venerdì 29 gennaio 2016

IL BOSONE DI HIGGS, PARTICELLA DI DIO: AUTO-INTERAGISCE E SI AUTO-GENERA !?! ?

Una volta digerita la nozione di equivalenza tra massa ed energia, è lo stesso "senso comune" che porta a pensare se particelle elementari accelerate a velocità "relativistiche" (frazioni discrete della velocità della luce) e poi fatte scontrare frontalmente tra loro, nell'urto non sia possibile che si "frantumino" le particelle accelerate e si generino - anche per effetto dell'energia da esse accumulata - altre particelle . Questo è ciò che effettivamente si studia nei cosiddetti acceleratori, come per esempio accade con il Tevatron, ILC e LHC. Il numero e le caratteristiche di queste particelle - trovate dalla fisica moderna -  ha suggerito a qualche illustre divulgatore il concetto de "Lo zoo delle particelle" per indicarne la varietà. Le particelle generate in questi urti sono instabili, cioè esistono per brevissimi istanti e poi decadono in altre particelle più stabili e radiazione. 

Il bosone di Higgs, cui è stato dato il nome di "particella di Dio" in quanto genera la massa, è stato individuato negli esperimenti con LHC, il Prof. Higgs che ne ha messo a punto le basi teoriche ha ricevuto il premio Nobel per la fisica nel 2013 e la Scienza ha fatto un nuovo passo in avanti completando il quadro teorico del Modello Standard per il quale il bosone di Higgs costituiva la particella mancante.

Per comprendere qualcosa in più sul bosone di Higgs e riflettere su cosa significhi, si riportano di seguito alcuni brevi stralci dal volumetto divulgativo del Prof. Paolo Castorina dal titolo "La particella di Dio e l'origine della massa" (Minervine - Editori Riuniti - university press) :

"Un aspetto importante del meccanismo di Higgs della rottura spontanea della simmetria e della conseguente generazione della massa è che tutto ciò può avvenire solo se la particella di Higgs interagisce con se stessa o, come dicono i fisici, se il campo di Higgs è auto-interagente. .... Per capire più seriamente cosa significa l'auto-interazione dobbiamo innanzitutto assegnare alla particella di Higgs una nuova carica..., diversa da quelle che già conosciamo (elettriche, nucleari, ecc.) che chiamiamo λ. Con questa nuova carica accade che le particelle di Higgs interagiscono tra loro indipendentemente dall'esistenza di ogni altra particella. .... Attenzione, tutto ciò non significa che le particelle di Higgs non interagiscono con le altre particelle! Se così fosse non potrebbero generare la massa. L'auto-interazione significa solo che c'è una forza tra le particelle di Higgs che non dipende dall'esistenza delle altre particelle.Mentre le altre particelle hanno bisogno dell'Higgs per generare le loro masse, la particella di Higgs sa sbrigarsela da sola! Questo effetto è un ingrediente cruciale della particella di Higgs che genera le masse di tutte le altre particelle ed auto-genera anche la sua. Tuttavia l'auto-generazione della massa dell'Higgs dipende dalla nuova carica λ della quale, purtroppo, non conosciamo il valore : sappiamo come auto-generare la massa della particella Higgs ma non sappiamo quanto vale!

La massa di (125,09 ± 0.24) GeV/c²  trovata negli esperimenti con LHC per il bosone di Higgs potrebbe aiutare a comprendere la natura dell'universo, e i suoi possibili destini, ma colloca questo valore nel campo di meta-stabilità come risulta dal seguente grafico di Wikipedia.

Higgs-Mass-MetaStability.svg
Per approfondimenti vedi
http://www.fisicaparticelle.altervista.org/masiero_higgs.pdf


Una "entità" che auto-interagisce e auto-genera la propria massa fa di certo pensare a qualcosa di "divino", una sorta di mediatore non solo per la massa, ma anche tra questa realtà e una realtà "altra" che ci è ancora sconosciuta.


mercoledì 20 gennaio 2016

MANGIARE : Un esercizio spirituale (Un breve saggio di J. P. Hernández SJ)

E' riportato qui di seguito - per gentile concessione dell'autore - un breve saggio di spiritualità cristiana dal titolo "MANGIARE : Un esercizio spirituale" di J. P. Hernández SJ - Cappellano dell'Università La Sapienza di Roma . 

Una commovente analisi che sottolinea la permanente comunione con il Creato ed il suo Creatore attraverso il SUO FIGLIO REDENTORE.

