Lo annuncia un articolo odierno di
La Repubblica; vedi
Sembra impossibile ricordando le “Le
lacrime di Occhetto”! Rinasce il PCI? Ma dove sono stati fino ad oggi! Aldilà delle preferenze e degli schieramenti
politici una spiegazione al riguardo la devono a tutti gli Italiani!
Subito il pensiero corre alla
caduta del muro di Berlino, fors’anche perché è “naturale” dopo aver letto nel
lavoro di Chomsky una vecchia citazione del Presidente Malese Mahathir
riguardante lo stesso evento :
“Paradossalmente, la più grande catastrofe per noi, che siamo sempre
stati anticomunisti, è stata la sconfitta del comunismo. La fine della guerra
fredda ci ha privato dell’unica leva di cui disponevamo: la possibilità di
defezionare. Ora non ci possiamo rivolgere a nessuno”. Non proprio un
paradosso, ma il corso naturale della storia mondiale reale, come Chomsky fa
puntualmente rilevare.
Un’analoga sindrome certo colpì –
in quella circostanza di “abbattimento e cambiamento” - la politica nostrana,
proprio mentre a sinistra ci si affrettava a buttare via l’acqua sporca,
insieme al bambino, tutto intero. Infatti, in pochissimo tempo, in politica
economica e non solo, piuttosto che convergere su posizioni di tono keynesiano
che avevano da sempre caratterizzato il laburismo anglosassone, abbiamo
assistito da parte della maggioranza della sinistra al rinnegamento delle
dottrine professate fino a poco tempo prima della caduta del muro di Berlino.
Ma questo naturale atteggiamento, che caratterizzò anche Pietro nella notte in
cui Cristo fu tradito, non si limitò a restare tra le contingenze, perché da li
a poco avremmo dovuto assistere anche alla “conversione al capitalismo
liberista internazionale”. Questa conversione, vera o strumentale che fosse, si
spinse progressivamente fino ad abbracciare il liberismo più sfrenato che
osannava al libero mercato senza condizioni, dimenticando ogni forma minimale
di coerenza e di continuità rispetto al passato, che avrebbe obbligato ad
atteggiamenti più cauti e ponderati, se non altro per rispetto di quelle
“masse” sfruttate ed indifese in nome delle quali la sinistra si era fregiata
per anni dei simboli del lavoro. Si trattò di un processo talmente fuorviante
che gli echi della confusione generata risuonano ancor oggi allorquando ci si
pongono domande sui contenuti caratterizzanti le politiche di sinistra rispetto
a quelle di destra, piuttosto che di centro: argomento dove regna sovrana la
mistificazione finalizzata all’accaparramento, come mostrano i più recenti
episodi di corruzione, più estesi e più gravi di quelli che portarono alla fine
della prima repubblica. Ciò accade – come ci dicono antichi e dimenticati Libri
- allorquando si dà “ciò che è santo” a cani e porci, che in quanto tali
saranno solo in grado di calpestarlo! Così siamo giunti ad oggi!
Politiche che vedono la
preminenza di uno stato “regolatore” ispirato a principi di equità e giustizia
sociale, o teorie economiche che mirano idealmente a situazioni di equilibrio
implicanti piena occupazione o quasi, e quindi sposano l’etica che soggiaceva
ai principi fondanti della carta costituzionale, sono ormai respinte e
classificate come “inaccettabili”, “obsolete”, “risibili”, proprio quando - in
un momento di crisi - sarebbero invece essenziali, salvifiche, risolutive.
Tutto ciò avviene in un contesto tutto italiano di cessione di sovranità
monetaria e fiscale all’Europa, realizzata con strumenti tutt’altro che tipici
della democrazia; unica giustificazione : una presunta pulsione verso una unità
europea; unità che se veramente si fosse voluta si sarebbe potuta realizzare
con approcci federativi, mentre da oltre mezzo secolo non avanza, perché è
ancora presente la volontà di volgerla a proprio vantaggio e a scapito altrui,
come mostrano i fatti (vedi Grecia e paesi GIPSI, o PIIGS che dirsivoglia!) cui
assistiamo. Eppure lo slogan di quella che oggi si definisce sinistra è : “la
scommessa sull’Europa”, priva di senso critico e chiarezza di idee, tesa com’è
verso la conquista di un consenso che non è consenso!
Ma è proprio anche di un
“consenso senza consenso” di cui parla Chomsky nella parte più politica dei sui
scritti qui citati.
Ma chi è veramente Noem Chomsky?
Nato nel 1928, di origini
ebraiche russe, sebbene conosciuto prevalentemente come linguista ed esponente
della cultura universitaria americana, è stato professore e ricercatore al MIT
ed è da molti ritenuto una pietra miliare nello sviluppo delle Scienze
Cognitive, avendo il suo punto di vista dominato a lungo, almeno nel periodo
iniziale, negli studi sull’Intelligenza Artificiale.
