LE 4E : ENERGIA, ECONOMIA, ECOLOGIA E
ETICA
Riflessioni
su Conversione Nucleare e Sviluppo in Tempi Difficili
(Relazione
di Approfondimento predisposta per l'Incontro di pari oggetto tenutosi ad Assisi 12 Marzo 2021 da parte di Civiltà dell'Amore, ma non presentata)
1. Antefatti
I fatti che stiamo vivendo in
questo primo quarto del XXI secolo sembrano dominati dalla sfiducia, dal
sospetto e dalla paura, non solo da quella paura della pandemia Covid-19 ancora
in atto. Non si tratta di una condizione sorta recentemente, ma che si trascina
dalla precedente Crisi dei Mutui Subprime
(2007-2009). Infatti, già allora lo si
faceva notare in modo chiaro.
Osservando il Mondo si può anche
arrivare alla congettura che ormai abbiamo tutti paura! Paura dell’ignoto? Paura
del futuro determinata dalla crescente insicurezza provocata dalla crisi? Paura
di qualche nuova scoperta dagli esiti catastrofici che viene celata solo per
motivi di ordine pubblico? Ancora non lo sappiamo, ma la sensazione della paura
diffusa e repressa nell’animo dell’uomo comune permane. Ad essa fa eco una
domanda di sicurezza apparentemente senza precedenti. E c’è chi, nelle attuali circostanze, ricorda
un detto di B. Franklin: “Chi baratta la libertà per la sicurezza non merita
entrambe”.
Ecco quindi che emerge
spontaneamente dalla memoria un “Amarcord” e si ripresenta alla coscienza!.
Eravamo ragazzi innocenti aperti
al mondo postguerra che incominciava ad andare veloce; con le imprese delle
prime capsule spaziali, i miti di Einstein, Fermi, Majorana, Pontecorvo, ci
hanno educato a credere nella Scienza. Eravamo ingenui adolescenti, che
frequentavano le lezioni di Catechismo; dalla Storia e dagli Insegnamenti
Cristiani imparavamo a credere nella fratellanza universale, quella necessaria
per ricomporre attraverso l’unione di tutti i popoli in Cristo, quel primo
Adamo, essere immortale andato in frantumi con la cacciata dall’Eden. La terra
promessa era divenuta l’America, che tra mito
e poesia, anche per effetto della “guerra fredda”, sembrava essere
l’unica a poter assicurare un obiettivo così importante per l’intero Genere
Umano.
Siamo divenuti giovani uomini,
intenzionati a dare un’impronta al Mondo, attraverso i Diritti Umani, l’Europa
ed il “Sogno Americano” di generalizzazione del benessere, degli stili di vita,
dei valori, senza preoccuparci troppo delle risorse disponibili e dello
sfruttamento del nostro pianeta. Ci assicuravano che ce n’era per tutti, per lungo tempo, per molte generazioni ancora
ed in ogni caso ci invitavano ad essere fiduciosi perché la Scienza avrebbe in
ogni caso trovato una via d’uscita. In ogni caso! Ci abbiamo creduto e ne
abbiamo approfittato! Finalmente si lavorava, molto, sodo e si cresceva! Era “grazia
di Dio” che non conoscevamo prima; ed abbiamo ignorato poi il Sillabo in Quanta
Cura, se ne conoscevamo l’esistenza ed i contenuti. Siamo andati avanti
nonostante il ’68, le Brigate Rosse, le Mafie, e persino Mani Pulite, che ha
messo a nudo un intreccio nascosto di un mondo “underground” di cui non sospettavamo l’esistenza; almeno di quella
natura e dimensione.
Poi, improvvisamente, nel corso
della nostra maturità e con l’avvento dell’Europa, qualcuno ci ha svegliato dal
bel sogno dicendoci che in pratica stavamo solo “rubando” il futuro ai nostri
figli, cui avremmo lasciato una pesante eredità, non solo ambientale. I valori
in cui eravamo stati educati sembravano divenuti colpe. Ci hanno giudicati
colpevoli senza distinzione alcuna, a prescindere dai ruoli produttivi,
burocratici, politici o istituzionali; centrali o marginali che fossero. Siamo
diventati boomer
senza diritti di difesa. Infatti, come
ci stanno dicendo ora che sperimentiamo i primi passi verso la vecchiaia, la
pesante eredità sulle spalle dei nostri figli sarà anche finanziaria: un debito
accumulato nella nostra esistenza di misura pari ad una gran fetta della
ricchezza disponibile. Per questa nostra “colpa” - dopo averci insegnato nelle
università, attraverso la Moderna Teoria Monetaria, che il deficit (che origina
il debito per lo Stato) è ricchezza nelle mani dei privati, mentre il surplus
(che ripiana il debito dello Stato) è ricchezza che viene ritirata dai privati
– siamo oggi costretti a continue “crisi” e i nostri giovani sperimentano
livelli di disoccupazione di oltre un trentennio fa.
Tra gli Americani importanti,
abbiamo conosciuto Al Gore per la sua sensibilità verso l’ ambiente e abbiamo
creduto al suo linguaggio ecologista. Abbiamo creduto nel suo impegno per
cercare la verità con equilibrio, in
mezzo a tanto ecologismo estremista o di maniera, per identificare problemi e
cercare soluzioni. Poi, Al Gore si è fatto portatore di un allarme per il
futuro del mondo: “faremo la guerra per le risorse”!
Tutti oggi sembrano aver
dimenticato questo repentino cambiamento intervenuto ad infrangere The American Dream (e con esso i sogni
di una felicità terrena possibile) e tutti sembrano aver dimenticato
soprattutto quell’annuncio da oltre oceano degli inizi degli anni ’70 dopo che
il Gold Standard era stato
“licenziato”: “The Dollar is our
currency, but it’s your problem!”. In mezzo secolo la certezza del Diritto,
la Democrazia da esportare, i Valori Costituzionali di libertà, di uguaglianza
e di fratellanza, l’Autodeterminazione dei Popoli, la Convivenza Pacifica, sembrano concetti
lontani abbandonati negli anfratti più reconditi della coscienza e della
memoria collettiva per lasciare posto al “Nuovo”. Un nuovo che prospetta
cambiamenti su cui riflettere seriamente per la famiglia tradizionale, il lavoro, la
proprietà, la salute, la privacy,... in un mondo in cui le scelte e le
esperienze individuali possibili si prospettano eterodirette piuttosto che autodirette
e persino il concetto di carità o solidarietà assumono i connotati di una
“restituzione”.
E’ solo uno tra tanti esempi, ma
sembra quasi che all’improvviso abbiamo
smesso di Credere e di aver fiducia nella Scienza, nel Futuro, nella stessa
benevolenza del Creatore verso il Creato e le Sue Creature. Perché? Si è rotto
qualcosa, un equilibrio? Sentiamo forse che in un’ottica millenarista il Tempo
sta per finire? Si diffonde nel mondo un Pessimismo Cosmico di tipo
leopardiano, che con un Pathos Esistenzialista non è più solo intellettuale, ma
concreto, tangibile? Che cosa c’è di nuovo e di vero per l’Umanità? La crisi
morale - ancor prima che economica, finanziaria ed industriale - di questa civiltà
sembra evidente; ma è una causa o un effetto? Perché abbiamo smesso di Credere
e di aver fiducia nel Futuro? Forse perché... nonostante nessuno conosca il
giorno e l’ora il Tempo sta veramente per finire?
Non è possibile sapere chi potrà
rispondere a questi interrogativi. C’è da
augurarsi che qualcuno ci sia! Ma l’opprimente sensazione di un Mondo
che implode su se stesso continua a persistere, particolarmente aggravata in
regime di Pandemia.
Nel frattempo si fa notare che si
è passati, specie in ambiti produttivi, da un “Management of Human Relations” a un “Management by Tasks”, subito dopo evoluto in un“Management by Objectives”; e
successivamente divenuto un “Management
by Fear”. Il processo è stato inarrestabile e ci ha
condotti oggi “From Management by Fear to Power by Fear”. Ci si interroga, dunque, per comprendere se veramente da ciò cui
abbiamo assistito e assistiamo tuttora ne possa emergere, in realtà, un quadro
piuttosto in linea con quella tradizione sapienziale che predica “L’inizio
della Sapienza è il timor di Dio”. Ed anche se ci è stato comandato di
possedere la Terra dovremmo riscoprire che la nozione di possesso non coincide
con quella di proprietà, per cui della Terra ne dovremmo essere i custodi!
Tutti! Nessuno escluso! In pratica : Qui arriviamo nudi e ce ne andiamo nudi;
siamo tutti solo in affitto e nessuno è proprietario! Ci si chiede se l’obiettivo
di un simile cambiamento sia veramente quello professato , o comunque lasciato
intendere, di una maggiore giustizia distributiva nella comunità umana, specie
verso gli ultimi, gli emarginati, gli esclusi e gli scartati! In definitiva: la
realizzazione ultima di quella fratellanza evangelica tra gli umani, sempre
predicata, ma mai attuata, senza che alla fine risulti – come è sempre accaduto
nella Storia – che “tutto cambi affinché
nulla cambi”.
2. La
crisi attuale e le conseguenze per “La Fame nel Mondo”
Il cambiamento climatico in atto,
a prescindere dalle controversie tra i propugnatori delle cause antropiche e
quelli delle cause cicliche naturali, sembra trovare – almeno nel mainstream mediatico-scientifico -
incontestabile evidenza nelle misurazioni e controlli di oggettivi parametri
geofisici, come pure in concreti effetti ambientali che scienza e tecnologia
moderna rendono disponibili attraverso il monitoraggio continuo. L’insieme
delle possibili cause (antropiche, cicliche, geologiche, astrofisiche, etc.)
sembra spingere i legislatori – al di là della ricerca causa-effetto - a dover
tener conto di un “principio di
precauzione”. Questo anche sotto la spinta di campagne informative o
mediatiche, più o meno mirate, che amplificano la risonanza di un “catastrofismo” non da tutti condiviso
per un’inderogabile adozione di modelli energetici rivolti alla
decarbonizzazione delle economie. Tutto ciò proprio mentre alcune di tali
economie rifiutano il nucleare (modello tedesco) e altre lo adottano a sostegno
delle loro politiche green (modello
svedese). Di fatto, punte avanzate della ricerca (per es. MIT )
avvertono sull’impossibilità della transizione energetica globale senza il
nucleare, e la stessa UE auspicava (in vecchie edizioni dell’ Energy Road Map 2050) un mix di nucleare per una quota del 20-30%
nei suoi Paesi membri, sebbene Paesi come il nostro avessero deciso
diversamente (per es. import di tale
quota piuttosto che produzione in proprio).
Mentre lo studio dei cambiamenti
in atto prosegue e si affina, è inevitabile che si ampli lo spettro delle
possibili cause prese in considerazione; cause talvolta ancora da indagare a
pieno. Inoltre, sebbene gli effetti sull’ambiente naturale siano anch’essi
molto studiati, sembrano ancora sottovalutati quelli socioeconomici e
geopolitici, salvo la formulazione da parte di talune scuole di pensiero
(vedasi Report 2019 dell’European Environmental Bureau- EEB) di
una inevitabile politica di “decrescita”, cui talvolta viene abbinato in
maniera manipolativa – specie in Italia - l’attributo di “felice”.
L’incompatibilità tra
sostenibilità e sviluppo, viene data per comprovata (non solo da EEB) anche in un contesto di crescita green e molto timidamente si
incominciano a prospettare i primi studi socio-economici e geo-politici sugli
effetti di una decrescita (che in Italia, per altre cause, si era già
affacciata da tempo). Le riflessioni in
sede associativa su tali temi individuano con preoccupazione in eventuali
politiche di decrescita e nella monocultura dell’energia “green & low carbon (gas)” il rischio di insostenibilità dei
debiti pubblici e la messa a repentaglio della stabilità politico-sociale e
finanziaria, nonchè della pace globale, proprio mentre si profila all’orizzonte
una ripresa degli armamenti e delle politiche conflittuali non solo in campo
commerciale (per es. guerra dei dazi) tra le grandi economie. La Storia passata
e recente lo dimostra: la conflittualità di ogni tipo, anche quella moderna nel
cyber-space, e soprattutto la Ripresa
degli Armamenti, è causa di riduzione di risorse disponibili per i poveri e gli emarginati della Terra. Sembra
quasi che internazionalmente valga l’assunto che se si deve “tagliare” si
taglia sulla “carità”; pratica di fatto in uso anche nelle sedicenti
famiglie cristiane che, provate anch’esse dagli eventi, quasi si giustificano,
perché in condizioni di sussistenza “quando
non ce n’è, non ce n’è per nessuno!”. Nelle precarie condizioni attuali
della comunità umana globale, gli ambiziosi programmi delle Nazioni Unite,
della FAO e di Organismi Religiosi, quali la Caritas Internazionale, di ridurre
o quantomeno mitigare la fame nel mondo, sembrano così riscoprire radici che
affondano discretamente nella presupposta esistenza di un surplus. Nell’ambiente
popolare di questo tempo, nel cui chiacchiericcio siamo immersi, si ha modo di
origliare che c’è chi arriva – per ricalcare il ruolo della proprietà privata e
dell’accumulazione capitalistica - addirittura ad argomentare la logica secondo
cui San Martino non avrebbe potuto donare il mantello se non lo avesse avuto;
mentre altri – per sottolineare il ruolo dell’intrapresa e dello sviluppo -
riportano a galla un vecchio detto,
apparentemente dimenticato, secondo cui “ai poveri non occorre dargli il pesce,
ma la canna da pesca per imparare a pescarlo”. Allo stesso modo c’è chi sostiene,
quasi-ilarmente parafrasando Petrolini, che la carità la possono fare soli i
poveri, poiché benché poveri sono tanti; altri invece puntando il dito sugli
aspetti distributivi della ricchezza prodotta e accumulata sinora, arrivano – senza peli sulla lingua - a sostenere
che la carità è un lusso e la lotta e mitigazione della fame nel mondo siano
divenute esclusivo appannaggio di pochi miliardari e di Stati generosi, ivi
incluso le stesse Chiese di ogni confessione, che hanno accumulato patrimoni
talvolta non facilmente commensurabili. E’ evidente in tutto questo una
profonda critica socio-economica popolare, insieme al timido e tiepido tentativo,
molto umano, di raccogliere il messaggio evangelico, ma sempre anteponendo la
propria autosufficienza al dono senza condizioni. Ovviamente un simile umano atteggiamento
non può cambiare senso allo “spezzare il pane”, per cui guardando ai fatti
concreti si rafforza la convinzione paolina di una condizione dell’Uomo non in
grado di compiere il Bene che vuole, ma solo il Male che non vuole , a causa
del peccato che è in lui, non potendo liberarsene da solo, privo della Grazia.
In maniera prospettica, dunque, si può ben affermare che senza un cambiamento
di rotta per uscire dalle crisi presenti (pandemico-strutturale, ecologica,
energetica, economica, etica), sui più poveri della Terra, e soprattutto su di
essi, si continuerà a scaricare il maggior peso, anche in termini di mancato sviluppo e di
dignità umana fortemente lesa. Cosicché, di fatto, accade che attraverso
progetti di decrescita pianificata, anziché promuovere una dignitosa
uguaglianza del genere umano e abolire la fame si rischia – con il livellamento
in basso - di espandere una generalizzata povertà, visto che problemi molto
seri incominciano ad affacciarsi anche
in società come la nostra, con la sistematica violazione della giusta mercede, la diffusione della
precarietà lavorativa (specie intellettuale), la conseguente povertà
strutturale e le file per il pane
quotidiano, come sa bene e sperimenta ogni Caritas diocesana. Ed in questi
ambiti, c’è chi riafferma la convinzione che saranno le rimesse degli immigrati
verso i paesi d’origine a mitigare e combattere la fame, a porre argine al
disagio.
L’umanità ha visto sovrapporsi ai
problemi del cambiamento climatico anche quelli non meno gravi originati da una
pandemia provocata da un virus, le cui origini non sono state ancora accertate,
sebbene abbia devastato non solo lo stato di salute, ma il morale, gli usi e i
costumi dei popoli della Terra, nonché le loro aspettative di futuro. Le
cosiddette “democrazie” del pianeta sono state colpite in profondità da un
“nemico ignoto” e il dissenso verso di esse è cresciuto al loro interno, toccando
in profondità quelli che erano creduti diritti acclarati perché sanciti nelle
loro “Costituzioni” ormai rese “risibili”. Così anche qui si è imposto un “principio di precauzione” a difesa e
tutela della salute di tutta la popolazione, specie quella più anziana,
incuranti dell’intrinseca caducità esistenziale dell’Uomo, ben richiamata da un
neo-porporato francescano
con la poetica ungarettiana di “SOLDATI” : Si sta come d'autunno sugli alberi
le foglie.
La crisi ambientale e sanitaria
che stiamo vivendo su scala globale è anche una crisi economica, sociale e
valoriale, nonostante la gran parte degli interessati - ossia la famiglia umana
nella sua interezza - sembrino perlopiù ancora inconsapevoli. Anzi, tali crisi
sembrano assumere sempre più connotati strutturali o comunque di lunghissimo
periodo. Proprio per questo e per la rilevanza globale che assumono, si
richiedono analisi degli sviluppi e dei rischi ad esse connessi; come pure dei provvedimenti che si intendono intraprendere per
fronteggiarle. C’è chi con ragione si chiede se siamo veramente pronti e
preparati ad affrontarle queste crisi, essendo per troppo tempo state
trascurate e molti fenomeni e variabili che intervengono sono scarsamente noti
e identificati nei loro effetti incrociati e di lungo termine, ma sembra
inutile il sollecitare l’adozione generalizzata di politiche di ricerca al
riguardo, perché sistematicamente ignorato, salvo qualche raro caso.
3. Le
4E : Energia, Economia, Ecologia e Etica
Nelle sedi associative promotrici
di questo incontro – ossia quelle del Comitato per una Civiltà dell’Amore - si
è registrata una unanime convergenza a riassumere nell’acronimo 4E (che sta per
Energia, Economia, Ecologia e Etica) il nocciolo duro delle problematiche da
affrontare nel frangente che stiamo vivendo. Le 4E sono espressione di un
approccio olistico ai problemi e trovano costante riferimento nella Dottrina
Sociale della Chiesa, nelle Encicliche Caritas
in Veritate e Laudato Si’, ma
anche in trattazioni pastorali specifiche come il saggio: Energia, Giustizia e Pace - Edito dalle Librerie Vaticane. Insomma
dell’approccio analitico 4E se ne sente il bisogno quale strumento integrato di
analisi al punto di auspicarne la formazione di una Scuola.
