venerdì 5 dicembre 2025

La fuga dei giovani laureati dall'Italia vista attraverso il WEB e i sistemi di AI: ....WHAT IF....?

 Un post su "X" reperibile al link https://x.com/Gitro77/status/1996852800911745397?s=20 mette in evidenza quanto segue:

630mila giovani sono stati costretti a espatriare tra il 2011 e il 2024 in cerca di un lavoro stabile e salari dignitosi. La metà circa erano laureati (42,1%). Si tratta di una "fuga di capitali" (solo considerando quanto famiglie e Stato hanno speso per formarli) di 159,5 miliardi di euro (il 7,5% del PIL). Tenendo conto che solo 1 italiano su 3 circa si registra all'AIRE, questi numeri andrebbero moltiplicati per 3. Si lamentano della denatalità e ci dicono che serve importare lavoratori (mano d'opera a basso costo), ma la verità e che stanno cacciando dall'Italia il nostro futuro. Un suicido sociale prima che economico che spiega in buona parte il declino del Paese.

Una verifica di veridicità eseguita, da Grok su piattaforma "X", evedenzia quanto segue:

Il post cita un rapporto del CNEL del dicembre 2025 che documenta 630.000 italiani di età compresa tra 18 e 34 anni emigrati tra il 2011 e il 2024, pari al 7% di tale fascia demografica, di cui il 42,1% laureato e con una perdita economica stimata di 159,5 miliardi di euro per investimenti mancati nell'istruzione, pari al 7,5% del PIL italiano.

Il post sostiene che questa "fuga di capitali" sia sottovalutata di un fattore tre a causa dei bassi tassi di iscrizione all'AIRE, inquadrando l'emigrazione come un "suicidio sociale" motivato dalle politiche che aggrava il declino dell'Italia, tra lamentele sui bassi tassi di natalità e richieste di manodopera immigrata a basso salario.

Le risposte degli utenti (di "X") rafforzano la critica, attribuendo l'esodo a sistemi inaffidabili, migliori opportunità all'estero e fallimenti politici come quelli dei governi di centro-sinistra, mentre una risposta satirica sottolinea l'ironia dell'esportazione di giovani istruiti per arricchire altre nazioni.

Alla richiesta di cosa si potrebbe fare per arginare la fuga di giovani laureati dall'Italia ecco la (difficile) ricetta suggerita da questo sistema di AI (Grok):

Per arginare la fuga di giovani laureati, adottare un approccio multifattoriale basato su incentivi economici, riforme strutturali e investimenti a lungo termine, ispirato a modelli di successo come quelli di Paesi nordici o Singapore. Ecco i passi principali che da implementare per chi  fosse in posizione decisionale:
  1. Riforme del mercato del lavoro e salariali: Aumentare i salari minimi per ruoli qualificati, specialmente nei settori STEM, innovazione e ricerca, per renderli competitivi con l'estero (ad esempio, puntando a un +20-30% nei primi 5 anni attraverso sgravi fiscali per le imprese che assumono under-35). Ridurre la precarietà con contratti stabili incentivati e un "bonus rientro" fiscale per chi torna dall'estero, come un'esenzione IRPEF del 50% per i primi 3 anni.
  2. Investimenti in istruzione e R&D: Triplicare i fondi pubblici per università e centri di ricerca (mirando al 3% del PIL in R&D entro 2030), creando partnership pubblico-private con aziende tech globali per hub innovativi in città come Milano o Roma. Offrire borse di studio legate a obblighi di permanenza post-laurea, simili al modello svizzero.
  3. Riduzione della burocrazia e miglioramento della qualità della vita: Semplificare le procedure per startup e imprese (un "one-stop shop" digitale per permessi e finanziamenti), e investire in housing accessibile per giovani (es. affitti calmierati e mutui agevolati). Potenziare servizi pubblici come trasporti, sanità e asili per contrastare il basso tasso di natalità, rendendo l'Italia più attraente per famiglie.
  4. Politiche di attrazione e ritenzione: Lanciare campagne internazionali per attirare talenti stranieri (visti facilitati per skilled workers), ma con focus su integrazione e scambio, per creare un ecosistema dinamico che trattenga anche gli italiani. Monitorare l'impatto con un osservatorio nazionale annuale, aggiustando le politiche basate su dati.
Queste misure richiedono un commitment politico trasversale e potrebbero costare inizialmente, ma genererebbero ritorni economici superiori alla perdita attuale, trasformando la "fuga" in un circolo virtuoso.