°°°

Mangiare: un esercizio spirituale

1.            L’atto del mangiare è la prima trasgressione volontaria di quel limite invalicabile e sacro che è la nostra pelle, il confine del nostro corpo. Perciò nella storia delle civiltà il mangiare è stato man mano codificato e spesso anche legato al sacro o al tabù, così come le altre “trasgressioni” della barriera “corpo”: la sessualità, le escrezioni,… Proprio perché introduce in noi un oggetto estraneo  il mangiare costituisce sempre un rischio, un pericolo per il nostro corpo. Ciò che mi dà la vita potrebbe anche uccidermi. Nell’atto del mangiare mi accorgo che per vivere ho bisogno di rischiare di morire. Perciò il mangiare è un atto di estrema fiducia. Per vivere mi devo fidare di qualcosa che non sono io. Il mangiare è un costante esercizio che ci riporta alla fiducia primordiale che è vivere.
2.            Perciò mangiare è sempre dire “Sono vivo”. Quando il malato terminale rinuncia a mangiare, ha finito di voler vivere. Quando il Risorto appare ai discepoli chiede loro se hanno qualcosa da mangiare (cf. Gv 21,5). “Mangio dunque ci sono”.
3.            Ma non mangio qualsiasi cosa. Il cibo può essere medicina o veleno. Questa ambivalenza è stata messa in luce fin dalle più antiche mitologie. Persefone imprudente, assaggiando negli inferi il “cibo dei morti”, rimane per sempre legata alla morte. D’altronde anche nella Bibbia, il primo mangiare di Adamo ed Eva si rivela “veleno mortale”; non a caso fu suggerito da un serpente.  Il mangiare è dunque sì un atto di fiducia ma è soprattutto un luogo di conoscenza e di scelta. Mangiare significa distinguere  per scegliere ciò che è “buono” e lasciare ciò che “non è buono”. “Buono” per me e buono forse anche per altri. Per l’adulto, il mangiare è un atto “politico”. Scegliendo cosa mangiare esprimo consapevolmente o meno le mie opzioni economiche, le mie idee di giustizia e di bene. Per il neonato il mangiare è la prima e primordiale relazione attiva con ciò che sta fuori da sé. Si può dire che il neonato “mangia il mondo”, e inizia così a conoscerlo e a conoscersi. Il “sapore” diventa il primo “sapere”.
4.            “Dimmi come mangi e ti dirò chi sei” dice l’adagio. La tavola è una immagine del mondo e il mio rapporto al cibo rivela il mio rapporto alla vita, agli altri, alle cose, a me stesso. Posso mangiare in silenzio e osservando gli altri, posso mangiare in fretta trangugiando, posso assaporare con calma, posso eccedere, controllarmi, lasciare all’altro il pezzo migliore, rallegrarmi del piacere altrui,… Sono tutti atteggiamenti che mi tradiscono e che fondamentalmente si situano fra due poli: il mangiare come chi ruba ciò che gli è vietato e il mangiare come chi riceve con gratitudine. Nella Bibbia questi due atteggiamenti corrispondono rispettivamente al peccato di Adamo ed Eva e all’eucaristia. Si può dire che la Bibbia è un cammino fra l’albero del peccato e l’eucaristia, cioè un cammino di purificazione e capovolgimento del nostro modo di “mangiare il mondo”.
5.            Mangiare è riconoscere che ho bisogno di qualcosa al di fuori di me per poter vivere. Vale a dire è riconoscere che non sono autosufficiente ma che ho un limite, un confine: ho la “debolezza” di “dover” mangiare. Perciò quando mangio da solo e qualcun’altro inizia a guardarmi mi sento a disagio, deglutisco in fretta. E capita che offro da mangiare all’osservatore. Non tanto per generosità quanto per non essere solo a mangiare. Se egli rifiuta, è come se mi dicesse che lui non ha questa debolezza e allora io mi sento ancora più a disagio. Se invece l’osservatore accetta, allora confessa anche lui di non essere autosufficiente. E il nostro mangiare insieme diventa il confessare reciprocamente il proprio limite. Il mangiare insieme è la celebrazione del limite come condizione della relazione. Perciò è un piacere, e porta a curare il piacere dell’altro, anzi ad aver piacere al suo piacere. Non a caso in molti popoli la comunione di tavola è rigidamente regolamentata perché è in effetti una attività molto intima: si condivide il proprio limite e ci si fa piacere a vicenda.
6.            Mangiando confessiamo di non essere “tutto”, cioè di non essere Dio. Un Dio per definizione non mangia, è autosufficiente. Ma il Dio del Nuovo Testamento, pur di entrare in relazione con l’uomo, si fa limitato, cioè mangia. Perciò il “limite di Dio”, cioè il suo mangiare, diventa la comunione fra Dio e l’uomo. Gesù è la storia di quel Dio che diventò “non-Dio” per trasformare il limite dell’uomo in incontro con Dio. Perciò di Lui si disse che era “un mangione e un beone” (Lc 7,34), un “rabbi che amava i banchetti” (Enzo Bianchi). E’ interessante ricordare che da molti secoli il sacrificio ebraico era implicitamente una richiesta a Dio di venire a mangiare con l’uomo. L’offerente mangiava la carne mentre a Dio veniva riservato il sangue e il grasso. Vale a dire: l’uomo e Dio mangiano cose diverse e in luoghi separati ma al contempo. La segreta speranza che un giorno uomo e Dio mangeranno insieme è realizzata da Cristo.
7.            Insistendo sull’immagine di Gesù a tavola, i vangeli lo presentano come il Messia che realizza il banchetto finale che Israele aspettava per la fine dei tempi (cf. Is 25), il banchetto di riconciliazione.  In particolare il mangiare con i pubblicani e i peccatori è la realizzazione più esplicita di questo banchetto di riconciliazione. Gesù non chiede il pentimento o qualche altra condizione prima di mettersi a tavola con i peccatori. Ma è l’atto stesso del mettersi a tavola con loro che costituisce il perdono del peccato, l’annullamento della distanza, la comunione. Questa comunione con i peccatori sarà il motivo della sua condanna a morte. Un Dio che mangia con i peccatori è già un Dio che muore per i peccatori. Perché chi entra nel limite entra nella morte. Mangiare significa “dover morire”.
8.            Anche nelle prime comunità cristiane il mangiare insieme di cristiani ebrei  e cristiani provenienti dal paganesimo fu un evento senza precedenti che non fu subito accettato facilmente (cf. At 11). Lo stesso Pietro ebbe i suoi tentennamenti (cf. Gal 2,11ss.), proprio perché mangiare insieme è in qualche modo formare una sola cosa. Ma abbastanza presto la Chiesa primitiva presenta questa “comunione di tavola” fra ebrei e pagani come la realizzazione delle promesse, l’abbattimento del muro di separazione, la presenza in terra del Regno di Dio. Ancora oggi, nelle famiglie e nelle comunità, la tavola è il luogo dove difficilmente si nascondono i conflitti e dove le relazioni non solo si rivelano ma possono anche modificarsi.
9.            Come spiega Giovanni Cucci, il mangiare, proprio perché esperienza primordiale di alterità, tocca le fibre più profonde della nostra psiche e diventa il luogo dove si manifesta il nostro “insaziabile bisogno di affetto”. In qualche modo mangiando mangiamo sempre l’altro, perché mangiamo ciò che è altro da noi. A volte basta una minima contrarietà e il nostro mangiare diventa un inghiottire, un arraffare con l’illusione di ricuperare con la bocca ciò che ci è sfuggito con gli eventi. La gola e la bulimia tradiscono un bisogno di possedere l’altro fino ad annientarlo o a inglobarlo dentro di sé. Questo bisogno di “mangiare l’altro” è legato a una paura di “essere mangiato dall’altro”, o semplicemente di “essere mangiato” tout court. Da  ciò che mi circonda, dalla vita, dal tempo. Perciò gli antichi hanno forgiato lo straordinario mito di Cronos, dio del tempo, che divora costantemente i propri figli appena vengono al mondo. Se questa è la mia immagine inconscia della vita (e forse di Dio), allora è chiaro che cercherò a mia volta di mangiare l’altro per non essere mangiato. Ma il Dio della Bibbia, vedendo che i suoi figli hanno paura di essere mangiati da Lui, si fa Lui stesso “figlio dell’uomo” e si lascia mangiare dall’uomo. Nasce a Betlehem (in ebraico “casa del pane”) ed è deposto in una “mangiatoia”, cioè nasce per essere mangiato. Poi rimane fra di noi sotto la forma del pane, cioè rimane per sempre “da mangiare”. Gesù è quel Dio che entra nel nostro peccato di gola diventandone l’oggetto. E così capovolge la gola in incontro con Lui. Il Cristo è l’unico nutrimento che trasforma il nostro modo di nutrirci. In altre parole: Gesù è quel “altro” che si dona da mangiare perché il nostro mangiare non sia più un voler “mangiare l’altro”.
10.          I Padri esprimeranno questo capovolgimento spiegando che Gesù sulla croce si fa quel frutto appeso all’albero del peccato affinché l’uomo che torna al suo peccato “mangi Cristo stesso”, cioè incontri Dio stesso. E così l’eucaristia è, come dice Giovanni Crisostomo, quel “poter mangiare di quel albero vietato perché da quando Cristo si è fatto peccato il peccato è diventato comunione”.
11.          Pierpaolo Pasolini nel suo geniale mediometraggio “La Ricotta”, in cui offre una “rappresentazione vera” della Passione, spinge la comprensione di questo paradosso fino a presentare come “figura Christi” un affamato che muore per indigestione perché in una sorta di “anti-ultima cena” ha divorato tutti gli alimenti che gli altri gli gettano con disprezzo. Assumendo il cibo di ogni disprezzo, un po’ come Gesù che sulla croce beve il nostro ultimo aceto, ha dato la vita. Mangiare è sempre assumere il modo in cui ci è stato dato il cibo.
12.          Perciò c’è comunque in ogni atto di mangiare una irriducibile esperienza di “mangiare l’altro”. Le nostre generazioni sono le prime in tutta la storia dell’umanità che hanno tagliato il legame essenziale fra chi mangia e chi ha cucinato. Nel passato era solo nell’esercito e in poche altre occasioni che si mangiava senza conoscere chi ti aveva fatto da mangiare. Nelle ultime generazioni le mense aziendali e universitarie, i fast food, i cibi già precotti,… hanno interrotto questo legame che faceva del piatto cucinato la massima espressione di un affetto. Tanto è vero che i ristoranti di lusso cercano di ricostruire artificialmente questo legame attraverso un rapporto accogliente e personale del “maitre” con il cliente. Nella storia dell’umanità, fin dalle origini, il cibo cucinato è stato per chi mangia la materializzazione dell’affetto ricevuto e per chi cucina dell’affetto dato. In molte culture è stato la madre e poi la moglie che preparano il cibo come un proseguimento di quel “dono di sé” che è il latte materno. E di fatto chi prepara il cibo investe in esso il proprio tempo, la propria energia, la propria creatività. Dal mattino presto molte madri pensano al bene dei propri cari pensando a ciò che potranno cucinare. E chi mangia quel cibo non mangia solo un alimento ma “mangia” il tempo e il “pezzo di vita” investito in esso da chi ha cucinato. In altre parole: si nutre dell’altro.  Sapendo che nell’antropologia biblica il tempo è il corpo, siamo molto vicini al “prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo…”. Nel geniale racconto di “Il pranzo di Babette” Karen Blixen e Gabriel Axel hanno saputo presentare una figura di Cristo in una donna “chef” che “sapeva trasformare un’esperienza culinaria in avventura amorosa”. In un pranzo di festa, essa ha “dato tutto” e allora quel pranzo di festa “cambia tutto”.
13.          E’ risaputa l’insistenza di molte madri nel forzare i propri figli a mangiare. Diventa a volte una perversione che traduce il voler forzare i propri figli a “essere figli”. Nel senso opposto, e a volte come reazione, il rifiuto del magiare, l’autonomia esasperata nella scelta maniacale del cibo, e in modo generale molte patologie alimentarie come l’anoressia si radicano nella difficoltà dell’essere figli. Non mangiare, e soprattutto non ricevere il mangiare, è non voler essere figlio.  Cioè non accettare che chi mi dà da mangiare dà la vita per me.
14.          Ma c’è nel mangiare una dimensione irriducibile di violenza da parte di chi mangia. Nel 1944 nasce a Londra il movimento “vegano” con l’intento, davanti alle atrocità della guerra, di sopprimere la violenza alla radice, cioè nel nostro stesso modo di mangiare. Ma questa impresa si rivela illusoria e sfocia a volte nella paranoia. Ogni nutrimento suppone l’interruzione di una vita o al meno di un processo che può sfociare in vita. Anche le diete più radicali come i fruttariani e i crudisti interrompono dei processi vitali per vivere. Si può ribadire l’assioma antropologico classico: l’uomo è sempre “homo necans”. La questione non è uccidere o non uccidere ma come viviamo noi questa consapevolezza, cioè che si muore perché io viva. Costantemente la natura sacrifica delle vite per la mia sola vita. Questo ci mette davanti all’impossibile reciprocità della nostra esistenza. Mangiare è accettare che ricevo ciò che non potrò mai ricambiare. L’eucaristia ancora una volta è la ricapitolazione di questa grande verità. Il Cristo che si dona da mangiare e a cui possiamo solo dire “grazie” (“eucharistein”) sintetizza tutte le vite date per noi che possiamo solo chiamare “grazie”. L’eucaristia è l’unico modo vero di mangiare, cioè di vivere.
15.          Nel mangiare l’uomo può attingere direttamente a questa natura che continuamente “sacrifica vite” per noi. I primi ominidi, come gli animali, hanno mangiato immediatamente le prede che hanno potuto uccidere o gli alimenti che hanno trovato sugli alberi o nei prati. Ma molto presto, probabilmente con la domesticazione del fuoco, è sorto il fenomeno del preparare gli alimenti e in particolare di cuocerli. Come ha mostrato Claude Lévy-Strauss nella sua opera magistrale “Il cotto e il crudo”, questa svolta coincide con l’invenzione della “cultura”. Fra l’uomo e la natura si pone come mediatore un altro essere umano: il cuoco. E’ un ufficio in qualche modo “sacerdotale” perché attraverso la barriera sacra del fuoco trasforma la natura in qualcosa di più adatto all’uomo (più facile da conservare, più saporito, ecc…). E’ come se il cuoco si interponesse fra la natura e l’uomo e dicesse a questo: “aspetta, fidati di me, non mangiare subito, sono io che ti darò da mangiare”. Chi fa da mangiare aggiunge il suo sacrificio personale (il suo tempo, come abbiamo visto) al grande sacrificio che la natura fa per ogni uomo. Ma così facendo il cuoco trasforma il limite dell’uomo in cultura. Nella preparazione degli alimenti, nella scelta, nel modo di presentarli si esprime un popolo, una religione, una famiglia, un’origine geografica, una classe sociale, una civiltà.
16.          Nella biochimica del cervello umano, l’atto di mangiare e di riconoscere i sapori consiste in una frenetica attività di collegamenti nervosi che collegano le nuove percezioni a percezioni passate e classificate nella memoria. Questa è probabilmente la base fisiologica che spiega il fatto che il mangiare, e in particolare il mangiare insieme, fa spesso emergere numerosi ricordi. Quante volte i discorsi a tavola si concentrano sui racconti di occasioni precedenti in cui si sono mangiate cose analoghe o collegabili. Su questa base umana, la tradizione ebraica ha elaborato il rito del memoriale della salvezza come un pasto. La cena di Pasqua, il “seder”, è in realtà un racconto. Un esercizio di memoria dove parole e sapori si intrecciano in un ordine ben preciso (“seder” significa ordine) per riportare l’israelita al momento stesso della salvezza e cambiare così il proprio presente. Come nell’esperienza della “maddalena” di Marcel Proust o come alla fine del cartone “Ratatouille”, il cibo rende presente l’uomo a un’esperienza passata e fondante che trasforma il proprio presente. Così anche la nostra eucaristia, il nostro memoriale della morte e risurrezione di Cristo, ci rende “realmente presenti” alla salvezza: “ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunciamo la tua morte nell’attesa della tua venuta” (seconda risposta dopo le parole della consacrazione). Lo stesso gesto dello “spezzare il pane” (espressione che diventa tecnica per designare l’eucaristia) diventa per i discepoli di Emmaus (Lc 24) l’essere riportati alle tante volte in cui il Cristo ha mangiato con loro e dunque diventa il gesto del riconoscimento. In questo gesto, condividere il cibo e dare la vita coincidono. Il pane spezzato è la vita spezzata che crea la comunione.
17.          Fra i tanti altri aspetti dell’alimentazione che la tradizione biblica mette in risalto ricordiamo ancora il piacere della condivisione. A Mosè viene promesso “un paese dove scorrono latte e miele” (Es 3,8). Questi due alimenti coincidono con due tappe primordiali nell’esperienza del piacere. Il latte è il primo piacere perché è il primo alimento dell’uomo. Il miele potenzia questo piacere appena il bambino si rende conto che si può mischiare il latte ad altro. La promessa di Dio è dunque il ritorno al piacere originario della vita. Ma il piacere del bambino è un piacere assolutamente autocentrato e dettato dall’istinto di sopravvivenza. Esso esclude qualsiasi altro osi desiderare lo stesso piacere. Il testo dell’Esodo precisa invece che questa terra dove scorrono latte e miele, Israele dovrà condividerla con “il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita,…” (Es 3,8), insomma con tutti i vicini di Israele che spesso sono stati i peggiori nemici. Vale a dire: il piacere promesso, il piacere dei piaceri è il piacere di condividere il piacere con il prossimo, e in particolare con il nemico. Questa è la promessa: il condividere il piacere con il nemico, cioè la guarigione profonda da ogni non-relazione. Allora ogni cibo è una promessa del piacere che va oltre a se stesso, è un pane “sovrasostanziale” come si chiede nel Padre Nostro, perché è una promessa di condivisione. Ogni cibo, come i cinque pani e due pesci, aspetta di essere condiviso per diventare per noi “cibo di vita piena” (o “eterna” come diciamo a messa).
18.          Un saggio ortodosso disse un giorno: “Sapete perché la nostra religione è la migliore? Ebbene perché è l’unica in cui si può mangiare di tutto”. Sembra quasi tipico delle tradizioni religiose l’imporre dei divieti alimentari. Nel linguaggio corrente è diventata usuale la battuta “la mia religione me lo vieta”. Questi divieti hanno spesso all’origine delle motivazioni igieniche, ma sono a volte anche un modo di distinguersi da certi culti ancestrali votati agli animali o, al contrario, di ricuperarli in questo modo. Nel passare dei secoli i divieti alimentari diventano un segno di identità di una religione in contrasto con altre, un modo specifico di delimitare il sacro dal profano, il puro dall’impuro, distinzione fondante di ogni religione. Allora proprio come superamento di ogni “religione”, è interessante leggere il seguente brano degli Atti: “Il giorno dopo, Pietro salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare. Gli venne fame e voleva prendere cibo. Ma mentre glielo preparavano, fu rapito in estasi. Vide il cielo aperto e un oggetto che discendeva come una tovaglia grande, calata a terra per i quattro capi. In essa c'era ogni sorta di quadrupedi e rettili della terra e uccelli del cielo.  Allora risuonò una voce che gli diceva: «Alzati, Pietro, uccidi e mangia!».  Ma Pietro rispose: «No davvero, Signore, poiché io non ho mai mangiato nulla di profano e di immondo».  E la voce di nuovo a lui: «Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano»” (At 10,9-15). L’assenza di ogni divieto alimentare nel cristianesimo segna il superamento della distinzione fra sacro e profano, cioè il superamento del “religioso”. Come alla fine della Bibbia, nella Gerusalemme celeste, la città e il tempio coincidono, cioè tutto il profano diventa luogo dove incontrare Dio, così nella tovaglia presentata a Pietro, tutti i cibi sono puri, cioè sono dono di Dio e incontro con Dio.
19.          Ciò che il cristianesimo ha invece in comune con altre tradizioni religiose riguardo al cibo è la pratica del digiuno. Probabilmente perché Gesù stesso digiunò quaranta giorni nel deserto. Nella sua “Esposizione sul digiuno”, Afraate il Persiano (sec. IV) passa in rassegna tutti i digiuni della Bibbia per presentarlo come “eletto davanti a Dio, custodito in cielo come un tesoro”. Anche Efrem il Siro (sec. IV) elogia il digiuno come “tesoro aperto per i sagaci, delizia del cuore per gli istruiti, nutrimento spirituale tra i sapienti” (Inni sul digiuno, VII). Questi e altri Padri vedono il digiuno non solo come “vittoria” sulle proprie schiavitù (ciò che è comune a tutte le religioni), ma soprattutto come espressione di un “amore più forte”. E’ particolarmente bella la concezione del digiuno quaresimale che si sviluppa fra i dei Padri greci. Per loro il digiuno non serve ad “ottenere” qualcosa, ma può digiunare solo chi ha già provato il “gusto” di Dio. Cioè chi ha già fatto esperienza personale di incontro con Dio e ha già sperimentato la gioia di questo incontro. Allora il digiuno si decide all’inizio della quaresima, nella preghiera. E si chiede a Dio che ogni volta che si rinuncia a quel piacere con il gusto esterno, Dio possa ricordarci il “Suo sapore” con il “gusto interno”, cioè con la memoria spirituale. Così che quando arriverà la Pasqua e potrò finalmente  gustare di nuovo quel cibo, il suo piacere sarà il piacere del “gusto” di Dio. In questo modo i Padri collegavano l’esperienza del mangiare all’incontro intimo con Dio e così progressivamente ogni cibo diventava una variante del “sapore di Dio”.
20.          In modo analogo Sant’Ignazio di Loyola negli Esercizi Spirituali propone delle “regole sul vitto”. Il titolo spagnolo è “Reglas para ordenarse en el comer”, cioè si potrebbe dire: regole per “mettere ordine nella propria vita” a partire dal mangiare. In esse è presente la dimensione del “vincere se stessi”, come nei Padri. M aci sono altre due dimensioni particolarmente interessanti. La prima è che per Ignazio il cibo è un luogo per esercitare la propria libertà e il proprio discernimento. Non si tratta di digiunare, e nemmeno di mangiare poco, ma si tratta di scegliere liberamente ciò che “voglio e desidero” in piena libertà, cioè “senza disordine”. Il mangiare diventa così palestra della vita. Nel fondo so bene cosa mi fa bene e cosa voglio. Ma il problema è che spesso non scelgo secondo ciò che voglio ma secondo le voglie. Allora i consigli di Ignazio aiutano a camminare verso la libertà fisica che è forse la libertà più primordiale. La seconda dimensione è più “mistica”. Ignazio chiede a chi mangia di mangiare contemplando con gli occhi del cuore Gesù stesso che mangia con i suoi amici e discepoli. La comunione di tavola, ogni comunione di tavola, è così collegata  con quella comunione originaria che è quella del “rabbi che amava i banchetti”. In questo modo si associa l’esperienza del sapore all’esperienza della visione e si opera un “travaso interiore” fra i due sensi. Come per i Padri greci, ma per un’altra via, i sapori degli alimenti rimandano al piacere di vedere Gesù. Si realizza in questo modo il versetto del Salmo: “Gustate e vedete quanto è buono è il Signore” (Sal 33,9). Dove la “bontà” si vede e si assapora al contempo, e allora il sapore diventa relazione, e ogni pasto una eucaristia.

21.          La famosa frase “diventiamo ciò che mangiamo” o “l’uomo è ciò che mangia”, non fu inventata da Feuerbach come spesso si crede, anche se in tedesco il gioco di parole è particolarmente efficace (“Der Mensch ist was er isst”).  Ma è una frase vicina al pensiero di Sant’Agostino e che scrive San Leone Magno riferita all’eucaristia. Come comunità diventiamo il corpo di Cristo perché mangiamo il corpo di Cristo. Ma se continuamente scopro in ciò che mangio il dono di Dio, allora mi scopro dono di Dio.


Serie: “Le vie della Sapienza” 1


lunedì 18 gennaio 2016

QUANTA FLESSIBILITA' E' NECESSARIA?

I giornali di oggi ci raccontano dell'allarme lanciato da Hollande : la Francia è in emergenza economica ed è necessario un piano economico di 2 miliardi di euro per la disoccupazione. C'è da chiedersi che cosa dovrebbe fare, allora, l'Italia allo stesso riguardo. La flessibilità può essere essa stessa un concetto "flessibile"? Cioè, in certe occasioni si può applicare la flessibilità in un modo e in certe altre in un altro modo; o ancora peggio, per taluni deve implicare certe condizioni e per altri tutt'altre condizioni? Questi interrogativi sono particolarmente importanti quando si parla di flessibilità a livello europeo. Sempre più e sempre a più persone sembra che i pesi e le misure, quando si parla di Europa, seguano "assetti variabili" a seconda degli interlocutori e delle circostanze. L'Italia, che ha sposato da sempre l'idea di una Europa Unita, è stata e rimane non solo un paese fondatore, ma anche uno dei paesi più europeisti nonostante le attuali condizioni molto difficili da un un punto di vista sociale, economico e finanziario e sta cercando di convivere con una situazione in cui il proprio settore manifatturiero ha subito una irreparabile perdita (si stima oltre il 40%) tale che solo una vera e propria guerra avrebbe potuto fare peggio.
I sondaggi difficilmente possono costituire una corretta rappresentazione della realtà, ciononostante la società moderna sembra non poterne fare a meno per prendere decisioni importanti e testare la pubblica opinione.
I sondaggi sono quasi sempre affetti da una componente propagandistica ed elettorale, che tenta di spingere l'opinione pubblica in una determinata direzione. Ma, quando il trend che essi mostrano afferisce al lungo periodo e non è proprio basato su dati del tutto "inventati" allora una qualche verità tali sondaggi, in qualche modo necessariamente la mostrano.
Proviamo a guardare questi tre grafici che fanno parte di un sondaggio sul tema GLI ITALIANI E L'EUROPA: EURO E UNIONE EUROPEA condotto da "Demos & Pi per La Repubblica" nel Dicembre 2015(vedi il link seguente: http://www.demos.it/a01216.php?ref=HRER2-2) :









UNA CONCLUSIONE DI BUON SENSO SEMBRA ESSERE LA SEGUENTE :

ATTENZIONE A "TIRARE LA CORDA", PERCHE' PRIMA DIVENTA "RIGIDA E INFLESSIBILE" E POI SI SPEZZA!

EVANGELIZZARE ATTRAVERSO L'ARTE SI PUO' ! Ecco un esempio : La Misericordia nell'Arte

In occasione delle celebrazioni per il Giubileo della Misericordia S.E. il Cardinale Mons. Vallini - Vicario Generale del Santo Padre per la Diocesi di Roma - ha organizzato una serie di tre LETTURE TEOLOGICHE sotto l'iniziativa MISERICORDIA NELL'ARTE. La prima di queste Letture , dal titolo "Il Mosè di Michelangielo - La guida"  è stata tenuta il  14/Gennaio 2016, presso la Sala della Conciliazione del Vicariato di Roma. Gli invitati all'evento hanno potuto assistere - sotto la presidenza del Prof. Cesare Mirabelli, Presidente Emerito della corte Costituzionale - alla presentazione di tre importanti Relazioni sul tema prestabilito da parte di :
  • P.Jean Paul Hernandez - Cappellano - Sapienza - Università di Roma
  • Prof. Marco Bussagli - Accademia delle Belle Arti di Roma
  • Gen. Francesco Langella - Capo del Corpo del Genio Aeronautico
Tutte e tre le relazioni sono state di notevole livello culturale ed hanno ricevuto gli apprezzamenti di Mons. Vallini e del pubblico presente in sala.

Tra le altre, si è distinta la Relazione di  P.Jean Paul Hernandez per il suo alto tenore storico-artistico e teologico; con il permesso dell'autore - viene riportata al link qui di seguito:

https://drive.google.com/drive/folders/0ByLf7ezstqYHUTBkelRKZjBCZ1E

Nel corso della serata ci sono stati momenti di approfondimento con la Lettura del Libro dell'Esodo (3,1) e la declamazione del seguente testo di Michelangelo :

Testo Declamato :

De[h], porgi, Signor mio, quella catena
Che seco annoda ogni celeste dono:
la fede, dico, a che mi stringo e sprono,
né mia colpa, n'ò gratia intiera e piena.
Tanto mi fie maggior quante più raro
Il dono dei doni, e maggior fia se, senza,
pace e contento il mondo in sé non ave.
Po' che non fusti del tuo sangue avaro,
che sarà di tal don la tua clemenza
se 'l ciel non s'apre a noi con altra chiave.

La serata si è conclusa con la seguente Preghiera Finale (Salmo 22) recitata insieme da tutti i presenti :

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare
ad acque tranquille mi conduce.

Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.

Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.




sabato 16 gennaio 2016

LA GRANDE FUGA DALL'UNIVERSITÀ

Che la disoccupazione giovanile per effetto della crisi abbia raggiunto valori mai raggiunti in precedenza è ormai noto a tutti. Che il precariato è divenuta una costante con cui le nuove generazioni sono costrette a convivere è un fatto meno noto, seppur presente nella consapevolezza degli Italiani. Sicuramente è risaputo, talvolta per "esperienza vissuta" - da chi vive tra la gente comune - di laureati in Ingegneria impiegati nei "call center" ; di laureati in  Scienze Politiche trasformati in piazzisti per la vendita di abbonamenti alla rivista "Cani e Gatti";  di laureati in architettura utilizzati come "nuovi ambulanti" nella promozione della vendita di sigarette nei bar di periferia; di laureati in Scienza della Comunicazione riciclati come cuochi. 
Gli studi universitari sembrano non remunerare più lo sforzo di coloro che vi si dedicano e cresce la disaffezione dei giovani verso lo studio ed il lavoro, specie precario. Giovani coppie sono costrette alla convivenza senza poter soddisfare la loro vocazione alla famiglia, che sembra divenuta un lusso per “solo garantiti”. Ci si rivolge cosi alla ricerca della “raccomandazione” in un clima di “si salvi chi può”. Si sviluppano atteggiamenti "mordi e fuggi" contrari all'intrapresa, alla professionalità nel lavoro, alla dedizione verso un mestiere o verso un qualunque impiego socialmente utile. Tutti sono costretti dalle circostanze a vendere il proprio tempo senza metterci "l'anima", a "fare un pò di tutto" senza poter imparare, e alla fine, senza "saper fare niente” in modo serio e professionale, con dedizione, come si deve. I diplomati di scuola media trovano più facilmente lavoro dei giovani laureati. Si tratta di realtà dell’Italia dei nostri giorni, dove il Capo del Governo polemizza con la Commissione Europea per ottenere “flessibilità” e il Papa avverte i giovani in cerca di lavoro di astenersi  dalla ricerca della raccomandazione, cui spesso soggiace la corruzione.

Un’inchiesta di “La Repubblica” ci conferma : << In dieci anni perse 65mila matricole, con un calo del 20% dei diplomati che scelgono di continuare gli studi. Colpa della crisi, ma anche delle scarse prospettive di lavoro che dà la laurea. La contrazione del sistema universitario italiano oltre ad ampliare il divario fra Nord e Sud mina però gravemente il potenziale di crescita del Paese. C'è chi dà la colpa all'aumento delle tasse, all'introduzione del numero chiuso e al taglio dei fondi statali per borse e alloggi, mentre per gli studenti il colpo di grazia è arrivato con la riforma dell'Isee >>.

Non è più il tempo delle inchieste e della “denuncia”, bensì è il tempo delle risposte a domande insoddisfatte. E’ il tempo in cui riscoprire il "bene comune" e la "Politica come Servizio". Deve poter rinascere  la Speranza o in alternativa bisogna attendersi “Il Crollo”, con giovani in fuga da questo Paese in cerca non più del lavoro di prestigio, ma di un semplice "tozzo di pane"; un Paese che mentre giustamente accoglie rifugiati e migranti, sembra dimenticare i propri figli in difficoltà; un Paese che dopo aver già lasciato "fuggire" le risorse intellettuali migliori - che tanto hanno richiesto per la loro formazione dallo Stato e dalle loro famiglie - si incammina verso la crisi, non più ciclica, ma strutturale, manovrata ad arte per imporre "decisioni d'emergenza" estranee ai veri bisogni sotto gli occhi di tutti. Così il futuro si tinge di creolo, con "nuovi Italiani" chiamati a sostenere demograficamente un Paese che hanno "scelto per fame" e per il quale saranno chiamati a pagarne quei debiti che non hanno contratto e dai quali non hanno tratto beneficio. Tutto ciò accade mentre nel centro e nord Europa si chiudono progressivamente le frontiere e gli ideali di libera circolazione, delle persone in particolare, mostrano i loro limiti ed i rischi per una Europa che non intende ragione.

vedi 


http://inchieste.repubblica.it/it2016/repubblica/rep-it//01/14/news/la_grande_fuga_dall_universita_-130049854/?ref=HREC1-31

Class action negli Usa contro Deutsche Bank: «Così guadagnava truffando i clienti. È come per Vw»


Questo è il titolo di un breve articolo di oggi del Sole 24 Ore che si può trovare al seguente link:
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-01-15/class-action-usa-contro-deutsche-bank-cosi-guadagnava-truffando-clienti-e-come-vw-195757.shtml?uuid=ACdXCwAC
Pensando agli scandali in cui appaiono coinvolti l'industria automobilistica e il sistema bancario tedesco l'immagine della Germania e della sua leadership in Europa incominciano a suscitare preoccupazione, perché viene ad essere intaccato il profilo integerrimo, di correttezza e di rettitudine, che il Popolo Tedesco aveva saputo ricostruire nel dopoguerra e che tanto aveva lasciato sperare agli altri popoli europei per la realizzazione di quel sogno : "l'Europa Unita" che ci ha accompagnato sino ad oggi, fino alla crisi.
Forse siamo di fronte all'ennesima riprova che le ragioni vere della crisi europea ed occidentale tutta vanno ricercate non solo nell'economia e nella finanza, ma nella perdita di un'etica che aveva fatto della civiltà occidentale un faro di riferimento.
La Storia ce lo insegna : gli imperi crollano allorquando le basi morali su cui poggiano vengono meno!
Siamo di fronte ad una riaffermazione della lezione vichiana?

domenica 10 gennaio 2016

Lo dice Tito Boeri (Inps) : "I poveri sono la vera emergenza in Italia"; quelli che perdono il lavoro oltre i 55 anni. Eppure della "vera flessibilità in uscita" non se ne vuole più parlare. Perchè?

La vera emergenza sociale in Italia è «quella dei poveri e delle persone che perdono lavoro con più di 55 anni, questa è la vera emergenza sociale in Italia, poi ci sono i giovani». L'emergenza non sono gli esodati, «l'emergenza è quella dei poveri e delle persone che perdono lavoro e che hanno più di 55 anni. L'emergenza in Italia sono i poveri perché la povertà è aumentata molto», ha detto Boeri, precisando che con le salvaguardie ci sono persone che prendono una pensione da 6-10 mila euro al mese: “questo ci dice che quel meccanismo non funziona bene, se dobbiamo in nome dell'emergenza sociale dare delle pensioni di quell'importo vuol dire che non è emergenza sociale". (un articolo di Marco lo Conte - Il Sole 24 Ore - leggi
http://24o.it/qeH0Tl )

LA REALTA', QUINDI, E' BEN CONOSCIUTA!

Finora non si è voluta attuare la vera flessibilità in uscita perchè - contrariamente alla sostenibilità affermata da Boeri - è ritenuta costosa per lo Stato. Si è quindi scelto di "salvaguardare lo Stato" rendendo la situazione ancor più insostenibile per quei disoccupati oltre i 55 anni senza lavoro e senza pensione. E' il nuovo modo di fare politica a tutti i costi (senza risolvere i problemi, ma scaricandoli sulle spalle degli altri!).


sabato 9 gennaio 2016

Due Saggi di Michael Mireau introduttivi alle discipline STOQ

La rete porta evidenze del “passaggio” di Michael Mireau (1972-2014) un sacerdote cattolico, amato dalla sua comunità, morto poco più che quarantenne nell’autunno del 2014, ricordato per la sua semplicità e spontaneità.
Si ha modo di rintracciare sul web anche due suoi brevi saggi - entrambi del 1998 - dal titolo “God the Creator: Developing a Trinitarian Understanding of Creation” e “Philosophical Issues in Modern Cosmology”. Essi, appaiono proponibili in termini introduttivi nell’ambito delle discipline STOQ (Science, Theology, Ontology Quest) che si occupano del dialogo tra Scienza e Fede; colpiscono per la capacità di analisi (il primo, di natura più propriamente teologica) e la capacità di sintesi (il secondo, di natura più propriamente scientifica).

        I.            God the Creator: Developing a Trinitarian Understanding of Creation
            Richiamando la coincidenza dell’incipit ("In principo...") in Genesi 1:1 e Giovanni 1:1 – a significare una continuità di senso e di azione divina creatrice – affronta l’atto creatore come atto di Amore del Padre verso il Figlio, realizzato per mezzo dello Spirito che si esprime anche in termini di legante trinitario. A questo scopo l’indiretto riferimento al modus operandi di alcuni campi, non visibili ma di fatto presenti e agenti in natura appare di grande effetto esplicativo.

      II.            Philosophical Issues in Modern Cosmology
            Esamina brevemente gli sviluppi cui è giunta la Cosmologia Moderna attraverso la teoria del Big Bang ed i vari modelli cosmologici (aperto, chiuso, oscillante, etc.) e prende in considerazione le prospettive aperte dal Principio Antropico (Barrow e Tipler) e dalla Teoria del Punto Omega di J.F. Tipler ispirato (almeno nominalmente) alla proposta di Teilhard de Chardin, giungendo a proporre una intrinseca insolubilità di questi temi per quanto le osservazioni e le teorie scientifiche possano progredire.

Tutti e due i saggi sono reperibili al link seguente :




mercoledì 6 gennaio 2016

QUALCHE BREVE RIFLESSIONE SUL SETTORE DELL’ENERGIA ELETTRICA IN ITALIA

Il personale dell'Enel è passato da 120 mila unità prima della liberalizzazione a 30 mila unità oggi, trasformando la seconda utility elettrica mondiale in una impresa elettrica di retroguardia, in controtendenza con i processi industriali di integrazione che prendono piede o permangono altrove. Un potenziale dividendo rilevante per le casse dello stato è oggi frazionato in mille rivoli privati. L'attesa caduta dei prezzi dell'energia elettrica per effetto della liberalizzazione non è mai avvenuta e si prospetta una crescita di oneri di sistema che farà piuttosto innalzare i prezzi.

L'impegno profuso sul settore delle rinnovabili (ben oltre 11 miliardi) è ricaduto esclusivamente all'estero senza possibilità d'utilizzo per una crescita economica ed industriale del paese attraverso una ricaduta locale.

Nell’ultimo ventennio, le regole di dispacciamento che per motivi ambientali hanno dato priorità alle fonti rinnovabili; insieme agli incentivi pubblici per la loro costruzione – che si aggirano nell’intorno del 75% del costo totale di realizzazione -  hanno fatto degli impianti fotovoltaici e di quelli eolici una nuova fonte di business per l’impiego del capitale. Infatti, essi sono capaci di generare, oggi, rendimenti valutati dal 6 al 9%, mentre i tassi normali d’interesse che remunerano il capitale sfiorano lo zero o valori negativi nel breve periodo. Ciò accade, peraltro, proprio mentre la sovra-capacità (56 mila megawatt alla punta contro oltre 120 mila disponibili) venutasi a creare nel sistema elettrico nazionale pone ( l’Enel principalmente) in condizione di dover dismettere almeno 23 impianti di tipo convenzionale che sfruttano combustibili fossili. Nella chiusura di tali impianti, non sono solo a rischio i lavoratori in essi impegnati, ma soprattutto i territori che quegli impianti hanno accolto ed intorno ad essi hanno creato un “indotto”. Peraltro, aldilà dei problemi sociali che già s’intravedono in prospettiva, le necessità di dismissione degli impianti convenzionali faranno aumentare gli oneri di sistema che verranno messi a carico degli utenti del sistema elettrico nazionale.

E’ noto che i principi liberisti non ammettono l’intervento dello stato nell’economia, ma è altrettanto noto che un mercato elettrico siffatto non è sorto “naturalmente”;  bensì,  è stato realizzato nel tempo a colpi di decreti e leggi da parte dell’autorità statale.

Nella consapevolezza che gli impianti a fonti rinnovabili sono di certo “asset” che alleggeriscono le problematiche ambientali in cui si dibatte la società moderna, diminuiscono la dipendenza e la bolletta energetica verso l’estero,  nonché nella convinzione che le opportunità agli impieghi produttivi del capitale devono essere incoraggiati piuttosto che demotivati, corre comunque l’obbligo di domandarsi :

1.       se quello realizzato in Italia in nome di quei principi liberisti si può definire “libero mercato” .

2.       se esso – visti i risultati - è ascrivibile tra le iniziative intraprese per il bene comune del paese.

3.       se gli incentivi erogati per la realizzazione di tali impianti a fonte rinnovabile non debbano far sorgere una sorta di diritto di primazia del settore pubblico nel rilavare detti impianti (per esempio da parte di Enel, le cui azioni sono ancora detenute dal Ministero dell’Economia e Finanza) nel caso in cui essi passino, come stanno passando, dalle mani degli originari proprietari incentivati (del tutto dimentichi degli incentivi ricevuti) a quelle di generici acquirenti in cerca di opportunità di business per i loro capitali.

4.       se tali fatti, provando ancora una volta la grande rilevanza e responsabilità sociale dell’intrapresa non debbano generare correttivi a difesa del bene comune del paese.

5.       se in tutto ciò non vi sia una responsabilità della politica in questo passato ventennio ed insieme ad essa del management insediato di volta in volta in aziende ed organismi pubblici che hanno condotto a tali risultati.

6.       se la magistratura e le autorità di vigilanza, nella fattispecie, di fronte ad ipotesi di danno erariale/o a danno della collettività non abbia il diritto di intervenire e non abbia omesso il dovere di farlo.

7.       quali possano essere le argomentazioni  veritiere con cui ribattere  posizioni “populiste”  di coloro che vedono in tutto ciò “la consueta manovra di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite da parte di lobby insaziabili”.

Solo recentemente, sotto spinta sindacale, l'Enel si è impegnata ad "accompagnare" al pensionamento 6000 addetti e ad assumerne 3000 entro il 2020, ma ad ascoltare i "vecchi" beneficiari degli sconti sull'energia elettrica (ex dipendenti e in gran parte pensionati) questo risultato è avvenuto a loro spese, perchè ben che vada si ritroveranno una "una-tantum" invece che i vecchi sconti sull'energia, che in tempi di crisi sono certamente un aiuto per i meno abbienti.

Per di più, a breve, visto che il mercato libero non ha prodotto quella discesa di prezzo che tutti si aspettavano dalla liberalizzazione (unica ragione per abolire il mercato vincolato riservato alla "fascia sociale") il Paese si potrebbe  ritrovare per legge, o addirittura per decreto, senza l'Acquirente Unico che ha finora garantito alla "fascia sociale" prezzi mediamente più bassi del 15%  per alcuni anni rispetto al mercato libero.

lunedì 4 gennaio 2016

Il Guazzabuglio del Bail-in: nuova scoperta della finanza

La strana assonanza del termine finanziario "bail-in" con una più comune e un po' volgare parola usata nel dialetto genovese, ha forse risvegliato l'attenzione dei risparmiatori italiani?
Certo è che la finanza dei nostri tempi, non più semplice ancella dell'intrapresa, ma matrona esclusiva e dominus indiscusso del sistema finanziario, di invenzioni ne ha fatte proprio tante negli ultimi tempi. L'ultima scoperta è il "bail-in" che abbiamo avuto modo di vedere all'opera e che cosa abbia prodotto in alcune banche minori italiane certamente in difficoltà. Tra rassicurazioni istituzionali e proteste di piazza di risparmiatori sedicenti "frodati", tra esperti di turno ed azzeccagarbugli, tra autorità di vigilanza e istituzioni centrali distratte, la confusione è veramente tanta e i risparmiatori in generale stanno maturando l'idea che i propri risparmi è meglio che tornino sotto il mattone o cuciti nel materasso, come ai vecchi tempi andati. Ma anche li è pura illusione pensare che siano "al sicuro", visto i tempi che corrono.
I consigli dei "consulenti finanziari di fiducia" sembrano non essere più di moda perché l'esperienza ha mostrato che sono stati espressi troppo spesso sulla scia di "cicero pro domo sua".
Se sarà corsa alle banche sapremo perché sta succedendo. Il guaio è che come al solito "la responsabilità non sarà di nessuno" e se qualcuno avrà maturato qualche idea al riguardo, difficilmente potrà manifestarla con efficacia per un pratico utilizzo.
Qui di seguito uno dei più autorevoli quotidiani nazionali prova a spiegarci elementi ritenuti essenziali, ma che francamente si ha difficoltà a cogliere con chiarezza per fini concreti.

http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2016/01/02/le-5-e-piu-cose-da-sapere-sul-bail-in-per-non-rimetterci-losso-del-collo/?uuid=Xty7DIJ