CONSIDERAZIONI SULL'ANALISI COSTI-BENEFICI IN UN CONTESTO DI VALORE E VALORI


ENERGIA: PERCHÈ NON BIOMASSE? UN PROGETTO ARCHIVIATO
Un esempio per discutere su un caso concreto di costi e benefici
in un contesto di valore e valori

Rocco Morelli - IEng MIET [1]

 Il presente lavoro è stato predisposto nell'estate 2019 in risposta ad un 
Call for Papers per la Giornata AICE 2019

Abstract

Business planning e relative analisi costi e benefici sono tecniche e metodiche ben consolidate nel campo del Total Cost Management e dell’Ingegneria Economica che le professano.
I casi di studio di progetti di successo possono essere densi di insegnamenti, ma altrettanto si può dire dei progetti che non hanno potuto godere di analogo buon risultato.
Il lavoro che qui si propone vuole trattare uno di questi casi “difficili” e senza “esito”, facendo salvo (per quanto possibile) l’anonimato per questioni di privacy, come pure ogni riferimento concreto che permetta diretta tracciabilità.
 A ben guardare, le storie di successo o insuccesso dei diversi tipi di progetto sembra, piuttosto, ragionevole congetturare che sia il sistema di valori entro cui il progetto si contestualizza e si svolge a concorrere in maniera decisiva nel determinarne gli esiti; dando qui alla nozione di valori il significato ampio di norme, comportamenti, obiettivi e atteggiamenti condivisi che si strutturano e rafforzano in tutto il corpo sociale di una società civile, in contrapposizione ad una condizione di diffusa anomia, se non addirittura di conflitto tra valori percepiti come opposti.

In questo lavoro si riporta la breve storia di un progetto di cogenerazione di elettricità e calore a biomasse che, sebbene fondamentalmente basato e sviluppato su presupposti tecnico-economici e ambientali condivisibili, sia poi stato, di fatto, abbandonato, non tanto per i rivoli innumerevoli dell’apparato burocratico-istituzionale che avrebbe dovuto accoglierlo, quanto per l’opposizione che ha generato e che ha costretto a far leva su un epilogo essenzialmente amministrativo da un apparato che fatica a riscoprire come solo un sistema consolidato di valori comuni possa essere la base per la generazione di valore economico, per tutti, attraverso l’intrapresa, da cui dipende la stessa stabilità del sistema istituzionale locale e nazionale.
Da qui la nozione di analisi costi-benefici trascende necessariamente quella corrente di valori meramente economici per inglobare la sfera sociale, ambientale, politico-istituzionale ed etica in generale, specie di fronte a progetti che coinvolgano il sistema energetico di un Paese e le comunità che in esso prendono vita.


INDICE
1. Premessa intorno a “valore e valori”
2. La centralità del problema energetico
3. Pubblico/Privato: Legame logico tra business planning e analisi costi benefici 
4. Brevi cenni di approccio nella pratica corrente su costi e benefici sociali nella ricaduta locale di un grande progetto
5. Utilizzo del legno (o cippato) a fini energetici
6. Esempio di un piccolo progetto di cogenerazione alimentato a biomasse (Prima Fase: fine 2011-fine 2012)
7. Simulazioni di business plan (Seconda Fase: fine 2012- metà 2013)
8. Confronti e costi e benefici per la mancata realizzazione del progetto
9. Lessons learned (lezioni apprese)
10. Conclusioni
 
Esempio di Inserimento Paesaggistico di un analogo impianto a biomasse da 1MWe

1. Premessa intorno a "valore e valori"

In questa Giornata AICE 2019 il tema apparentemente solo tecnico dell’analisi costi-benefici viene traguardato alla luce dei concetti di “valore e valori”. Il celebre aforisma attribuito ad Eraclito, Pánta Rheî (in greco antico: πάντα ῥεῖ), anche qui ci rammenta che "tutto scorre", tutto cambia e nulla è stabile. Perciò è naturale chiedersi se “valore e valori” presi qui a riferimento siano quelli attinenti alla sfera della contingenza o a quella dell’immanenza, senza voler calare così un’ombra sulle modalità interpretative di questi termini, che oscillano tra l’antico e il moderno, tra il relativo e l’assoluto, tra il fisico e il metafisico. Un certo pragmatismo sociale costringe a osservare che il tempo che viviamo nella civiltà occidentale è un tempo di transizione; in particolare di transizione energetica, alimentata dal percepito pericolo di cambiamento climatico.  Attraverso una indiscussa enfasi sulla necessità di decrescita sembra si tenti il recupero di una maggiore sobrietà nei consumi[2], un aumento della sensibilità e accortezza verso l’ambiente, inteso come giardino da custodire e non depredare; come dono del Creatore da passare alle future generazioni, possibilmente senza guasti, affinché anch’esse possano fare esperienza di una vita piena, tesa verso lo sviluppo integrale dell’uomo[3] cui è proiettata tutta la società umana di oggi, sebbene essa stessa questo sviluppo non lo abbia ancora raggiunto. Il nostro è un tempo di grandi encicliche sociali [4] del magistero pontificio, diffuse urbi et orbi, che mettono il dito su guasti mostrati dalla società umana attuale affinché vi si ponga rimedio, si recuperi e sperimenti – aldilà del proprio credo, la cui scelta è frutto dell’umana dignità[5] - una dimensione del vivere conforme ad una società cristianamente ispirata e ciascun uomo possa essere consapevole di una sua propria fraternità nei confronti di ogni altro uomo. È lo stesso magistero che ai nostri giorni rammenta al mondo – non solo cristiano - che “I soldi non possono servire a fare altri soldi”, sottintendendo che non è la finanza che può creare ricchezza collettiva, ma l’intrapresa, il lavoro. Niente di diverso, in fondo, da ciò che l’etica calvinista andava ripetendo dai suoi primi albori e che Max Weber aveva magistralmente analizzato nel suo saggio su “L’Etica Protestante e Lo Spirito del Capitalismo”. Ma, lo storico spirito calvinista degli albori (quasi monacale) – che ha fatto grande l’America e con essa la civiltà occidentale - è ancora vivo, attivo e presente nel mondo di oggi? Oppure vi è stata una lenta e progressiva deriva da quei valori primordiali, che non sono mai stati assenti dall'insegnamento cristiano in generale?        
In definitiva, ci si chiede se in questo tempo, contestualizzare un’analisi costi-benefici sullo sfondo di valore e valori non debba in qualche modo e in qualche misura tenere conto non solo di parametri tecnico-economici che le sono caratteristici, ma anche dei rilievi etici e sociali cui siamo   richiamati da un insegnamento che non possiamo ignorare: per esempio assumendo l’intrapresa come prevalente rispetto alla finanza, che le è ancella e non dominatrice; oppure assumendo l’ambiente e la sua preservazione, la sicurezza e il bene comune come prevalenti rispetto ai costi del progetto e alla necessità di contribuire a generare valore economico  a tutti i costi per i proponenti il progetto (in definitiva per il bene individuale); oppure ancora, assumere come prevalente la parsimonia nella spesa di pubblico denaro per un progetto anziché mirare – con intenti redistributivi - alla sua nota “efficienza” negli effetti moltiplicativi che essa genera nella ricaduta locale di ogni investimento. In definitiva, nell’intrapresa conta solo il breve periodo e unicamente la creazione di valore per l’azionista oppure c’è dell’altro[6]? E anche se con la pretesa di conservare scientificità e neutralità alle discipline cui ci dedichiamo, fossimo spinti ad una analisi storica della teoria economica del valore, troveremmo risposte univoche su che cos’è il valore economico oggi?
