Il ritorno del “keynesismo
idraulico”? >> di Eugenio Somaini, Professore emerito di Politica
economica presso l’Università di Parma, è apparso il 10 Ottobre 2015 sul sito
dell’Istituto Bruno Leoni al seguente link
Il seguente stralcio introduttivo dell’articolo illustra i
temi che vengono dibattuti con molta precisione ed efficacia.
“Gira e rigira le posizioni di quanti si oppongono alle politiche di
rigore finanziario e/o a riforme di stampo liberale ruotano intorno ai seguenti
punti: la spesa pubblica non deve essere tagliata, ma piuttosto aumentata e
riqualificata, concentrandola sugli investimenti in infrastrutture, sulla
ricerca e sul sostegno alle fasce più bisognose e alle aree più arretrate;
l’osservanza di vincoli di bilancio è da evitare in una fase di recessione in
quanto pro-ciclica, ma nel più lungo periodo può essere resa compatibile con un
sensibile aumento della spesa pubblica grazie agli effetti espansivi che la
stessa avrebbe sul reddito (e quindi anche sul gettito fiscale), soprattutto quando
il prelievo si concentri sulle fasce di reddito più elevate; le misure di
liberalizzazione, in particolare quelle riguardanti i rapporti di lavoro, non
danno alcun contributo al superamento della crisi, ma piuttosto ne aggravano le
conseguenze sociali e rappresentano comunque un attentato a diritti
fondamentali. Tali idee condivise dalle correnti più radicali dei partiti di
sinistra (da Corbyn, a Tsipras, alla sinistra del PD) non sono in fondo che una
riproposizione di quella combinazione di keynesismo e di welfare che potremmo
definire socialdemocratica e che ha dominato la scena negli anni che vanno
dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla metà degli anni ’70. Le ipotesi
sulle quali quelle posizioni si fondano sono sostanzialmente tre: i) la prima, e
più generale, è che i comportamenti economici rispondano in modo prevedibile agli
impulsi che vengono loro impartiti e possano essere plasmati dai governi attraverso
un dosaggio di stimoli e di freni, conciliando gli obiettivi immediati di natura
congiunturale con quelli di lungo periodo di una crescita sostenuta e di una società
più equa e democratica; ii) la seconda è che i soggetti con redditi più elevati
abbiano una propensione al risparmio sistematicamente superiore a quella del resto
della popolazione e che pertanto un inasprimento del prelievo fiscale a loro carico
accompagnato da un uguale alleggerimento di quello sulle fasce di reddito inferiori
abbia di per sé effetti espansivi; iii) terza è che i redditi generati dalla
spesa pubblica abbiano non solo un titolo di autenticità pari a quello dei
redditi generati privatamente, ma anche uno status e una valenza superiori, in
quanto motivati da scelte più lungimiranti (riguardanti la crescita, il
rispetto dell’ambiente ecc.) e in quanto modellabili secondo criteri di equità
distributiva.”
Ciascuna di queste argomentazioni viene affrontata e
discussa giungendo a riaffermare il valore del libero mercato,
contrapposto non solo al discreditato “keynesismo
idraulico”, ma anche all’inadeguatezza dell’impostazione keynesiana più
autentica fondata su interventi dello Stato.
Aldilà della questione di principio che vede comunque la
necessità di un intervento statale, e quindi una “interferenza “ con il mercato,
anche li dove si punti a realizzare un libero mercato (che di solito non è una
manifestazione spontanea e naturale di un assetto economico!), è però da notare
che i cosiddetti “vincoli”, come mostra una “ideale” economia Coaseiana,
sembrano difficilmente sopprimibili. Ciò accade anche perché “l’informazione”
ha di fatto un costo e ciò crea ostacoli seri alla piena realizzazione di un
libero mercato. Su tale argomento, viste
le implicazioni “morali” che di solito vengono addotte, si vuole in questo
contesto suggerire un altro articolo <<La
distinzione Valore / Fatto: Il Teorema di Coase Unifica Economia Normativa e
Positiva>> di Frank Tipler - Tulane University New Orleans. Copia
elettronica di questo documento è disponibile all'indirizzo: http://ssrn.com/abstract=959855 di
cui si riporta qui di seguito la traduzione dell’ABSTRACT predisposto dall’autore:
“Mostro che in un vero
e proprio mondo di Coase - un mondo senza costi di transazione – non ci sarebbe
disaccordo sulle questioni morali. Non ci sarebbe alcun disaccordo su quella
che dovrebbe essere l’adeguata distribuzione del reddito. Non ci sarebbe alcun
disaccordo sulla questione della pena capitale o l'aborto. Se il governo ha
cercato di ridistribuire reddito in contrasto con l’ideale dell’assenza di
costi di transazione, quindi in un mondo di Coase, i beneficiari
restituirebbero il denaro a coloro da cui è stato preso attraverso la tassazione.
Studi empirici di un'economia quasi Coaseiana
mostrano che questa prevista
restituzione si verifica. Così disaccordi sui valori sono in realtà disaccordi
sui fatti. Sosterrò che il Teorema di Coase stesso suggerisce una regola
morale: agire per ridurre al minimo i costi di transazione.”
Così, nella contrapposizione “TRA LIBERISMO E ORIENTAMENTI
KEYNESIANI” emerge la presenza di impostazioni ideali che caratterizzano
entrambe le posizioni, per cui sembra effettivamente presente un problema
generale di “equilibrio”, non solo in senso economico, ma in senso lato come
affermato sin dall’inizio.
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