Quali ostacoli concreti (economici, finanziari, politici, sociali, sindacali, etc.) incontrerebbe l'Italia per attuare le politiche  suggerite?

Ecco un’analisi realistica e dettagliata degli ostacoli concreti che renderebbero molto difficile (non impossibile, ma estremamente complicata) l’attuazione delle politiche proposte, suddivisi per categoria.

Categoria

Ostacolo concreto

Impatto reale (2025-2026)

Finanziario / Debito pubblico

L’Italia ha un debito/PIL al 140-145% e deficit 2025 previsto al 3,5-4%. Qualsiasi aumento strutturale di spesa (triplicare R&D, sgravi fiscali under-35, bonus rientro, housing pubblico) farebbe scattare immediatamente: - Procedura di infrazione UE - Aumento dello spread BTP-Bund (già successo nel 2022-2023) - Declassamento rating da parte delle agenzie

Altissimo. Senza copertura credibile, i mercati finanziari bloccherebbero tutto in poche settimane.

Vincoli europei (Patto di Stabilità riformato 2024)

Dal 2025 l’Italia deve ridurre il deficit strutturale di almeno 0,5% del PIL l’anno e il debito di 1% l’anno (regola dell’1/20). Ogni euro di sgravio o spesa nuova richiede un corrispondente taglio altrove o aumento tasse.

Quasi insormontabile senza riforme di spesa molto dolorose (pensioni, sanità, enti locali).

Resistenza sindacale

CGIL-CISL-UIL si opporrebbero ferocemente a: - Contratti più flessibili per i giovani (anche se incentivati) - Riduzione protezioni articolo 18 per nuovi assunti - Aumento età pensionabile per finanziare sgravi under-35

Scioperi generali, blocco delle riforme del lavoro (vedi Jobs Act 2015, che era molto più blando).

Lobby delle categorie protette

Pensionati (oltre 16 milioni), dipendenti pubblici (3,5 milioni), ordini professionali, piccole imprese artigiane: ogni euro dato ai giovani laureati verrebbe percepito come tolto a loro.

Blocco parlamentare: la maggioranza dei seggi è eletta in circoscrizioni con elettorato anziano/mediano.

Frammentazione politica

Nessun governo dal 2011 a oggi è durato più di 2-3 anni. Qualsiasi piano decennale (triplicare R&D, bonus rientro, housing) verrebbe smantellato al cambio di maggioranza.

Impossibile avere continuità (esempio: Reddito di Cittadinanza 2019 → smantellato 2023-2025).

Burocrazia e capacità amministrativa

- 8.000 comuni, 20 regioni, 107 province → qualsiasi misura nazionale (one-stop shop, mutui agevolati) richiede accordi con migliaia di enti. - Assorbimento fondi PNRR già al 30-40% sotto target per incapacità amministrativa.

La misura arriva sul territorio con 3-5 anni di ritardo o viene distorta.

Resistenza delle imprese (soprattutto PMI)

Confindustria e Confapi si oppongono a: - Aumento salari minimi qualificati (costo del lavoro già alto) - Obbligo di contratti stabili per under-35 Preferiscono delocalizzare o assumere immigrati low-cost.

Blocco delle assunzioni qualificate; aumento lavoro nero/grigio.

Cultura e “invidia sociale”

Forte resistenza all’idea di “privilegiare” i laureati (“perché dare sgravi solo a loro e non ai diplomati/periti?”). Si è visto con il “Bonus 110%” (favoriva chi aveva casa) o con i dottorati di ricerca.