Non si può resistere alla
tentazione di riportare nel seguente “Estratto” , in modo sequenziale e con le
parole originarie dell’autore, alcune considerazione che possono essere
illuminanti sui temi qui sopra trattati.
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Estratto da
Linguaggio e Politica–
Riflessioni sul mondo dopo l’11 settembre
(di Noam Chomsky - edito da Di
Renzo Editore – Roma – 2011)
- Vi sono due versioni della teoria del libero mercato: la prima si basa sulla dottrina ufficiale, la seconda su quella che potremmo chiamare “la dottrina del libero mercato realmente esistente” per la quale la disciplina del mercato va bene per gli altri, ma non per me. La dottrina ufficiale è imposta sugli indifesi, ma è quella “realmente esistente”.
- L’invasione da parte dell’occidente nel 1918 fu dunque un’azione difensiva per proteggere “il benessere del sistema capitalistico mondiale”, minacciato dai cambiamenti sociali all’interno di quell’area di servizio; così il fenomeno è stato descritto in noti studi. La logica fondamentale della guerra fredda fa parte del contesto generale del conflitto nord-sud .
- Come hanno fatto l’Europa e le nazioni che sono sfuggite al suo controllo a svilupparsi? Violando radicalmente la dottrina del libero mercato. Tale conclusione è valida per i casi dell’Inghilterra fino all’attuale crescita economica dell’Asia orientale e certamente anche per gli Stati Uniti, fin dalle origini leader del protezionismo.
- Gli standard della storia economica riconoscono che l’intervento statale ha giocato un ruolo centrale nella crescita economica, ma il suo impatto è stato molto sottovalutato a causa dell’angusta concentrazione del protezionismo.
- Nel 1996 il Rapporto delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Umano sottolinea la “vitale importanza” delle politiche governative volte a “propagare le specializzazioni e a contribuire ai bisogni sociali fondamentali”, come “trampolino di una crescita economica sostenuta”. Le dottrine neoliberiste, qualsiasi cosa se ne possa pensare, minano l’istruzione e la sanità, aumentano le disparità sociali e riducono la quota del reddito nazionale destinata alla forza lavoro: su questo non c’è dubbio. Di conseguenza, tali politiche indeboliscono proprio quei fattori che, come si ritiene universalmente, sono alla base di una crescita economica sostenuta.
- Il paragone tra l’Asia orientale e l’America Latina è impressionante: questa detiene il peggiore record mondiale per quanto riguarda le diseguaglianze sociali, quella il migliore; lo stesso discorso vale per l’istruzione, la sanità e l’assistenza sociale in genere.
- Nel 1846 l’Inghilterra adottò infine il liberismo internazionalista, dopo che centocinquant’anni di protezionismo, violenze e potere statale le avevano assicurato un grandissimo vantaggio su tutti i concorrenti.
- Un secolo dopo che l’Inghilterra aveva accettato il liberalismo internazionalista, gli Stati Uniti seguirono la stessa strada. Dopo centocinquant’anni di protezionismo e violenza, essi erano diventati il Paese di gran lunga più ricco e più potente del mondo.
- Il programma statunitense di aiuti, chiamato “cibo per la pace” , fu usato anche per sostenere i progetti nel settore agricolo e navale ed estromettere dal mercato i produttori stranieri.
- In altre parole, i principi del libero mercato funzionavano, ma con risultati opposti e, come per la democrazia, i mercati sono giudicati in base ai risultati , non per il modo in cui procedono.
- Le eccezioni più importanti sono almeno tre. Una componente fondamentale della teoria del libero commercio è che i sussidi pubblici non sono permessi; ma, dopo la seconda guerra mondiale, i più importanti uomini d’affari statunitensi avevano previsto che l’economia sarebbe crollata senza il massiccio intervento statale che avevano imparato ad apprezzare durante la guerra. Insistettero anche sul fatto che un’industria avanzata “non poteva sopravvivere in una pura, competitiva e non sostenuta economia di free enterprise” e che “solo il governo poteva essere il loro salvatore”.
- Come tutti comprendono perfettamente, la free enterprise paghi i costi e sopporti i rischi, se le cose vanno male: cito per esempio i salvataggi delle banche e società che sono costati ai conti pubblici centinaia di miliardi di dollari negli ultimi anni, a livellivello del Sud America. I profitti devono essere privattizzati, ma i costi devono essere sostenuti dalla collettività.
- Per illustrare “la vera teoria del libero mercato” in un’ottica differente, lo studio più completo delle cento migliori TNC (Trade National Companies) ha mostrato che almeno venti “non sarebbero sopravvissute come compagnie indipendenti, se non fossero state salvate dai loro rispettivi governi”, addossando alla collettività le perdite, o mediante intervento diretto dello Stato, qualora fossero in maggiori difficoltà.