L’auspicio è che questo acronimo
4E possa essere un focus di ausilio all’innesco di una maggiore domanda di
comprensione dei fenomeni del nostro tempo, al fine di indurre consapevolezza,
conoscenza, atteggiamenti e comportamenti, funzionali alla individuazione e
risoluzione dei problemi che sta vivendo il genere umano. Tra essi, in modo
particolare, lo sperpero di risorse destinate agli armamenti in presenza di una
metà dell’umanità che vive in condizioni di sussistenza, di sfruttamento, di
povertà; mentre nell’altra metà “benestante” si producono fenomeni di concentrazione
della ricchezza che appaiono inarrestabili per effetto di una “turbo-finanza
algoritmico-informatica”. Insomma, un collaterale depauperamento della classe
media con diffusione della disoccupazione e specialmente della disoccupazione
giovanile ed intellettuale, un
impoverimento generalizzato delle classi lavoratrici, dove un’occupazione
stabile è divenuto “privilegio” ed il “precariato di sussistenza” la norma. Un
mondo in cui si è stravolto l’intrapresa, che messa alle strette ha inseguito i
fuochi fatui della delocalizzazione, del profitto a tutti i costi o della
semplice sopravvivenza riponendo speranze nell’export o nello Stato, apparato gestionale di nazioni
ormai esauste e depauperate del ruolo di
custodia dei propri popoli. Un mondo in cui neppure un reddito minimo di
cittadinanza, reso improduttivo per ideologia, per scelta o per circostanza, riesce
a risolvere i problemi veri se non quelli di cattura di “consenso politico”
finalizzato al mantenimento dello “status quo”. Un mondo in cui sotto la spinta
di una bioetica laicista si è costretti a cambiare i connotati della famiglia
intesa in senso tradizionale e la prole - un tempo unico e solo appannaggio dei
“proletari”, venditori di lavoro per la loro stessa riproduzione - viene presa
in carico da uno Stato divenuto tutore, attraverso un ruolo genitoriale che non
gli è proprio.
Sì è così giunti ad una visione
di democrazia che confligge con se stessa, dimentica dei suoi principi
professati nelle grandi dichiarazioni dei diritti umani e di autodeterminazione
dei popoli (sic!), scoprendosi insufficiente, inefficiente, inefficace; in
pericolo ed in competizione rispetto ai sistemi autocratici, che pur tenta di
imitare goffamente dietro le quinte del teatrino mediatico; quando addirittura
non abbia riposto in essi le speranze della propria “salvezza”. Ma, non vi può
essere pace, né sviluppo sostenibile, né salvezza degli ecosistemi, ivi incluso
quello umano, senza la stabilità. E la stabilità può essere ottenuta con la
forza solo temporaneamente. Per la stabilità durevole occorre il consenso ed è
esattamente questa la regola democratica che non può essere tradita o aggirata da strumentali manipolazioni
finalizzate a interessi lobbystici o progetti egemonici di chicchessia; pena il
conflitto!
Sorge, quindi, il dubbio che alle
4E occorra aggiungere una G che sta per Geopolitica ed una ulteriore E che sta
per Europa. Infatti, la situazione rappresentata sin qui è maturata nella
fissità di un vecchio mantra della geopolitica occidentale; vecchio quanto la
prima Rivoluzione Industriale, allorquando si ebbe evidenza di quel legame imprescindibile
tra risorse e territorio necessario ad alimentarla; movente ed iniziatore delle
politiche coloniali. Quel mantra recitava: “Chi Governa l’Europa governerà
l’Eurasia; chi governa l’Eurasia governerà il Mondo”. Così l’idea d’Europa dei
Padri, che avevano creduto nella Democrazia, muta e da argine per l’avanzata
comunista post guerra (mondiale 2a) diviene progetto di uno stato
senza moneta per creare una moneta senza stato, esposta ad ogni alito di vento
egemone e globalista. Rifiutando nella propria Costituzione le radici
giudaico-cristiane della propria storia, cultura e civiltà, si è pregiudicato
l’unico, vero, potenziale legante europeo. Così, lentamente ma
progressivamente, attraverso i concetti di libero mercato, di concorrenza e libera circolazione delle merci, capitali e
lavoro, ispiratori di direttive comuni per uniformare la legislazione, si è
giunti a modificare le singole legislazioni nazionali – che avevano funzionato
per anni – modificandole anche in conflitto con le Costituzioni e gli apparati
di Diritto nazionali come nel caso italiano, mentre i cittadini – salvo le
élite politiche “illuminate promotrici” dell’Europa - restano inconsapevoli ed
ignari di ciò che accade. Il legante europeo, come si constata nella pandemia
in atto, divengono i soldi, la moneta che non c’è, l’Euro senza Stato, che ha
indotto taluni Italiani a pensare che la propria forza sta nella propria
debolezza capace di innescare “il crollo del sistema”. Per questo aldilà del
vaccino, sembra quasi che le speranze di uscire dalla pandemia e riprendere un
cammino dignitoso siano riposti in termini quali SURE, MES, Recovery Fund, Green Deal. E allora sorge spontanea la domanda che ci riconduce
all’inizio, quasi in modo circolare: basta il denaro e il New Green Deal europeo per contrastare l’emergenza
climatica e la crisi in atto?
Giuristi,
costituzionalisti ed economisti pongono in evidenza i contrasti irrisolti di
una costituzione come quella europea imperniata (similmente a quella tedesca)
sul libero mercato, con una costituzione come quella italiana imperniata sul
lavoro e sulla possibilità – all’occorrenza – di un intervento dello stato
nell’economia, cosa peraltro che confligge, nei fatti, con l’architettura data
all’Euro e alla Banca Centrale Europea. La paura diffusa è che piuttosto che
risolvere questi contrasti si scelga, come già avvenuto con la Crisi dei Subprime, la via di modificare
in maniera forzosa la Costituzione Italiana a cui è stata giurata fedeltà,
anche dai politici e ruoli istituzionali in carica, oltre che dai molti
servitori dello stato italiano. Un
evento di tal genere provocherebbe una frattura nel corpo sociale della nazione
con rischi seri di instabilità e collasso finanziario dell’intera area UE.
Forse è
un punto di vista limitante vedere lo stato attuale dell'Unione solo come un
conflitto tra diritto nazionale e internazionale europeo; conflitto alimentato
dall’idea di una economia sociale di mercato. In effetti, non è solo la
prevalenza del diritto dell'UE su quello degli Stati Membri o viceversa che ha
provocato uno stallo e la crisi dell’Unione. Come in ogni “fidanzamento” (durato
nella fattispecie dai trattati di Roma del 1957 sino ad oggi) al momento del “matrimonio”,
deve essere verificata la volontà e la compatibilità degli “sposi” all'Unione.
Ma guarda caso ciò non può avvenire per referendum, ritenuta da molti la cosa
più logica. La storia recente, però, ha mostrato la prevalenza degli interessi
economici dei singoli Stati membri rispetto alla fiducia e alla solidarietà
necessarie tra loro perché l'Unione abbia luogo. Può, allora, un “coniuge”
pensare che la “famiglia” rimarrà unita se nel momento in cui l'altro perde il
lavoro non è pronto a condividere i suoi beni? Può un “coniuge” pensare che la
famiglia rimarrà unita se l'altro sarà incline a soggiogarlo con critiche e
pesanti accuse fino a quando non vorrà cambiare identità, abitudini e cultura?
Purtroppo in assenza di sostanziali modifiche appare evidente a molti l’opportunità di una rottura dell'impegno a
realizzare il “matrimonio”, perché oltre alla tempestività di reazione, è soprattutto
la fiducia e la solidarietà che sono mancate in troppe occasioni, ma anche la
cultura e l'identità di ciascuno sembrano più immutabili di quanto inizialmente
si credesse.
Nel
frattempo c’è chi decanta la solidarietà europea in tempo di pandemia, provata
di fatto dalla BCE attraverso il Quantitative Easing, senza rammentare che
questo è semplicemente ciò che fa e deve fare la banca centrale di un paese in
difesa del proprio popolo, della propria civiltà, della propria esistenza. Non
vi sono particolari meriti, è routine! E nel caso UE, purtroppo, dobbiamo dire:
dovrebbe esserlo!
4.
Alcune
considerazioni su UE e New Green Deal
Oggi, il
nostro Paese, oltre che immerso in una pandemia si trova anche in una emergenza
climatica conclamata, in piena transizione energetica, nonché in presenza di un
minimale Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima che dovrà essere
governato e gestito per andare concretamente nella direzione di un vero New
Green Deal, come auspica l’Unione Europea. Al riguardo, la nuova Presidente
della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha promesso un piano di mille
miliardi di euro in dieci anni, per azzerare l’impatto climatico dell’Europa
entro il 2050. Di queste risorse sembra che più di un terzo siano appannaggio
dell’Italia, ma l’idea italiana di vedere gli investimenti fuori dal deficit e
fuori dal debito pubblico è stata rigettata, come pure è stata rigettata
l’idea che un mix di energia nucleare di un 20-30%, come sembrava richiedere la
prima stesura dell’Energy Road Map 2030-2050, debba far parte degli asset energetici di ciascun paese
membro. Sebbene il piano verde europeo sia un passo concreto che altri non
hanno ancora fatto, sorgono dubbi di insufficienza e di incompletezza,
soprattutto perché non si può essere certi che siano le sole politiche europee
a poter produrre risultati significativi in questa lotta planetaria. Inoltre, poiché
il New Green Deal prende in considerazione in modo prevalente il settore
energetico, quello che segue vuole essere un contributo di riflessione per
evidenziare che:
1.
Non
è solo il settore energetico che può e deve essere fatto oggetto di politiche
istituzionali per fronteggiare il cambiamento climatico e il risanamento
ambientale, ma vi sono aspetti più nascosti e reconditi nelle abitudini, nella
cultura negli stili di vita e di consumo della civiltà europea ed occidentale
in generale, meritevoli di moderazione, sobrietà e cambiamento. Essi hanno un
notevole peso al riguardo, perché senza di essi non si potrà fronteggiare le
crisi e soprattutto avere un nuovo assetto improntato alla sostenibilità.
2.
L’efficacia
delle misure che si intendono intraprendere in UE per fronteggiare le crisi in
atto - per quanto encomiabili esse possano essere - non può più essere discussa
in termini esclusivamente locali,
cioè europei, ma l’efficacia deve essere raffrontata alle singole situazioni
continentali, sia perché al confronto le misure europee potrebbero rivelarsi di
scarsissimo apporto o globalmente inefficaci, sia perché le singole situazioni
locali si dovrebbero mirare in modo più efficiente e con diversi gradi di
priorità.
3.
La situazione attuale richiede consapevolezza
delle popolazioni piuttosto che occulte politiche di decrescita, nonchè un
serio piano di intervento che spesso implica il riconoscimento della gravità
del momento da parte di coloro che questa gravità non sono disposti a
riconoscerla, o perché vogliono seguire un proprio approccio al problema
come nel caso degli USA o addirittura nel tentativo di proseguire, come la
Cina, in politiche di crescita anche attraverso dumping ambientale in un mondo
sempre più competitivo, che si potrà ritrovare a fronteggiare nel sospetto anche
la prossima emergenza sanitaria le cui origini, come la prima oggi in atto,
potranno apparire del tutto dubbie.
4.
La
riscoperta della correlazione diretta tra aumento demografico e aumento dei gas
serra
sebbene escluda l’Europa richiede invece agli altri continenti un serio
intervento in campo. Tale correlazione è di evidenza scientifica e non si può
più tentare di ignorarla per risolvere i problemi in atto.
5.
L’inevitabile
decrescita economica potrà ridurre quota salari e PIL e in assenza di
interventi istituzionali adeguati, incidendo sulla produzione, sul lavoro e la
domanda di beni e servizi, comportando altresì rischio di insostenibilità
finanziaria a causa dei debiti pubblici e privati globali. Non sembra solo il
“disagio” ciò che si va prospettando, ma qualcosa che può volgere in rischi e
pericoli inaspettati ed imprevedibili. La pandemia Covid-19 ha di fatto imposto
una decrescita che è solo avvertimento di ciò che potrà succedere.
6.
Assumendo
che la nuova potenza prevista sia tutta
rinnovabile e un ciclo di vita medio d’impianto pari a 20 anni, lo “sforzo”
compiuto dall’UE non appare sufficiente,
neanche soltanto per il settore elettro-energetico. Inoltre
la gran parte delle risorse sono attese dal settore privato, come se quello
pubblico debba restare immobilizzato nel pieno dell’emergenza e non avesse né
ruolo, né responsabilità verso gli stati nazionali ed i loro popoli. In
definitiva l’intero piano, la sua entità
e la sua articolazione burocratica lo rende poco operativo per una
Emergenza Globale.
7.
Il
ruolo centrale delle energie rinnovabili, specie fotovoltaico ed eolico,
richiede materiali e tecnologie energivore attraverso risorse ad oggi ancora
indisponibili per tutti i popoli della Terra, come indisponibili sono le gigafactory che sarebbero richieste,
visti i limiti strutturali che si riscontrano nella crescita di potenza
rinnovabile installata.
A
taluni potrà certo sembrare strano che a proposito di questi argomenti si parli
di sistema sociale in termini non solo tecnico-economici, ma anche culturali e
valoriali. Ma, il mondo del consumo e del “mercato” è fatto di materiale umano
che, in quanto tale, è influenzabile, orientabile in vario modo verso sensi e
valori prestabiliti. Non a caso lo sottolineava Vance Packard nel suo celebre
capolavoro dal titolo “The hidden
persuaders” che “la dice lunga” sulla persuasione occulta. E questo introduce un ulteriore argomento.
5. Assistiamo
ad una nuova comunicazione sociale e un nuovo marketing fuori dall’etica
Al
giorno d’oggi sui media si assiste al dibattito tra economisti per affermare se
sia la domanda a creare l’offerta oppure se sia l’offerta a creare la domanda. È
evidente che in un caso la produzione è vincolata e determinata dall’offerta
sia in termini di quantità e qualità dei prodotti, sia in termini di utilità
sociale. Nel secondo caso invece la situazione è esattamente ribaltata e la
produzione diviene libera da vincoli che l’offerta può imporre. A quell’interrogativo,
dunque, soggiace la libertà finora sperimentata di creare liberamente nuovi
prodotti prescindendo anche dalla loro utilità sociale e puntando alla
commercializzazione massimizzando il profitto; magari attraverso mastodontiche
operazioni di marketing e campagne pubblicitarie che possono indurre bisogni
tutt’altro che primari, facendo ricorso, se del caso, anche a messaggi
subliminali di cui è nota l’esistenza. Essi raggiungono i consumatori
attraverso i media, specie quelli audiovisivi, in cui una programmazione
psicodinamica deviante può avere un suo specifico ruolo. Per esempio, si
pubblicizzeranno sempre automobili, arredi o alcoolici costosi come simboli di
stato sociale, belle gambe ottenibili con
calze da donne non comuni, sapori particolari per commercializzare
dentifrici. Salute e benessere da prodotti green e bio sono solo
un piccolo esempio dei tantissimi campi di possibile attacco da parte di
tecniche subliminali di condizionamento per imporre nuovi prodotti ad alto
prezzo secondo le tecniche di discriminazione di prodotto note in economia. Si
tratta non solo di mere ipotesi, ma di ragionevoli possibilità, piuttosto da
indagare sul campo, anche per i risvolti che una mancanza di sobrietà
nell’approccio al consumo può causare da un punto di vista energetico, ambientale,
ecologico più in generale. Ad esempio, sebbene la voracità fiscale di uno Stato
sempre più in crisi, come pure il mito della Dea Fortuna come rimedio
all’indigenza possano costituire parte di una risposta, viene da chiedersi come
mai si sia diffusa nella nostra società, specie tra i ceti meno abbienti e che
vivono condizioni di precarietà, l’abitudine di ricorrere al “gratta e vinci”;
questo moderno “Montecarlo dei Poveri” in grado di produrre assuefazione e
trasformare in “gioco e giogo” la vita di molti tra coloro che le tendenze
della società moderna colloca ai margini, tra l’irrilevanza e lo scarto.
Appaiono imporsi una nuova comunicazione sociale e un nuovo marketing fuori
dall’etica che alimentano un falso ecologismo e il prevalere di approcci
consumistici in nome di una libertà di mercato dove l’offerta del nuovo e
dell’ultimo modello creano una domanda altrimenti inesistente.
Tutto ciò
in un momento in cui cresce la consapevolezza che la raccolta e le analisi dei
big data, spesso acquisiti con sistemi truffaldini, possono costituire un
pericolo per l’intera società, senza che vi sia garanzia che possano essere al
tempo stesso una opportunità di migliorare l’agire sociale e la qualità della
vita umana.
Ogni
prodotto incorpora non solo un “costo sociale monetario” necessario per
produrlo (costo afferente alla remunerazione dei diversi fattori produttivi,
ivi compreso il profitto che remunera l’attività imprenditoriale), ma anche un
“costo ambientale” che è, in via esemplificativa, la sommatoria degli
inquinanti emessi per produrre quello specifico prodotto, non solo materie
prime ed energia, impianti e lavoro necessario. Si, perché per produrre le
materie prime, l’energia, gli impianti e fornire il lavoro necessario, ahinoi
si inquina! E disinquinare è costoso!
Il
momento del cambiamento dell’automobile è un momento critico per aziende,
individui e famiglie, non solo quelli in difficoltà economiche (per es. precari
monoreddito), ma anche per quelli in salute che possono contare su un reddito
non ancora “precarizzato”. A chi non fa comodo aderire ad una offerta di
“rottamazione” che agevola il passaggio ad un “nuovo prodotto” più performante, meno inquinante, più
sostenibile? Dinanzi alla pratica della “rottamazione” delle automobili datate,
ritenute inquinanti, una mente razionale si chiede se qualcuno abbia mai
presentato un bilancio sulla convenienza sociale ed ambientale degli incentivi
alla rottamazione. Razionalmente ci si chiede se è sempre vero ed esistono prove che le
emissioni di una Euro 3 per il suo ciclo di vita residuo - oggetto di
rottamazione piuttosto che di riparazione – siano più alte delle emissioni
inevitabili per produrre una Euro 6 più quelle che essa produce fino alla fine
del ciclo di vita della Euro 3. Si tratta di un quesito che nessuno ha mai
posto e mai si porrà, dice un esperto del mercato dell’auto. Le case
costruttrici interpretano le tendenze dei vari mercati e sfornano prodotti come
richiesto dai potenziali clienti. Il problema delle emissioni nocive non li
tocca e i vari scandali recenti su questo tema , da parte di VW, Audi, Ford ,
gruppo FCA lo dimostra. In buona sostanza, "basta che si vende",
tutto il resto non conta. Sempre sul settore dell’auto prendiamo qualche altro
esempio dai media. <L'accelerazione
delle immatricolazioni delle auto elettriche, salite quest'anno del 155%,
genererà 28mila tonnellate di batterie da riciclare nel 2030, pari a due volte
il peso della Torre di Pisa. Lo stima Erion Energy, il Consorzio del Sistema
Erion dedicato ai Rifiuti di Pile e Accumulatori. Nel 2020, spiega il
Consorzio, le nuove auto elettriche immatricolate sono state "circa
30mila, pari a oltre il 3% del totale". Il Consorzio prevede che "nei
prossimi anni la richiesta crescerà di 14 volte rispetto al 2018" ed entro
il 2030, il 17% della domanda di auto elettriche potrebbe arrivare
dall'Europa>.
E’ chiaro che l’impatto dell’auto elettrica se viene valutato positivamente per
la riduzione di CO2, non può essere valutato positivo
complessivamente. Anzi bene fa chi critica la pretesa che le auto elettriche
abbiano impatto CO2 pari a zero, mettendo in evidenza che si ottiene
tale risultato solo perché non si evidenzia il bilancio energetico, ossia non
si prende in considerazione l’intero ciclo di vita del prodotto.
Allora risulta evidente che si è diffuso in sostanza un falso ecologismo, che
alcuni identificano anche con un ecologismo irrazionale, e che altri pensano di poter combattere solo con
quello radicale e catastrofista.
Gli
incontri ed i dibattiti sulla visione di
un mappamondo strizzato da una potente mano fino a spremerne fuori le ultime
gocce di “oro nero” accompagnato da un imperativo: “pentitevi!”, per dirla in
gergo popolare “la dice molto lunga, ma non la sanno raccontare!”. Innanzitutto,
quell’invito al pentimento è chiara evidenza d’essere rivolto agli altri e non
coinvolge per nulla chi lo pronuncia, altrimenti avrebbe dovuto recitare:
“pentiamoci”. Evidentemente, chi lo pronuncia si sente incolpevole perché
“immerso nella sua preghiera e contemplazione quotidiana”; si sente
“assolutamente non coinvolto” circa la direzione che il secolo, e la civiltà
occidentale, ha intrapreso per soddisfare i propri bisogni di sopravvivenza e
di sviluppo.
Nel
dibattito che si è finalmente aperto nella società civile sui cambiamenti
climatici e sull’ecologismo in generale, razionalità umana ed ecologismo devono
essere strettamente interconnessi e le emozioni, al pari dell’incompetenza, devono
essere tenute fuori da questa relazione, come pure le fantasie che rifuggono
dalla realtà, per quanto “belle, giuste e buone” esse possano apparire.
Talvolta
si nota in taluni ambienti, che ad una lucida e fredda analisi razionale della
situazione stante, si preferisce suonare
la Grancassa Mediatica con l’auspicio
che il Popolo (ritenuto ignorante per definizione) venga sensibilizzato alla
preservazione e cura del suo ambiente. Siamo certi che questa è la “retta via”?
Specie quando si è trascurato per
generazioni di intervenire su abitudini ormai inveterate quali:
·
Progettare
un prodotto per il consumo, senza i necessari requisiti di efficienza,
efficacia, durabilità e qualità in generale e in modo specifico accorciarne
artificialmente il potenziale ciclo di vita con interventi mirati nel corso del
processo produttivo con lo scopo di sostenerne la commercializzazione ed il
mercato attraverso la concorrenza e la massimizzazione del profitto?
·
Commercializzare
beni e servizi a livelli di prezzi non corrispondenti ai corrispettivi livelli
di qualità, misurata in termini di:
o
Efficacia, intesa come capacità di assolvere
pienamente la funzione cui sono destinati);
o
Efficienza, intesa come capacità di
raggiungere gli obiettivi di efficacia, durabilità e qualità, senza sprechi e
con il minimo livello di risorse necessarie)?
·
Tollerare
operazioni di marketing che hanno velocizzato il depauperamento delle risorse
attraverso “la tecnica dell’ultimo modello” per alimentare un consumismo
sfrenato funzionale ad un vetero-capitalismo che ha esautorato se stesso
attraverso l’instaurazione del turbo-capitalismo finanziario moderno che
privilegia l’investimento in derivati all’intrapresa, più remunerativo e
socialmente più devastante?
Si
richiede anche attenzione e accortezza nella comunicazione perché è stato detto
anche in modo più diffuso:
“Se l’ecologismo
dei primi tempi esprimeva solo l’aspirazione di gente inurbata a ritornare ad
assaporare odori e profumi di campagne e boschi, oggi esso è divenuto un
movimento politico basato su tre pilastri: proibire, tassare e far sentire in
colpa le persone.”
E ancora: “... la gerarchia della Chiesa sta oggi dando sempre maggior credito ai
militanti dell’ecologia politica radicale e dunque a coloro che hanno il
duplice obiettivo politico di promuovere la decrescita e di colpevolizzare
l’uomo, mantenendolo in un perenne stato di paura per l’avvenire anziché
promuovere in lui la responsabilità e la virtù teologale della speranza.”
In
buona parte delle diverse fattispecie che si incontrano, non si tratta di “Qui
in odio Ecclesiam habent “,
piuttosto di chi “Non possumus
intelligere”! Ed è evidente che l’attribuzione di “colpa”, se di colpa si
tratta, non induce automaticamente il timor di Dio, ma può rivolgersi, almeno
fino al “Giudizio”, verso un coinvolgimento degli stessi Vertici che hanno
governato e governano il Mondo, anche da un punto di vista spirituale.
6.
Economia
delle Nazioni o Globalizzazione? Ossia: Economia Libera e Aperta Versus
Economia Chiusa e Pianificata?
Dopo la seconda guerra mondiale, - ormai riconosciuta in un
“armistizio di venti anni” [14] come
continuazione della prima per
“risolvere” i problemi insoluti rimasti sul tappeto (evidenza ne furono
Nazismo, Fascismo, Crisi del 1929) -, il mondo ha vissuto nella Guerra Fredda
una contrapposizione dei blocchi antagonisti che si erano venuti formando dopo
Yalta. Da un lato il blocco comunista, ad economia chiusa e pianificata che ha
dato – fino alla caduta del Muro di Berlino - prova evidente del suo
fallimento, con immense inefficienze, sprechi
e risorse dedicate agli armamenti
e sistemi da guerra; dall’altro lato una economia capitalista e liberale che
assumeva – nel bel mezzo del pauperismo dilagante - il “Sogno Americano” di
generalizzazione del benessere, scoprendo al tempo stesso ed in modo progressivo l’opportunità di un
possibile approccio imperialista nel dominio del mondo, attraverso la potenza
militare, industriale, economica e finanziaria. Il risultato è stato un
impoverimento strutturale dei sistemi comunisti ad economia chiusa e
pianificata, che si sono richiusi e trincerati in se stessi, entro i propri
confini, armandosi “fino ai denti “, limitando le libertà dei propri cittadini
e inseguendo il mito della propria sicurezza per la difesa della propria
indipendenza, a costo di mettere a repentaglio l’esistenza di questo pianeta e
della vita sulla Terra a causa degli armamenti nucleari e sistemi missilistici
permanentemente puntati e contrapposti, dove un errore umano avrebbe potuto
produrre un olocausto anche
incidentalmente. Nel frattempo è divenuto palese il benessere e il
vantaggio dei sistemi ad economia libera ed aperta rispetto a quelli ad
economia chiusa e pianificata. La rivolta ungherese del 1956 fu la chiara
dimostrazione dell’avvio nei paesi del COMECON di un “revisionismo critico” contro le tendenze imperialiste del Regime
Sovietico in Europa. Però, lo stesso processo avverso gli alleati vincitori
della II° guerra mondiale e la NATO che avevano costituita, non attecchì
nell’Europa occidentale. Ciò non solo per i rapporti politici che i regimi
democratici appena istituiti avevano prodotto, ma, forse anche, per lo
straordinario progresso economico ed industriale che riscuoteva consenso negli
stessi paesi vinti, e che essi pur vinti
potevano sperimentare grazie alla “democrazia”(sostenuta anche da operazioni
tipo Gladio) . Il papato di S.Giovanni Paolo II e l’appoggio a Solidarnosc in
Polonia inferse un duro colpo al Regime Comunista, al punto di mettere in
pericolo il Papa nella sua stessa persona attraverso un attentato. Le
sperimentazioni reaganiane per “Scudi Stellari” e sistemi di inseguimento e
neutralizzazione di missili nucleari a corto, medio e lungo raggio, hanno poi
mostrato a tutti l’inutilità della contrapposizione dei blocchi e dello
sperpero di risorse per raggiungere una sicurezza militare che si presentava
tanto più evasiva, quanto più si tentava di raggiungerla e garantirla. Prova ne
fu la penetrazione del sistema di sicurezza sovietico attraverso volo a bassa
quota da parte di un aereo leggero da turismo, pilotato da un adolescente partito dalla Germania con
destinazione Mosca[15] e
che mostrò al Mondo, con l’atterraggio
proprio sulla Piazza Rossa, la vulnerabilità del sistema di difesa sovietico
che solo in apparenza si poteva ritenere
bunkerato e invulnerabile. Forse coincidenza, forse verità o forse inversione di cause ed
effetti, iniziarono i periodi di Glasnost
da cui ebbe origine la Perestroika
culminanti poi nell’abbattimento del Muro di Berlino divenuto – a torto o a
ragione - simbolo della supremazia occidentale su quella orientale. In quel
frangente i trattati di non proliferazione delle armi nucleari che erano nati
tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70[18],
ebbero una stagione di rinnovamento fino a raggiungere nel 1996 il Comprehensive TestBan Treaty, Ctbt. In
questo nuovo clima in cui sembrava prospettarsi una nuova stagione di pace e di
sviluppo generalizzato, trovò anche accoglimento di fatto la proposta italiana[19] di
“conversione nucleare”; ossia utilizzare il disarmo per promuovere lo sviluppo
dei paesi più poveri. Ciò poteva avvenire impiegando un dividendo generato
dall’utilizzo di combustibile, in centrali nucleari, proveniente dalla
diluizione del materiale fissile destinato precedentemente alle armi atomiche
(qualcosa di simile all’inverso del processo di arricchimento dell’uranio), per
generare elettricità, dalla cui vendita il dividendo allo sviluppo sarebbe
stato reso disponibile. E’ così che il
disarmo nucleare si è potuto in parte realizzare per qualche decina di migliaia
di ordigni nell’arco di un ventennio circa. In questo modo le centrali nucleari
hanno certificato la loro essenza di strumenti di pace per la capacità di
generare elettricità disinnescando, al tempo stesso, il potenziale distruttivo
della armi nucleari. Conseguentemente, questo procedimento di “conversione
nucleare” è divenuta la base dell’azione sociale di Civiltà dell’Amore e
Nuclear For Peace, che perdura tutt’oggi.
Nel frattempo il Progetto di Europa Unita - nato e promosso dopo Yalta,
sotto la spinta dei vincitori della seconda guerra mondiale, per arginare
l’avanzata comunista nell’Europa dell’Est[20]
- guadagnando spin e arrivando, pur sempre senza l’anelata unificazione
politica, all’introduzione anzitempo di una moneta comune (l’Euro), sembra
sfuggire al controllo dei promotori e sottrarre, attraverso competizione,
potere commerciale agli alleati e potere finanziario al dollaro; che, peraltro,
si era imposto nel mondo già prima della nota “rivelazione” in epoca Nixon: “The dollar is our currency, but it's your
problem”. Così, la stessa scelta europea di un primato dell’economia
sociale di mercato, supportata in diversi ambiti ecclesiastici ed economie
nordeuropee, sembra essere divenuta incompatibile ed in dissidio con alcuni
principi costituzionali nazionali come quelli italiani. Su altro fronte occorre dire, però, che la
Cina dopo il Maoismo e le successive crisi allargate, sperimentate in più parti
nel continente asiatico, non si è mai piegata alla supremazia occidentale ed è
rimasta aderente al proprio credo “comunista” fino a quando - l’11 Dicembre
2001 – la Cina entrò nel WTO. E da quel giorno – qualcuno sostiene - il mondo
subì il più grande cambiamento economico della sua storia recente.[21] Una élite
tecnocratica di circa 50 milioni di ingegneri ha preso le redini del paese del
dragone e lo ha portato ad un livello che prefigura a breve il “Sorpasso”,
ossia una supremazia cinese in campo economico e commerciale oltre i limiti
dell’intero sistema produttivo nordamericano, fortemente indebitato e con un
debito tutt’altro che internalizzato, bensì posto in discreta parte nelle mani
e sotto il controllo del concorrente cinese. Si è così giunti alla guerra delle
valute e dei dazi, alla guerra commerciale, a quella tecnologica ed informatica
attraverso il web e l’hackeraggio, un conflitto generalizzato di tutti contro
tutti che si è spostato dalla Terra nello spazio e particolarmente nel cyberspace. Una guerra occulta e “fatta a pezzetti” ma che non produce
meno vittime sulla Terra rispetto al passato se si considerano le crisi economico-finanziarie
divenute pseudo-strutturali, l’impoverimento globale degli strati intermedi per
effetto della concentrazione della ricchezza, le pandemie, il terrorismo
internazionale e le ribellioni o proteste causate dalla percezione di
discriminazione e ingiustizia distributiva dei beni prodotti; specie di quelli
che danno dignità alla vita umana: acqua, cibo, abitazione, salute, energia,
locomozione. In tutto ciò la Cina pur adottando pratiche capitalistiche di tipo
occidentale, ha conservato nella politica e gestione del potere un approccio di
vecchio stampo, autocratico, in cui non solo la mancanza di “democrazia”, ma
anche la mancanza di diritti umani e il rispetto dell’ambiente sono stati e
sono tuttora sotto la sferza della critica globale, che giunge a parlare anche
di dumping sociale ed ambientale pur di conservare vantaggio competitivo nelle
pratiche commerciali, economico-finanziarie, industriali. In definitiva la Cina
è andata man mano configurandosi nell’assetto globale come nuovo polo antagonistico
del capitalismo liberale assurgendo a modello del capitalismo di stato
autocratico. In tale configurazione la Cina è divenuta riferimento per altre
economie, anche occidentali (Europa compresa), dove le istanze socialiste sono
ancora forti e persistenti, al punto che sembra quasi rinascere un dibattito
mai sopito nella storia moderna e contemporanea fondato sul confronto tra
liberalismo e socialismo; dibattito che non si limita alla sfere intellettuali,
ma coinvolge quelle politiche e di governo di un paese.
Dinanzi all’evidente declino del predominio occidentale, si può
argomentare a lungo su una vasta gamma di temi. Si possono fare analisi e
similitudini, ricercando - a torto o a ragione - le cause in una perduta etica
protestante anglo-(euro)-americana. Quell’etica che aveva generato lo sviluppo,
in cui erano nate le figure WASP (White Anglo Saxon Protestant) dominanti;
oppure ricercando le ragioni nella selezione della sua classe dirigente;
selezione basata sulla competenza solo ai bassi e medi livelli, riservando e
facendo dipendere le più alte posizioni dall’appartenenza sociale, a gruppi
elitari o familiari, e dalla connivenza e interessi condivisi con le classi
dominanti in una logica di “status quo”; come aveva mostrato e forse anticipato
già negli anni ‘70 Franco Ferrarotti con la pubblicazione delle conclusioni
delle sue ricerche americane in Sociologia del Lavoro[22].
Ammesso che vi siano cause certe ed individuabili esattamente, il dibattito
sulle cause - che talvolta può giungere alla critica profonda del liberismo
senza regole, alla preminenza del potere delle multinazionali sugli stati
sovrani, ai nefasti effetti della delocalizzazione industriale o alla critica
della finanza divenuta, da ancella, padrona dell’intrapresa – può giungere sino
a implicare i poteri “forti” (occulti o pseudo-massonici, ecclesiali) e
allargarsi, passando dalle cause ai possibili rimedi. Quest’ultimi
implicherebbero, secondo alcuni osservatori[23],
di riconsiderare elementi fondativi della costituzione americana, delle varie
dichiarazioni dei diritti dell’uomo, del diritto internazionale fondato sulla
indipendenza e sovranità degli stati nazionali, sulla riconsiderazione del
diritto naturale negletto. Altri invece,
ravvisando le implicazioni della finanza
e monetariste, suggeriscono rimedi che spaziano tra la fiducia nelle monete
digitali delle banche centrali, al ripristino della differenziazione di banche
di risparmio e di investimento, sino al ripristino di qualcosa di simile al
vecchio gold standard.
Sebbene il declino della leadership
americana in generale nello stesso occidente appaia evidente, resta conservata
e sostanzialmente intatta la leadership
in campo militare e nella ricerca tecnologica. Un punto, questo, spesso
sottovalutato nei media sui risvolti per il mantenimento della stabilità e
della pace a livello globale, visto che
la tentazione di risolvere le controversie con la forza non è affatto scomparsa
nel mondo di oggi. Una tentazione che può raggiungere livelli altissimi di
tensione in chi detiene l’apparato militare più potente del pianeta, ma che
dovrebbe oggi confrontarsi con potenziali avversari più forti di ieri, specie
se riuniti, dal confronto, in una coalizione.
Può darsi che il contesto non sia quello qui descritto, ma se lo
fosse, certamente una situazione di stand-by
non aiuterebbe una comunità umana globale devastata dalle crisi ormai
strutturali, dalla pandemia, dall’incertezza e dalla contrapposizione
permanenti. Una situazione di stand-by
logora; logora in particolare le “democrazie occidentali” in cui si registrano
contrapposizioni piuttosto che unità di intenti, altrove imposte in maniera
autocratica. Per cui le “democrazie” appaiono quelle più fragili sotto il peso
permanente del logoramento. Sarebbe di
nuovo una “guerra di trincea” sotto mutate spoglie, una guerra di resistenza
alle avversità per le difficili situazioni attuali che si sono venute a
determinare in ogni aspetto della vita dei popoli e delle nazioni della Terra.
Eppure vi è un aspetto su cui sembra che nessuno, tra coloro che
contano, ha voglia di riflettere. Si tratta dell’economia pianificata in un
sistema chiuso. Economia divenuta oggi possibile grazie alle tecnologie
sviluppate e a quelle informatiche e di automazione in particolare.
La vecchia Unione Sovietica, in un sistema comunista (ossia pubblica
detenzione dei mezzi di produzione) e autocratico (ossia regime politico
imposto e mantenuto con l’ausilio della detenzione e gestione della “forza”
piuttosto che il consenso) ha sperimentato i disastri cui può condurre un
sistema economico chiuso non gestito. La motivazione nel mondo produttivo era
assente, al pari dell’efficienza! La morale, pur laica – senza un dio aldi
fuori del Partito - non brillava di esempi etici. Succedeva così che dove
serviva pane arrivavano saponette e dove occorreva il dentifricio arrivava
varecchina. E’ noto quanto a quell’epoca i piccoli appezzamenti di terreno,
dati in assegnazione a “contadini” in grado di coltivarli per usi propri,
producessero molto di più e più efficacemente di quanto producevano i grandi
aggregati pseudo-cooperativisti sotto il controllo del regime. Nelle periferie,
sulle strade di grandi città, si potevano vedere vecchine con qualche pomodoro
o peperone in mano da vendere in nero per sopravvivere, ma che costituivano offerta
in grado di essere accolta (forse anche con soddisfazione) dalla domanda reale,
presente a quel tempo di penuria. Gli obiettivi della pianificazione
centralizzata erano di massimizzare la produzione (di un sistema inefficiente,
dove il lavoro poteva essere un optional) e non di calibrarla alla domanda
sorta dalle esigenze concrete. La pianificazione era centralizzata e del tutto
sconnessa dalle esigenze delle periferie. La distribuzione era decisa su
parametri paternalistici e non oggettivi. Però, oggi occorrerebbe chiedersi
quanto del disastro cui abbiamo assistito era afferibile alla mancanza, a quel
tempo, di tecnologie informatiche e comunicazionali, che permettessero al
potere centrale di mantenere la gestione e il controllo (anche semplicemente sui
fatti produttivi, di allocazione e distribuzione risorse e prodotti) su un
sistema economico vasto quanto mezzo mondo? Dalla caduta del muro e con il
tempo, guaritore di mali, il sistema preesistente è certamente cambiato in
meglio, anche se non del tutto.
Ora trasliamo, tutto ciò a tempi più recenti, in un contesto cinese in
cui, disponendo di tecnologie informatiche e comunicazionali, viene ceduto
know-how e tecnologia occidentale e si inizia a sviluppare una tecnologia
autoctona, in un sistema sociale autocratico, ma educato all’etica maoista: “da
ciascuno secondo le proprie capacità; a ciascuno secondo il proprio lavoro”. A
ciò si aggiunga la voglia mai sopita della finanza e del capitalismo
ultra-liberista occidentale, che alla ricerca del massimo profitto ad ogni
costo, prescindendo dallo stato di salute delle proprie industrie, delocalizza
le sue imprese dai territori di origine per sfruttare i vantaggiosi
differenziali del costo della manodopera cinese (o indiana, o altro), mirando
anche ai vantaggi di un mondo scarsamente regolamentato dal punto di vista
ambientale e dei diritti umani, che alla fine in maniera palese o nascosta
permette, o tollera, pratiche di damping
sociale ed ambientale al fine di un vantaggio competitivo.
In tutto questo dovremmo ravvisare non soltanto le ragioni del
miracolo cinese in particolare e quello che hanno vissuto i paesi emergenti più
in generale, ma dovremmo anche prendere atto della irresponsabilità del sistema
produttivo occidentale e della sua etica svincolata da ogni altro valore che
non fosse il massimo profitto, nel breve periodo e con il minor sforzo
possibile, senza porsi il problema del lungo periodo e quello delle proprie
radici in una finta ottica di
cosmopolitismo culturale imperante. Viene tuttora ignorato anche, come fanno
gli struzzi nella cova, “seppellendo la testa” sotto la sabbia, che una volta
equilibrati globalmente e resi simili dal tempo e dal commercio internazionale,
i differenziali nei costi del lavoro e delle risorse in generale, non ci sarà delocalizzazione
che tenga e flussi di profitto massimizzato cesseranno di esistere, ponendo
molti interrogativi sulla persistenza del capitalismo come lo abbiamo
conosciuto, fuori dal gioco finanziario delle borse e dei derivati che
presumibilmente dovranno cambiare forma e tipo di gioco.
I cultori delle teorie marxiane del crollo del sistema capitalistico,
per effetto di un saggio di profitto condannato ad essere naturalmente
decrescente nel tempo, dovrebbero ben
riflettere su una legge storico-sociale forse ancor più generale. Infatti,
osservando tutto quanto sopra, non si può dimenticare quel materialismo storico
dialettico di radice marxiana che – riducendo ogni religione a
sovrastruttura e negando Dio – era servito
a creare forze pur antagoniste (ossia, capitale e lavoro contrapposti dall’incitazione : proletari di tutto il mondo unitevi!) che hanno sviluppato un
sistema di dominio nel mondo, ma che alla fine sono diventate catene per ogni
ulteriore sviluppo in modo ugualmente vero, sinora, sia nel caso di esperimenti
di socialismo reale, sia nelle società capitalistiche di origine occidentali.
Resta, però, da vedere cosa accadrà con il Grande Dragone, ancora florido dopo
il Covid-19, rispetto ad un Occidente in panne e fiaccato!
Il mondo autenticamente cristiano ha reagito in vario modo a tutto
ciò, ma sempre nella consapevolezza che l’Onnipotente consente il “male” o per
mettere alla prova la fedeltà di coloro che gli appartengono (il Libro di
Giobbe insegna!) e comunque solo in vista di un “bene” maggiore (solo
spirituale?). Le grandi encicliche della Dottrina Sociale della Chiesa avevano
ben preparato il terreno e così oggi nei vincoli, veri o presunti cui conduce
la pandemia Covid-19, l’umanità incomincia a riscoprirsi – seppur solo in parte
- viaggiatore nello spazio su un pianeta forse non unico, ma certamente
singolare nel sistema cui appartiene, definendolo “casa comune” da difendere a
beneficio delle generazioni future e soggetto a limiti e vincoli per garantire
questa preservazione. Insomma il Mondo affronta una transizione e si pone alla ricerca
dell’assetto finale dopo-transizione, cui pur per diverse vie occorre mirare per
comporre in modo stabile l’intero puzzle.
Ma, proprio in questa ottica non sembra esserci consapevolezza che un tale mondo
“globalizzato” nei suoi singoli “pezzi”, fino a ridursi a quel villaggio
globale predetto negli anni ’60 da Marshall Mc Luhan, conduce immediatamente e
senza mezzi termini ad un sistema economico chiuso, pianificato o piuttosto da
pianificare. A meno di non poter constatare a breve che “non siamo soli”- come
ormai i media suggeriscono con avvistamenti e testimonianze - e attivare
commerci planetari con altre civiltà aliene, cosa che finora è stata relegata
negli ambiti della fantascienza o delle teorie della “new-age”. In definitiva
si pone l’interrogativo se a fine transizione il sistema globale sarà più
vicino ad un sistema autocratico, alla cinese, oppure più vicino ai sistemi
“democratici” di tipo occidentale. Aldilà degli esiti di gestione politica,
però, è chiaro e vero, salvo per chi non vuol capire, che quel sistema globale
non potrà che essere chiuso e pianificato o da pianificare. Una alternativa,
però, potrebbe essere innestare l’inversione di marcia sui processi di
globalizzazione, (ri-)dare sovranità e potere agli stati nazionali, ivi
compresa la loro sovranità monetaria, in base al diritto di autodeterminazione
dei popoli.[24] Una
simile ipotesi può apparire, nei fatti, come puntare indietro nel tempo e
tornare all’inizio degli anni ’50, a quel clima “ideale”, che aveva caratterizzato l’Europa in
particolare, a seguito dello scempio e della sofferenza che la guerra aveva
prodotto. In realtà, se confrontiamo questo atteggiamento che potremmo definire
di nuova valorizzazione dell’economia delle nazioni, troveremmo non tracce, ma
chiare indicazioni negli insegnamenti non solo cristiani, come ad esempio:
A)
L’atto di Nimrod (secondo alcuni
etimologicamente “Il Ribelle”[25]) che con “La torre di Babele intendeva unificare i
popoli della terra in un solo popolo, fu ritenuto un atto di superbia dal
Signore- Dall’Antico Testamento - Genesi 11,1-9 – Nuova Diodati, troviamo letteralmente quanto segue: <1 Or tutta la terra parlava la stessa
lingua e usava le stesse parole. 2 E avvenne che, mentre si spostavano verso
sud, essi trovarono una pianura nel paese di Scinar, e vi si stabilirono. 3 E
si dissero l'un l'altro: «Orsù, facciamo dei mattoni e cuociamoli col fuoco!».
E usarono mattoni invece di pietre e bitume invece di malta. 4 E dissero:
«Orsù, costruiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo, e
facciamoci un nome, per non essere dispersi sulla faccia di tutta la terra». 5
Ma l'Eterno discese per vedere la città e la torre che i figli degli uomini
stavano costruendo. 6 E l'Eterno disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno
tutti la medesima lingua; e questo è quanto essi hanno cominciato a fare; ora
nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare. 7 Orsù,
scendiamo laggiù e confondiamo la loro lingua, affinché l'uno non comprenda più
il parlare dell'altro». 8 Così l'Eterno li disperse di là sulla faccia di tutta
la terra, ed essi cessarono di costruire la città. 9 Perciò a questa fu dato il
nome di Babele, perché l'Eterno colà confuse la lingua di tutta la terra, e di là
l'Eterno li disperse sulla faccia di tutta la terra>[26].
B)
Citando dal punto 56 del Catechismo della
Chiesa Cattolica – Libreria Vaticana Editrice - 1992 -pag. 33: <L'Alleanza con Noè dopo il diluvio
esprime il principio dell'Economia divina verso le "nazioni", ossia
gli uomini riuniti in gruppi, "ciascuno secondo la propria lingua e
secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni" (Gn10,5)....L'Alleanza con
Noè resta in vigore per tutto il tempo delle nazioni, fino alla proclamazione
universale del Vangelo... nell'attesa che Cristo riunisca "insieme tutti i
figli di Dio che erano dispersi">.(Gv 11,52). Ci si chiede, così, se la globalizzazione in
atto o ogni processo che punti a riunificare le nazioni in un unico organismo,
è processo che può essere “umano”, oppure è riservato solo a Cristo nella
parusia per instaurare il Suo Regno; e se in tale ottica, ad esempio in UE, ma
vale anche in altre odierne situazioni (per es. Medioriente e Nordafrica
mediterranea), l'aggregazione di
cospicue porzioni di popoli, pur in dissenso, possa essere obiettivo
approvato dalla Chiesa Cattolica poiché in armonia con i fondamenti della
Dottrina e del Magistero.
C) Secondo
alcuni studi biblici condotti in seno al Protestantesimo Nordamericano[27] , una
società universale, con una identica cultura e lingua (come era, ad esempio, il
mondo antidiluviano) è molto più facile da controllare e manipolare da parte
delle Forze del Male. Per cui, si ricava un esplicito, singolare ed inaspettato
ruolo del Nazionalismo e della Legge, che sembrerebbero mettere in guardia nei
confronti dei processi di Globalizzazione in atto, non solo sul fronte
economico e commerciale. Si giunge cosi in detti studi, in modo esplicito, a sviluppare una analisi
su: “Law and nationalism as a restrainers
of satanic influence”
.
7. Alcune Conclusioni su Conversione e Sviluppo
Il tempo che viviamo sembra caratterizzato da
due tendenze opposte: una unitiva (vedasi
ad esempio la globalizzazione e lo stesso processo di unificazione europeo,
o similari) e l'altra divisiva (vedasi ad esempio le rivendicazioni autonomiste
di molte regioni in molte parti del mondo). Queste tendenze sembrano ispirare
due atteggiamenti opposti ed inconciliabili: uno teso verso il cosmopolitismo e
l'altro verso il nazionalismo/regionalismo. Questa sorta di dualismo è stato ed
è oggetto di discussioni non soltanto a livello politico, ma anche a livello
religioso, come si è visto sopra. Ad esempio si riportano le seguenti
citazioni:
-
“La
globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. ( S. Giovanni Paolo II, Discorso alla
Pontificia Accademia delle scienze sociali, 27 aprile 2001 )" ma
dipende dall'uso che se ne fa.
-
<Indubbiamente
va attentamente rivalutato il ruolo e il potere politico degli Stati, in un’epoca
in cui esistono di fatto limitazioni della loro sovranità a causa del nuovo
contesto economico-commerciale e finanziario internazionale>>
(D.Petti – Dialogo sulla Politica con Benedetto XVI – 2013 – Lateran University
Press).
