A tale riguardo, tra la via
della CRESCITA e quella della DECRESCITA, l’Italia, che da lungo tempo si muove
a crescita prossima a zero, sembra praticare un improbabile “virtuoso attendismo” restando
“ferma al palo”, fors’anche perché non tutti coloro che predicano a parole la DECRESCITA,
poi di fatto la praticano. Così la DECRESCITA diviene la decrescita degli altri, ma non la propria.
Inoltre, ci sono sufficienti
evidenze che i Paesi più ricchi oggi al mondo sono quelli che hanno un forte
debito pubblico (o privato), per cui non crescere, o decrescere per permettere
agli altri rimasti indietro di recuperare, implica dover rinunciare a generare
ulteriore debito e quindi ad operare a “deficit zero”. Ma sono tutti
disponibili a questo approccio, oppure, siccome i Paesi a più alto debito sono
quelli più tecnologizzati e meglio armati, cadranno nella tentazione di usare
la forza militare per difendere i loro privilegi e i loro attuali livelli e
stili di vita? In definitiva la loro Cultura e Civiltà, per quanto poco
umanitarie possano essere divenute nel tempo?
Quì si riporta uno schema che
insieme agli interrogativi già in http://roccomorelli.blogspot.com/2019/08/crescita-del-pil-e-sostenibilita.html
vogliono costituire materiale di riflessione allargata su questi temi rilevanti
per noi stessi, per le future generazioni, per la casa comune TERRA che
abitiamo, per umanizzare il profilo etico oggi dominante, qualora esso venga
riconosciuto inadeguato e controproducente per il bene comune.
Viene quindi voglia di
dire che TRA CRESCITA E DECRESCITA LE VIE DEL PIL NON SONO INFINITE, MA QUELLE
DEL SIGNORE SI, perché se non fosse così potremmo già essere spacciati, se è vero che i cambiamenti climatici sono già da tempo in atto. E' dunque un problema di accertamento della VERITÀ, ossia un problema di verità scientifica rimasto irrisolto(https://www.startmag.it/energia/500-scienziati-greta-clima-onu-emergenza-climatica/), visto i diverbi ancora esistenti, oppure è un problema di irresponsabilità mosso da interessi? Attuare un gravoso percorso di DECRESCITA, tutt'altro che felice, per motivi di prudenza, implica accertamento (in parallelo) della VERITÀ e conseguente assunzione di RESPONSABILITÀ, ma non sicuramente attuazione precauzionale della DECRESCITA in maniera nascosta alla maggioranza degli interessati.
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Nella prospettiva di una Francis’s Economy, è proprio in questi ragionamenti con substrato etico (custodia del creato e innalzamento delle condizioni di vita di chi è rimasto indietro) che dovremmo ravvisare le vere motivazioni per gestire l'economia nazionale in situazioni di pareggio di bilancio e, possibilmente, ridurre tutti i debiti accumulati che limitano l'altrui crescita; non certo per "obbedire" a comando al pur pericoloso “spread" e ai "mercati", come taluni tendono a voler insegnare[2]. Infatti, in un caso è in gioco l’intero fondamento etico della odierna civiltà giudaico-cristiana, tutta originatasi in occidente, mentre nell'altro sono in gioco soltanto effimeri e caduchi aspetti di potere o predominio nello scacchiere internazionale, volti – ben che vada - a soddisfare l’istinto di potenza di chi non vuole rassegnarsi al presumibile "egalitarismo" necessario ad un futuro multietnico, come sembra già farsi intravedere, sebbene in maniera problematica. Ma, ridurre i debiti accumulati implica certamente evitare gli sprechi, ridurre i consumi attraverso più sobri stili di vita, aumentare l’efficienza pubblica e privata di tutto il sistema economico, orientandosi in modo green negli investimenti e nei consumi. Altrettanto certamente, però, ciò va fatto, piuttosto che brandendo il conflitto e la Forza (commerciale, finanziaria o militare), attraverso un difficile gioco di equilibri tenendo in equilibrio la produzione e la domanda di beni e servizi necessari alla vita di un Paese, poiché non appena la domanda (e quindi la spesa) diminuisce, nonostante il pareggio di bilancio la sostenibilità e la riduzione del debito “va a farsi benedire” e si allontana sempre di più, poiché interviene "la crisi" (nell'ultima delle quali il nostro Paese ha perso il 30% della sua industria). Crisi che vengono risolte, come si è visto in Grecia, in tutt'altro modo che attraverso quel soccorso che imporrebbe la solidarietà cristiana verso il vicino, il prossimo, verso "un membro della famiglia" europea. E' da qui che sono originati i Sovranismi oggi conflittuali, ma nessuno vuole prendersi apertamente la responsabilità (o il privilegio?) di averli innescati. Eppure, tra Sovranisti cristianamente orientati si nutre la convinzione che l'economia noachica delle Nazioni è frutto divino e non umano[3], poiché la confusione delle lingue e la distruzione di Babele fu conseguenza dell'ambizione di Nimrod di unificare i Regni della Terra, compito possibile solo a Cristo alla Fine dei Tempi. Pertanto. sino a quel momento l'Universalismo è limitato all'annuncio della Salvezza offerta a coloro che aderiscono al messaggio cristiano, ma il governo deve rimanere alle nazioni, a meno di non volere una nuova Babele, un nuovo Nimrod, una nuova confusione delle lingue e diaspora.
E’ dunque nel senso di responsabilità e di attaccamento a questa nostra civiltà giudaico-cristiana, disdegnata dall’Europa nei suoi fondamenti costituzionali, che trovano ragione le preoccupazioni su questi difficili argomenti e orientamenti, che ci si augura possano divenire oggetto di dibattito “TOWARDS THE ECONOMY OF FRANCESCO”.
[1] Tale
rapporto è reperibile al seguente link: