La seguente presentazione dell’Edizione nella Biblioteca Adelphi si trova in rete ed è reperibile al link
Pur non appartenendo
alla cosiddetta Biblioteca di Nag Hammadi, vastissimo e celeberrimo corpus di
manoscritti trovati nel 1945, Pistis Sophia è uno dei testi fondamentali del
pensiero gnostico. Anch’essa di area egizia, scritta nel II secolo, l’opera dispiega
infatti un sistema cosmogonico e cosmologico che ha pochi eguali per forza
visionaria e complessità teologica. All’apice di questo universo vi è un Dio
«ineffabile, infinito, inaccessibile» dal quale emana ogni cosa. Sotto di lui
si aprono le tre regioni intermedie: quella del «tesoro della luce», celato
dietro tre porte vegliate da nove custodi; quella «di destra», con sei grandi
principi incaricati di estrarre la luce dagli eoni delle regioni sottostanti e
ricondurla al «tesoro»; e quella «di mezzo», dove la vergine luce giudica le
anime degne di risalita e quelle condannate all’eterno tormento. Ancora più in
basso, ecco appunto «il mondo degli eoni», il nostro mondo dove si consuma il
drammatico scontro tra la materia e la luce, a sua volta comprendente la
regione «di sinistra» (con gli arconti), quella «degli uomini» e il caos.
Episodio centrale e
precipitato simbolico di questa dimensione tragica dell’Essere è proprio il
destino di Pistis Sophia. Collocata nel penultimo gradino del sistema – nel dodicesimo
eone –, Sophia è desiderosa di tornare nella luce del Padre. Ma nella sua
ingenuità commette l’errore di confondere tale luce suprema con quella
dell’arconte più malvagio, l’Arrogante, e così viene da questi trascinata nel
tredicesimo e ultimo eone, il punto infimo dell’universo. Per riscattarsi dovrà
seguire, come tutti gli uomini, il Cristo, che solo può risvegliare chi è
caduto sotto il potere degli arconti, decisi a far dimenticare a ogni creatura
la sua origine divina.
COMMENTO
Avvicinandosi ai testi gnostici con sincero spirito di
ricerca, occorrerebbe veramente invocare la “comprensione” della Verità e, in caso di errore, la “correzione” di Colui
che “Unico” può concederlo.
Lo scritto può apparire profondamente cristiano, al punto di
non comprendere se mai esso possa essere
considerato “eretico”, come è avvenuto per la Gnosi nel corso dei secoli a
partire dall’avvento del Cristianesimo, che “spacco” letteralmente il mondo
ebraico già naturalmente diviso.
Si ritrovano nel testo i concetti:
- - dell’universalità della Salvezza specie nelle parole del Cristo alle incomprensioni di Andrea (vedasi “Perdono e perdonerò”).
- - dell’Unità e l’Unicità dell’Ineffabile - nonostante le copiose membra – e quindi l’Unicità del Corpo Divino.
- - dell’Onore a ciascuno secondo l’onore assegnato nell’ambito di un unico corpo con più membra.
La caduta di Sophia, però, appare determinata dall’aspirazione
a raggiungere una luce più alta della posizione in cui era stata collocata; in
definitiva un’aspirazione che può essere considerata come “mossa dalla superbia”;
sentimento che è contrario ai sentimenti di umiltà con cui andava accettata la
posizione ad essa assegnata dall’Alto.
Il tentativo di raggiungere quella “Luce” l’ha, invece,
portata più in basso, dove è caduta nella trappola degli Arconti e delle loro
angherie.
La liberazione avviene, dopo un lungo e sentito pentimento e
molte peripezie, ad opera del Primo Mistero, che interviene a portare la
Giustizia, intesa come “Ripristino dell’Ordine Iniziale”; ripristino dell'ordine che comunque
non avviene immediatamente, ma solo dopo diverse fasi intermedie, in ogni caso
condite da contrizione e sincero rammarico, da parte di Sophia, accompagnato a lodi per la
Misericordia mostrata nei suoi confronti.
Il tutto si realizza in un contesto di di fortificazione
della Fede e nel riconoscimento dei meriti della Divina Misericordia.
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