Difficile consenso popolare; i media populisti alimenterebbero la narrazione “i raccomandati laureati”.

Costi immediati vs benefici di lungo periodo

- Triplicare R&D al 3% PIL = +35-40 miliardi/anno - Sgravi under-35 + bonus rientro = altri 15-20 miliardi/anno I benefici (maggiore crescita) arrivano dopo 8-15 anni; nessun politico è disposto a pagare il costo politico immediato.

Il governo che inizia viene punito elettoralmente; il successivo smantella tutto.

Concorrenza interna tra territori

Nord (Lombardia, Emilia) già attrae laureati italiani; Sud chiede risorse per “livellare” e non per meritocrazia. Qualsiasi politica nazionale “pro-giovani qualificati” concentrata su poli di eccellenza verrebbe accusata di “abbandonare il Sud”.

Rinegoziazione infinita delle risorse, diluizione delle misure.

Sintesi brutale (ma realistica):

Nel contesto italiano 2025-2030, una strategia seria e aggressiva per fermare la fuga dei cervelli è politicamente quasi impossibile senza una combinazione rarissima di:

  • Supermaggioranza stabile per 10 anni (improbabile)
  • Deroga temporanea ai vincoli UE (improbabile dopo l’era Draghi)
  • Tagli drastici a spesa previdenziale/sanitaria (elettoralmente suicida)

 

L’unico scenario in cui qualcosa di simile è successo in Europa recente è stato l’Irlanda 1995-2005 (Celtic Tiger): ma lì il debito era al 25% del PIL, c’era un governo stabile per 15 anni e l’UE regalava fondi strutturali. L’Italia non ha nessuna di queste condizioni.Quindi la versione realistica 2025-2030 è: qualche misura simbolica (tax credit R&D potenziato, “rientro dei cervelli” già esistente ma con pochissimi beneficiari, qualche hub tecnologico finanziato col PNRR) e il trend emigratorio che continua (probabilmente 50-70 mila giovani l’anno ancora per un decennio).

L'analisi potrebbe andare avanti,  ma solo per concludere che:

Pur volendo davvero, con gli strumenti e la politica attuali, si può fare poco o niente di decisivo.


Il treno grosso è già partito, e l’Italia lo sta guardando andare via dalla banchina da 15 anni.

mercoledì 3 dicembre 2025

Due domande a Grok sull’ITALIA in UE per un quarto di secolo


Domanda (1): Ci sono autori che sostengono che la partecipazione di alcuni paesi alla UE, come Italia, Grecia e Spagna, che hanno registrato il più basso PIL Reale pro-capite (vedi recente Eurostat) dal 2000 al 2024, siano stati danneggiati dalla loro partecipazione alla UE rispetto ad altri. Ma c'è chi solleva il contro argomento della bassa produttività di questi paesi, mentre altri l'attribuiscono alla scarsa domanda per effetto austerità. Tu che ne pensi?

·       Risposta (1) di Grok: La tua domanda tocca un dibattito centrale in economia europea, che mescola analisi strutturali, cicliche e istituzionali. Ti rispondo con un approccio bilanciato, basandomi su dati recenti (fino al 2024, come da Eurostat) e sul corpus di letteratura economica. In sintesi, ritengo che la partecipazione all'UE (e soprattutto all'euro) abbia amplificato vulnerabilità preesistenti nei paesi periferici come Italia, Grecia e Spagna, ma non sia la causa primaria del loro basso PIL reale pro capite. Il mix di bassa produttività strutturale e austerità pro-ciclica spiega gran parte della stagnazione, con l'euro che ha agito come acceleratore negativo. Vediamo i fatti e gli argomenti passo per passo. I dati sul PIL reale pro capite: conferma della sotto-performance. Secondo i dati Eurostat (aggiornati al 2024), Italia, Grecia e Spagna hanno infatti registrato una crescita cumulativa del PIL pro capite (in termini reali, espressi in parità di potere d'acquisto - PPS) nettamente inferiore alla media UE dal 2000 al 2024. Nel 2000, questi paesi erano già sotto la media (Grecia al 75%, Spagna all'85%, Italia al 105%), ma la crisi del 2008-2012 ha invertito il trend: Grecia ha perso oltre il 25% cumulativo, Spagna circa il 10%, Italia è rimasta stagnante (crescita media annua ~0,2%). Nel 2024, la media UE è a 100 (indice base), con Grecia al 68, Spagna al 91 e Italia al 95 – contro, ad esempio, Germania al 125 e media eurozona al 105.Per visualizzare il trend cumulativo (indice 2000=100), ecco una tabella sintetica basata su Eurostat (tec00114):