- Lo stesso studio citato sottolinea che “non c’è mai stato un gioco alla pari nella concorrenza internazionale e si nutrono forti dubbi se mai ci potrà essere”. L’intervento del governo, che ha costituito “la regola piuttosto che l’eccezione negli ultimi due secoli[…],ha giocato un ruolo chiave nello sviluppo e diffusione di molti prodotti e di molti processi innovativi, soprattutto nel settore aerospaziale, dell’elettronica, della moderna agricoltura, delle tecnologie dei materiali, dell’energia e della tecnologia dei trasporti”, così come nelle telecomunicazioni, nelle tecnologie dell’informazione in genere e, tempo fa, nel settore tessile e siderurgico. Letteralmente, “le politiche governative, in particolare i programmi per la difesa, hanno sempre avuto una forza schiacciante nel definire le strategie e la competitività delle maggiori compagnie a livello mondiale”. Altri studi tecnici confermano tali conclusioni.
- Se ci impegneremo a distinguere tra dottrina e realtà, scopriremo che i principi di politica e di economia che hanno prevalso sono ben distanti da quelli proclamati. Si può essere scettici riguardo alla rosea previsione che essi siano “l’onda del futuro” che ci porterà più vicino alla “fine della storia” in una sorta di utopia dei padroni.
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All’origine di queste riflessioni
si ritrovano gli elementi di fondo di quella crisi economica, monetaria e
finanziaria che sta attraversando il mondo occidentale e che sembra essere solo
una parte del “vero problema”. In diversi ambiti si nutre la convinzione che la
crisi sia l’espressione di una più profonda disintegrazione di quei valori
etici (vedasi ad esempio “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” di
Max Weber) che hanno accompagnato la nascita e l’affermazione della civiltà
occidentale sino al punto da farne un riferimento per il mondo intero. Uno
storico ci ricorderebbe che l’impero romano crollò allorquando ci fu un
allentamento, prima, e perversione dei costumi e della morale, poi. I sistemi
democratici occidentali appaiono, oggi, in profonda decadenza e lo sperimentano
gli Italiani attraverso la “sospensione della democrazia” che ha imposto di
necessità un “governo tecnico”; lo sperimenta il paese attraverso il crollo di
credibilità delle istituzioni e soprattutto della politica, che sembra
sprofondare giorno dopo giorno sulla spinta di scandali e abusi generalizzati.
Qualcuno ha ipotizzato che la tangentopoli della prima repubblica, avendo
“scoperchiato la pentola” e mostrato a tutti l’esistenza di una “mangiatoia
pubblica”, avesse quasi di fatto autorizzato chiunque ad assumere analoghi
corrotti comportamenti, giustificabili in virtù della “consuetudine”, che in
campo giuridico – come noto – può assumere valore di “norma”. La rappresentanza
e rappresentatività della classe politica è di fatto azzerata e si nutrono - a
ragione! - preoccupazioni per le prossime elezioni che possono avere diretto
riflesso sulla stabilità e tenuta generale del paese. Ma il sentimento più
diffuso nella popolazione consapevole della gravità della situazione si può
riassumere nell’imperativo categorico per il quale è stato coniato il termine :
“derattizzare la politica”. Il vero rischio è che l’elettorato astensionista,
già a livelli di guardia (si parlava sinora del 40%), può ampliarsi e portare
la parte votante ai livelli “minoritari” del 30-40% come in altre “democrazie
occidentali”. Sarebbe in tal caso la vittoria del “consenso (di una parte
minoritaria) senza il consenso (della vera maggioranza)”, concetto che si
ritrova negli scritti di Chomsky come “metodo” della democrazia qualora
distinguessimo i teorici desiderata dalle prassi che si realizzano nel
concreto.
Avverte Chomsky : “Dagli anni ’50, le multinazionali estere
hanno controllato quote sempre maggiori della produzione industriale” e sono
proprio le multinazionali che si sostituiscono sempre più agli stati nel
governo delle nazioni, in un mondo globalizzato che lascia presagire
l’attuazione di quel mondo orwelliano attraverso la messa in pratica di una ben
descritta “teoria e prassi del collettivismo oligarchico”.
Ma siamo giunti qui
all’improvviso? Oppure qualcuno che avrebbe dovuto non ha vigilato? E’
ipotizzabile che le ambizioni di governo cui ha ceduto una sinistra impreparata
e meglio attrezzata per il “controllo” – svendendo i propri ideali e disprezzando
storicamente un ruolo d’opposizione intelligente – abbia fortemente contribuito
a condurci qui dove siamo? Dov’è l’esercizio dell’autocritica di un tempo,
negletta per mera questione di interessi, spesso personali? Coloro che si sono
“macchiati” possono essere “riammessi nel tempio”? Forse tutti abbiamo
dimenticato ciò che implica la “responsabilità”! L’errore, la colpa devono
essere riconosciuti ed espiati! Solo successivamente è ipotizzabile, e comunque
non garantito, il perdono!
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