Purtroppo l’umanità sta vivendo un periodo di grande difficoltà e non
è più il tempo delle sole citazioni, ma delle decisioni, al fine di dare una
indicazione chiara ed esplicita agli uomini, affinché possano con discernimento
indirizzare la loro azione e la loro missione nel Mondo di oggi.
In tempi in cui la credibilità,
non solo della scienza, ma di ogni sapere umano sembra essere messa a dura
prova da presunte “verità” di parte, spesso duali e contrapposte, è veramente
difficile commentare o discernere alcunché, se non transitoriamente, con la
forza del personale “sentire”, cui ciascuno giunge con ciò di cui dispone.
Questo non per avvalorare i troppi relativismi che già vanno emergendo in ogni
campo, ma per confessare una difficoltà che induce spesso o al silenzio o
all’inazione per tema dell’errore. Pertanto, queste analisi e riflessioni su
temi rilevanti si spera vengano considerate soltanto a livello di stimolo, di proposta,
con interrogativi che vogliono essere una sollecitazione, per esempio per
indagare personalmente sui “falsi ecologismi” e relativa robustezza. Spesso
essi non vengono professati con malizia, bensì con noncuranza verso personali
approfondimenti (per i quali talvolta non si dispone tutti e allo stesso modo
degli strumenti necessari); noncuranza che porta ad aderire a tendenze mainstream, radicali o non razionali;
quasi spinti da un inesistente obbligo di doversi “schierare”. Ciò è tutt’altro
che Scienza! Ovviamente questo vale per Tutti, perché nessuno ne è
completamente immune. Ma ci si chiede se
al punto in cui siamo, vista l’incapacità delle nostre scienze e di noi stessi
(in quanto esseri umani caduchi) di dirimere in tempi certi controversie
scientifiche, tenere in considerazione innumerevoli variabili (talvolta non
tutte note) e gli effetti incrociati, a breve, medio e lungo termine, potremo
mai chiamare qualcosa “Scienza”, se non nei termini di falsificabilità popperiana?
Dunque, ci resta solo l’alternativa di approcci del tipo “prova ed errore” –
tipico dei primati - in processi ciclici di avvicinamento asintotico e
probabilistico alla Verità.
In una specifica sede pastorale
della Chiesa Cattolica viene riaffermato che l’uomo non può nascere come
diritto di qualcuno, come non può morire offrendo la sua disponibilità ad
annullare la sua storicità; ma soprattutto viene riaffermato come il Risorto
sia presente nella storia e la guidi. Pertanto: “Il Risorto attende
l’umanità al pozzo della globalizzazione”. In
questa fiducia, partecipi di un associazionismo cristianamente orientato,
aperti al contributo di tutte le persone di qualsiasi convinzione, si rileva
una generale intenzione di un serio impegno a cooperare, per quanto possibile,
nell’azione di salvaguardia del creato e di uno sviluppo sostenibile che sia scientificamente
fondato su tutte le tecnologie utili a tale scopo; senza preclusioni e
pregiudizi di sorta. Mentre contro il nucleare di pace tali pregiudizi sono
stati usati, fatti nascere e cavalcati per motivi politici e non poco pesò, tra
l’altro, nel referendum antinucleare del ’87, la mancanza di un deposito
nazionale per i rifiuti nucleari e l’assenza di una dimostrazione di saper
chiudere il ciclo di vita di un impianto attraverso il decommissioning.
Sebbene la situazione sia oggi
mutata, la pubblicazione di una semplice carta dei potenziali siti italiani
atti ad ospitare un deposito di rifiuti nucleari – peraltro a bassa o media
attività, ed in prospettiva qualche rifiuto vetrificato di rientro dal
processamento all’estero del combustibile – ha riportato a galla lo scalpore e
la “paura” delle popolazioni locali nel far spazio sul proprio territorio ad
una simile installazione, che costituisce necessaria infrastruttura per ogni
paese minimamente “sviluppato”, se non altro per rifiuti radioattivi
ospedalieri al momento detenuti più precariamente in magazzini pubblici e
privati.
Tutto ciò, proprio mentre recenti
fatti in seno a potenze nucleari
“democratiche” hanno riportato alla ribalta i rischi cui gli armamenti nucleari
espongono tutta l’umanità, specie in fasi di transizione o di passaggio di
poteri, non importa se gestiti da sistemi democratici o autocratici. Supponiamo
pure per un momento, ammesso e non concesso, che gli armamenti nucleari siano
al sicuro, sottochiave e non vi sia pericolo – per errore umano o per manifesta
intenzione conflittuale – di una guerra nucleare. Fissati gli obiettivi e preso
atto dell’effettiva esistenza di rifiuti nucleari, ha senso trascurare che tra
i materiali più pericolosi e nefasti che imbrattano il mondo, quella “casa
comune” in cui tutti viviamo e che vorremmo curare e proteggere, ve ne sono di
quelli che hanno ancora un ruolo di minaccia, sottomissione e sopraffazione dei
popoli proprio a causa dei tipi e delle tecniche impiegati per usi militari?
Parliamo dei materiali fissili usati per gli armamenti nucleari (i più
pericolosi!), ossia uranio altamente arricchito e plutonio più in particolare,
i cui effetti tossici e radianti sull’ambiente permangono per milioni di anni, a
causa della loro lunga emivita! Bastano microgrammi di plutonio, in micro-particelle libere in aria, per provocare,
se inalate, il cancro al polmone; quando non si tratti della morte immediata
per avvelenamento, data l’alta tossicità. Eppure, pensiamo che sia necessario
decarbonizzare l’economia, privandoci pure dei benefici che il nucleare di pace
può produrre con le centrali elettriche, ma non riteniamo di dover estirpare
alla radice il male del nucleare militare, degli armamenti e degli impianti
necessari a produrli; come se si trattasse di un trascurabile e marginale
argomento al riguardo della conservazione della “casa comune” per le generazioni a venire. Così facendo,
senza accorgersi della “barbarie”, si alimenta l’irrazionale emotività contro
il nucleare di pace, di fatto narcotizzando il sentimento non solo popolare che
trascura ogni significativa riflessione sul nucleare di guerra. Eppure, lo si
capisca o meno, oggi la Scienza dispone soltanto di un metodo per ridurre, “depotenziare”
e rendere più innocuo il materiale fissile di origine militare. Questo metodo
consiste nel “bruciarlo”, anche con tecnologie fertilizzanti, in centrali
nucleari per produrre energia elettrica e consentire la transizione verso un
più generalizzato impiego delle energie rinnovabili, che senza il nucleare di
pace non potrebbe avvenire, se non mettendo a grave rischio di instabilità
l’intera civiltà umana per gli shock economici e finanziari che si verificherebbero,
ancor prima di quelli ecologici e di cambiamento climatico. Gli effetti del
Covid.19 sono sotto gli occhi di tutti e la decrescita di fatto che ne è
conseguenza è solo un piccolo assaggio di ciò che si prospetterebbe in caso di
una transizione energetica “forzata”, che metterebbe a rischio non solo la
crescita e lo sviluppo, ma la stessa Pace sul pianeta Terra. Da qui nasce la
riproposizione del Progetto di Conversione Nucleare di una Civiltà dell’Amore,
per generare l’energia elettrica - attraverso diluizione e uso del fissile in
combustibile per le centrali nucleari – la cui vendita possa creare un
dividendo per coloro che sono rimasti indietro, i poveri, i marginali, gli
scartati, gli esclusi da una società dell’opulenza e dell’eccesso.
La
verità è che la conversione, prima di essere nucleare, deve necessariamente
essere quella delle coscienze e delle menti. Con cinque potenze nucleari nel
Consiglio di Sicurezza dell’ONU, vediamo come oggi si punti a farne parte o a
permanervi attraverso l’armamento e lo showing-off
dei propri muscoli ad ogni occasione. Mentre invece, il disarmo può avvenire se
e solo se tutte le potenze nucleari in campo, all’unisono, volontariamente e
contemporaneamente, decidono di disarmare e adempiono nei fatti questo
proposito. Un possibile mezzogiorno di
fuoco tra pistoleros contrapposti, che buttano via la pistola per entrare
nel saloon a brindare come amici. Si tratta solo di Utopia? Ebbene, se così è,
ci sarà sempre qualcuno a predicarla in nome dei valori della pace e della
fratellanza umana.
E
per finire, qui segue una riflessione che un vecchio boomer
propone a se stesso ed ai coetanei.
Sebbene
la certezza del diritto ed i diritti costituzionali possano venir meno, in un
determinato momento storico, e sebbene i boomer
possano essere stati ritenuti, senza processo se non mediatico, meritevoli
di non aver diritto ad una difesa, almeno da un punto di vista intellettuale,
vale la pena richiamare che il concetto di colpa implica la violazione di una
norma. Similmente per il peccato, affinché sia punibile, si richiede piena
avvertenza e deliberato consenso nel momento della violazione da parte di chi
la compie. Inoltre, se una transizione valoriale prende piede, non è la
transizione in sé che riduce il valore e quindi la rispettabilità di una norma
soggetta a mutazione? Non sono forse la consapevolezza e le intenzioni che
influiscono sul giudizio di un comportamento?
Eravamo
inconsapevoli ed educati a credere nella crescita e nello sviluppo, come mezzo per livellare “in alto” la società umana
attraverso il Sogno Americano di generalizzazione del benessere. Pensavamo di
far bene! Oggi, con l’Europa, si è verificato anche su questo, ma non solo, un
capovolgimento di valori! Ci si chiede se ve ne sia abbastanza per aver fiducia
che quel Giudizio, quello vero e finale, sia di benevolenza e di assoluzione,
non solo per Grazia concessa, ma forse anche perché il fatto non sussiste o
perché non costituisce reato.
Roma,
26/02/2021