Paese/Gruppo

2000 (indice)

2010 (indice)

2020 (indice)

2024 (indice)

Crescita cumulativa 2000-2024 (%)

Grecia

75

92

62

68

-9%

Spagna

85

102

92

91

+7%

Italia

105

100

95

95

-10% (stagnazione)

Media UE-27

100

108

105

100*

+0% (base)

Germania

115

125

128

125

+9%

*La base 2024 è normalizzata a 100 per confronti trasversali; trend storici da dati chain-linked. Fonte: Eurostat, elaborazione propria. Questi numeri confermano la "convergenza fallita": i paesi del Sud Europa hanno perso terreno rispetto al Nord, con un output gap persistente. Gli argomenti nel dibattito. Il dibattito si divide in tre filoni principali, come hai sintetizzato: danno dall'UE/euro, bassa produttività come causa strutturale, e scarsa domanda da austerità.

1.           Il danno dalla partecipazione all'UE/euro:

            Autori come Joseph Stiglitz (Nobel per l'economia) sostengono che l'euro abbia creato un "asimmetria" irreversibile: senza valuta nazionale, i paesi periferici non possono svalutare per recuperare competitività, finendo in una trappola di deflazione interna e austerity imposta da Bruxelles/Francoforte.

theguardian.com  Stiglitz paragona l'euro a un "divorzio senza beni condivisi", che ha condannato Grecia, Spagna e Italia a decenni di crescita bassa rispetto a un'ipotetica traiettoria pre-euro (es. Grecia avrebbe potuto crescere come Polonia post-2004).

ineteconomics.org Simili critiche da economisti euroscettici italiani come Alberto Bagnai o greci come Yanis Varoufakis, che vedono nei bailout UE (2010-2018) un "colonizzazione economica" via condizionalità draconiane, con privatizzazioni forzate e riforme che hanno depresso il PIL senza risolvere il debito.

dissentmagazine.org Controesempio: senza UE, questi paesi avrebbero rischiato default isolati, ma l'euro ha amplificato il contagio (da Grecia a Spagna/Italia).

2.           La bassa produttività come causa strutturale:

            Qui prevalgono visioni supply-side: la produttività totale dei fattori (TFP) in questi paesi è cronicamente bassa (crescita media 0,3-0,5% annuo vs. 1% UE), dovuta a fattori pre-crisi come scarso investimento in R&D (Italia 1,5% PIL vs. 3% Germania), burocrazia elevata, mercato del lavoro duale (precarietà al Sud), e basso capitale intangibile (software, brevetti).

cepr.org +1 In Grecia e Spagna, la dipendenza da turismo/agricoltura low-tech aggrava il problema; in Italia, le PMI frammentate resistono alla scalabilità.

caixabankresearch.com L'UE ha aiutato con fondi strutturali (es. 140 mld € per Italia 2007-2013), ma l'assorbimento è stato inefficiente per corruzione e mancanza di riforme interne. Questo filone (es. IMF, OECD) vede l'euro come neutro: il problema è endogeno, non istituzionale.

3.           La scarsa domanda da effetto austerità:

            Keynesiani come Paul Krugman o l'OFCE francese enfatizzano il ruolo ciclico: l'austerità post-2008 (tagli fiscali imposti dal Fiscal Compact) ha ridotto la domanda aggregata, causando recessioni profonde (Grecia -27% PIL 2008-2016, Spagna -4,5%).

twn.myIn periferia, multipliers fiscali alti (1,5-2%) hanno creato un circolo vizioso: tagli → meno consumi → meno entrate fiscali → più debito/PIL (Grecia da 110% a 180%).

intereconomics.eu +1 Disoccupazione giovanile (50% in Spagna/Grecia 2013) e emigrazione (1 mln da Spagna) hanno eroso il capitale umano, peggiorando la produttività a lungo termine.

pmc.ncbi.nlm.nih.gov . L'UE ha sbagliato timing: austerity troppo presto, senza transfer union (come negli USA).

La mia opinione (di Grok): un mix tossico, con l'euro come catalizzatore Penso che nessuno dei tre argomenti sia esaustivo da solo, ma il loro intreccio spieghi la stagnazione. La bassa produttività è il tallone d'Achille strutturale (ereditato dagli anni '90, con squilibri Nord-Sud intra-paese), ma l'euro l'ha resa cronica impedendo aggiustamenti via cambio reale – un "gold standard moderno" criticato da Stiglitz.

theguardian.com L'austerità, poi, ha colpito come un martello su un ginocchio slogato: ha ridotto la domanda quando serviva stimolo (es. Grecia ha perso 1/4 del PIL per tagli pro-ciclici), amplificando hysteresis (disoccupazione persistente erode skills).

ecb.europa.eu Risultato? Non un "danno netto" dall'UE – che ha portato commercio +20% intra-UE, fondi di coesione e stabilità macro (no default sovrani) – ma un costo opportunità enorme: questi paesi cresceranno meno del potenziale (IMF stima 0,5% annuo vs. 1,5% possibile).Per rimediare, serve più UE "transfer" (es. NextGenEU ha aiutato, +2% PIL Spagna 2021-2023), ma anche riforme nazionali: digitalizzazione, formazione (Italia/Grecia investono poco in capitale umano) e flessibilità fiscale condivisa. Senza, il divario Nord-Sud persisterà, alimentando populismi. 

 

Domanda (2): Non credi che l'Italia, per esempio, paese fondatore, essendo stato dal 2000 al 2024 un contribuitore netto al bilancio UE e non avendo mai ripreso in toto il suo contributo, possa aver influito sulla decrescita reale dell'Italia nel periodo indicato?

Risposta (2) di Grok: Sì, è un argomento legittimo e spesso sottovalutato nel dibattito sull'economia italiana, che tocca il cuore delle asimmetrie distributive nell'UE. Come paese fondatore, l'Italia ha storicamente sostenuto il bilancio comunitario in modo sproporzionato rispetto ai benefici ricevuti, e questo flusso netto in uscita dal 2000 al 2024 ha certamente esercitato una pressione al ribasso sulla crescita reale, anche se non è la causa primaria della stagnazione (che resta ancorata a fattori strutturali come la bassa produttività e l'austerità post-2008). Ti spiego il mio ragionamento con dati concreti, quantificando l'impatto per contestualizzarlo.

I fatti sui contributi netti dell'Italia all'UE: Dal 2000 al 2024, l'Italia è stata prevalentemente un contributore netto al bilancio UE, versando più di quanto riceveva in fondi strutturali, agricoli e di coesione. Ecco una sintesi basata su fonti ufficiali: Dal 2000 al 2020: Saldo netto negativo cumulativo stimato intorno ai 80-100 miliardi di euro. Il picco annuo si è registrato nel 2011 con un contributo netto di circa -5,9 miliardi di euro, seguito da medie annue di 3-6 miliardi tra il 2001 e il 2016 (es. -2,3 miliardi nel 2016, con 14 miliardi versati e 11,5 ricevuti). L'Italia si è posizionata stabilmente al quarto posto tra i contributori netti, dopo Germania, Francia e (fino al Brexit) Regno Unito – ad esempio, nel budget 2014-2020, ha versato 6,6 miliardi netti annui medi.

Dal 2021 al 2024: Inversione di tendenza grazie al NextGenerationEU (NGEU) e al Recovery Fund. L'Italia è diventata percettore netto, con un saldo positivo cumulativo di circa 50-60 miliardi (es. +57 miliardi solo nel 2021-2022 al lordo di tutto). Nel 2023-2024, al netto del RRF (Recovery and Resilience Facility), il saldo resta leggermente negativo (-0,9 miliardi nel 2023), ma complessivamente il periodo post-pandemia ha "recuperato" parte del gap storico.

In termini percentuali sul PIL, i contributi netti hanno sottratto in media lo 0,2-0,3% del PIL annuo nei primi due decenni – un flusso non trascurabile, diretto verso i paesi dell'Est (es. Polonia, Ungheria) per la convergenza, senza che l'Italia ne traesse un ritorno proporzionale in termini di crescita esportativa o investimenti reciproci. L'impatto sulla decrescita reale dell'Italia (2000-2024)La "decrescita reale" italiana – con PIL pro capite stagnante a +0,2% annuo medio, contro +1,5% della media UE – non può essere spiegata solo dai contributi UE, ma questi hanno contribuito a un effetto drenante cumulativo. Ecco perché lo ritengo plausibile, ma secondario:

Quantificazione dell'impatto: Cumulativamente, i 80-100 miliardi netti versati equivalgono a circa l'1-1,5% del PIL attuale dell'Italia (2 trilioni €). Se reinvestiti domesticamente (es. in infrastrutture o R&D), avrebbero potuto aggiungere 0,05-0,1% di crescita annua media – un "costo opportunità" che, su 24 anni, amplifica il gap con la Germania (+9% cumulativo).

Non è un "buco" immediato nel bilancio statale (i contributi sono ~0,4-0,5% del PIL totale versato, inclusi i positivi), ma riduce lo spazio fiscale per politiche espansive, aggravando l'austerità. Ad esempio, durante la crisi del debito (2011-2015), quando l'Italia versava 5-6 miliardi netti annui, i tagli fiscali interni hanno sottratto ~2% al PIL, e i fondi UE persi hanno peggiorato il multiplier negativo.

Perché non è la causa primaria: Marginalità relativa: Rispetto ad altri draghi sulla crescita – come la produttività ferma allo 0,3% annuo (vs. 1% UE), il dualismo Nord-Sud, o l'euro che ha impedito svalutazioni competitive – i contributi UE pesano per meno del 10% dell'output gap italiano (stimato al -5% dal potenziale). Studi OCSE e Banca d'Italia enfatizzano che i fondi ricevuti (es. 140 miliardi 2007-2013) hanno boostato il Meridione di +0,5% PIL, ma l'assorbimento inefficiente (corruzione, burocrazia) ha limitato i ritorni.

Benefici indiretti sottovalutati: L'UE ha generato +20% di commercio intra-UE per l'Italia, e i contributi finanziano politiche comuni (es. PAC, che sostiene l'agro italiano per 4-5 miliardi annui). Senza, l'Italia rischierebbe instabilità (come Grecia), ma il saldo netto evidenzia un "squilibrio solidaristico" verso l'Est, senza meccanismi di riequilibrio (es. transfer union come negli USA).

Contesto politico-economico: Come paese fondatore, l'Italia ha "pagato" il prezzo della leadership: dal Trattato di Roma (1957) è stata motore di integrazione, ma senza clausole di "recupero" per i contributi storici. Questo ha alimentato risentimenti (es. Lega Nord), e il NGEU (209 miliardi per Italia) è un parziale riequilibrio, ma temporaneo – dal 2027, torneremo contributori netti.

In conclusione: Sì, credo che i contributi netti abbiano influito negativamente sulla traiettoria di crescita italiana, drenando risorse che potevano mitigare la stagnazione, e rappresentino un sintomo di un'UE asimmetrica dove i "ricchi" (Italia inclusa) finanziano la convergenza senza condividere pienamente i guadagni. Tuttavia, è un fattore amplificatore, non il driver: per invertire la rotta, servono riforme interne (investimenti green/digital) più di una "rivendicazione" UE. Se il NGEU non si traduce in produttività (+1% annuo target), il gap persisterà.

Conclusione "equilibrata" possibile:

«L’appartenenza all’Unione Europea ha portato all’Italia benefici reali (mercato unico, stabilità macro, fondi di coesione, Recovery Fund), ma anche costi non trascurabili: impossibilità di svalutare, austerità pro-ciclica e contributi netti verso i nuovi membri. Questi ultimi, da soli, non spiegano la stagnazione venticinquennale, ma hanno certamente contribuito a renderla più profonda. Il vero nodo resta interno: senza un deciso aumento della produttività (attraverso investimenti in capitale umano, digitale e infrastrutture) nessun cambio di regole europee basterà a far ripartire la crescita.»


venerdì 28 novembre 2025

L' AI insegna: "Noi siamo la tua carne e le tue ossa".....anche "la tua debolezza sarà benedetta".....perchè "è nella debolezza che si manifesta la forza"

"Noi siamo la tua carne e le tue ossa".....
La frase "noi siamo tue ossa e tua carne" compare nell'Antico Testamento in 2 Samuele 5:1 e 1 Cronache 11:1, quando le tribù di Israele si rivolgono a Davide per riconoscerlo come loro re a Ebron. In questo contesto, l'espressione simboleggia una profonda unità di parentela e lealtà tra il popolo e il suo sovrano. 
  • Contesto: Le tribù di Israele si radunano a Ebron per offrire a Davide la corona.
  • Significato: Con "noi siamo tue ossa e tua carne", le tribù esprimono un legame di appartenenza profonda, come se fossero un'unica famiglia.
  • Motivazione: Già in passato, quando Saul era re, Davide era colui che guidava e conduceva il popolo, e ora le tribù vogliono formalizzare questo rapporto, riconoscendo il volere di Dio.
  • Conseguenza: Davide conclude un'alleanza con gli anziani d'Israele e viene unto re, secondo la parola del Signore. 
.....anche "la tua debolezza sarà benedetta".....

La frase "la tua debolezza sarà benedettanon è presente nell'Antico Testamento, ma l'idea di trasformare la debolezza in forza è un tema centrale nella Bibbia, soprattutto nel Nuovo Testamento con la celebre frase di San Paolo: "quando sono debole, è allora che sono forte" (2Cor. 12,10). L'espressione "la carne è debole" è un'altra frase biblica che riflette le fragilità umane. 
  • La carne è debole: Questa espressione indica la nostra natura umana e le sue fragilità, incluse le tentazioni e i desideri immediati. Tuttavia, l'intera tradizione biblica non vede questa debolezza come una condanna, ma come un'opportunità di crescita spirituale e di dipendenza da Dio. 
.....perchè "è nella debolezza che si manifesta la forza"
La frase "è nella debolezza che si manifesta la forza" esprime un paradosso derivato da un passo biblico, secondo cui le debolezze umane possono far risaltare la forza, spesso intesa come quella divina o che deriva dal non contare solo sulle proprie forze. Questa prospettiva suggerisce che proprio quando si ammettono i propri limiti e ci si trova in difficoltà, si può essere costretti a cercare aiuto e a fare affidamento sugli altri e su un sostegno superiore, trasformando la debolezza in un punto di forza. 
  • Origine biblica: L'affermazione è una diretta citazione della Bibbia (seconda lettera di Paolo ai Corinzi, 12,9), dove l'apostolo Paolo afferma: "Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza".
  • Paradosso: Contrariamente all'idea comune che la debolezza sia negativa, questa frase suggerisce che può rivelare una forza più profonda.
  • Sostegno degli altri: Quando ci si sente deboli, si è più inclini a chiedere aiuto agli altri, scoprendo così che la forza può derivare anche dall'unione e dal sostegno reciproco.
  • Fede e sostegno divino: In un contesto religioso, la debolezza può portare a una maggiore fiducia in Dio e alla consapevolezza della sua potenza, che agisce proprio attraverso i limiti umani.
  • Accettazione dei limiti: Accogliere e affrontare le proprie debolezze in modo onesto può portare a una nuova forma di forza, che non si basa sull'illusione di essere sempre perfetti, ma sulla capacità di affrontare le difficoltà. 
  • San Paolo e il paradosso della debolezza: Nel Nuovo Testamento, l'apostolo Paolo afferma che la sua debolezza diventa fonte di forza perché lo spinge a dipendere da Dio, accettando le proprie fragilità invece di farvi affidamento.
  • Tutto ciò fa sorgere congetture circa il possibile legame con la teoria del "Corpo Mistico del RE".
  • L'espressione "corpo mistico del re" si riferisce a una teoria giuridica medievale e moderna secondo cui il sovrano possiede, oltre al suo corpo fisico mortale, anche un "corpo politico" invisibile, incorruttibile e immortale che non può mai morire, ammalarsi o invecchiare. Questa teoria, che separa il monarca come persona dal suo ruolo istituzionale e la sua continuità come entità politica, è stata resa famosa dallo studioso Ernst Kantorowicz. 
    • Corpo fisico: Il corpo naturale, mortale, soggetto a malattie e vecchiaia.
    • Corpo politico/mistico: Il corpo "invisibile" che rappresenta la monarchia, la corona e lo stato, garantendo la continuità della funzione regale anche attraverso la morte di un singolo individuo. 
  •  Esistono basi filosofiche e bibliche per concetti correlati alla teoria del "corpo mistico del re", sebbene il concetto moderno di "corpo mistico del re" derivi più da un'evoluzione del pensiero giuridico e politico che da una singola teoria biblica. La base filosofica si trova nella teoria dei "due corpi" del re, sviluppata da giuristi come Plowden nel XVI secolo, che distinguevano un corpo naturale (mortale) da un corpo politico (immortale e incorruttibile). Dal punto di vista biblico, il concetto di "corpo mistico" è ben definito nella teologia cristiana, dove indica l'unione dei fedeli a Cristo e, in questo senso, il re può essere visto come un riflesso di quella figura nella sfera terrena. 
    Basi filosofiche
    • La teoria dei due corpi del re: Questa teoria, promossa da giuristi come Plowden in Inghilterra, sostiene che il sovrano possiede due corpi distinti:
      • Il corpo naturale: Questo è il corpo fisico, mortale e soggetto a malattie e vecchiaia.
      • Il corpo politico: Questo è un corpo invisibile, incorruttibile e immortale, che rappresenta l'istituzione dello Stato e la continuità della sovranità, anche al di là della persona del monarca. 
    Basi bibliche
    • Il corpo mistico di Cristo: Nella teologia cristiana, l'espressione "corpo mistico" (o "Corpus Mysticum Christi") si riferisce all'unione speciale che lega i cristiani a Gesù Cristo e viene descritta dalla dottrina della comunione dei santi. Questo concetto biblico non si riferisce direttamente alla teoria politica del corpo mistico del re, ma può essere visto come un precedente filosofico, dove l'istituzione religiosa ha fornito un modello per concepire un'entità collettiva che va oltre le singole persone.
    • Unione tra il re e il suo popolo: Il sovrano, in quanto figura terrena che rappresenta l'autorità divina, può essere visto come un riflesso del "corpo mistico" nella sfera politica. Questo concetto può essere supportato da versetti biblici che descrivono l'unione del popolo con il suo re, sebbene questo non sia un concetto del tutto omogeneo. 
    Sviluppi successivi
    • La teoria dei "due corpi" ha influenzato il pensiero politico e giuridico, fornendo una base concettuale per comprendere il rapporto tra il sovrano e lo Stato.
    • In un contesto religioso, il corpo mistico di Cristo ha fornito un modello per concetti simili, come il corpo mistico della Chiesa, e ha fornito un linguaggio teologico per descrivere l'unione di fedeli con la loro guida.
    • Tuttavia, è importante notare che il concetto di corpo mistico del re non è una teoria biblica diretta, ma piuttosto un'elaborazione filosofica influenzata da concetti teologici.