In merito a questo tema i vecchi libri di economia riportavano la teoria dell'Abate Galiani che attribuiva il valore economico di un bene o alla rarità (metalli preziosi, gioielli, etc.) oppure all'utilità. Proprio per la sua utilità e centralità nella vita umana - e non solo per aspetti riguardanti potere e territorialità - i fisiocratici francesi, invece, attribuivano grande valore alla terra, che presentava doti di "(ri-)producibilità" e quindi di apertura alla strada del concetto di rendita (funzionale all'aristocrazia terriera di quel tempo). Sebbene i classici (ed in primis A. Smith) avessero ben riconosciuto il lavoro, i commerci e l'impresa (funzione organizzatrice dei fattori produttivi) come generatori di valore, occorre giungere alle teorie socialiste e soprattutto marxiste per assistere ad un tentativo di ricondurre in modo preponderante al solo lavoro la capacità di generare valore economico. La rivoluzione industriale e il conseguente taylorismo, sostenuti - secondo una visione weberiana da un' etica “protestante" (seppur preesistente in molti scritti cattolici ante Riforma) hanno fatto nascere il capitalismo occidentale che ha poi compiuto, pur con i limiti che solo oggi si vanno (ri-)scoprendo, il miracolo di liberare una buona parte dell'umanità dalla fame e dalla scarsità (naturalmente a spese delle risorse della Terra), ma lasciando sostanzialmente inalterate e talvolta peggiorando le condizioni di quella parte più povera di "umanità quasi dimenticata". Ma in tutto l'arco temporale della storia umana, la prerogativa di coniare moneta, “valore che procura valori”, è stata prerogativa nobiliare riservata a re e reggenti di popoli e nazioni, che (man mano che il processo di democratizzazione della società proseguiva) la adottavano  per le comunità che erano a loro sottoposte: in virtù della forza disponibile; oppure del potere loro conferito per "volontà di dio" o per "volontà di dio e grazia della nazione"; o infine per disposizione costituzionale come avviene nelle moderne repubbliche che per governare adottano un sistema democratico e di rappresentanza basato sul consenso dei governati. Con il sistema Gold Standard, sviluppatosi per far fronte ai commerci internazionali, le diverse autorità con potere di conio (emissione di moneta metallica inizialmente e poi di carta moneta) dovevano dotarsi di opportune riserve auree in proporzione alla carta moneta che mettevano in circolazione. Con l'abbandono del sistema Gold Standard (che poneva l'oro come corrispettivo ultimo a garanzia di un qualunque ammontare di carta moneta) l'avvento della visione keynesiana dell'economia - che pur riconosceva gran valore al lavoro e al pieno impiego dei fattori produttivi e delle forze del lavoro in particolare - il sistema aureo di garanzia ha sostanzialmente finito per essere abbandonato. Quasi dimenticando l'effettiva interconnessione dei sistemi economici prodotta dai commerci internazionali, si è sviluppata nel tempo, tra le autorità monetarie (solitamente coincidenti con le autorità di governo territoriali) una sorta di guerra basata su due elementi fondamentali (pur non nuovi, ma sempre presenti nella storia economica fin dagli albori delle civiltà): da un lato il debito e dall'altra l'inflazione (inizialmente intesa come adulterazione, ossia aumento della diluizione del metallo prezioso nella moneta metallica). Questi due elementi, peraltro, come ci spiega la Teoria Monetaria Moderna sono interconnessi[7], poiché il deficit di bilancio alla base del debito è ricchezza che le autorità monetarie mettono a disposizione delle comunità che ad esse sono sottoposte; mentre invece il surplus di bilancio (contrario del deficit) è ricchezza che dalle comunità viene ritirata attraverso la tassazione o l'inflazione che incide sul potere reale e non nominale di un determinato ammontare di carta moneta. Soltanto ai nostri giorni, attraverso la globalizzazione, il potere di conio (ossia quello di stampare carta moneta), o meglio il suo equivalente moderno “moneta fiat”[8], è passato "di fatto" - attraverso le cartolarizzazioni, la creazione dei cosiddetti "derivati", il gioco borsistico, i commerci internazionali, etc. - dalle mani dei governanti nelle mani delle banche e "dei mercati". Questi fenomeni e "strumenti innovativi" per la creazione di valore (dal nulla) in un sistema privo di garanzie (che in passato erano offerte dal Gold Standard) hanno mostrato la loro capacità di innescare crisi generalizzate e si accompagnano ad una evidente perdita di capacità di governo e credibilità di quelle istituzioni ed autorità nazionali. Oggi c'è chi parla di un ritorno al Gold Standard seppur modificato rispetto al passato[9]. Sembra ragionevole affermare che nella società moderna il valore e la ricchezza economica abbiano perso il loro significato originario ed abbiano assunto forme più "cartacee" e addirittura "evanescenti" (vedasi futures, titoli assicurativi, bond ventennali, etc.) esponendosi così a repentine variazioni determinate in particolare da crisi cicliche/strutturali che mettono a repentaglio non solo la produttività del capitale detenuto, ma addirittura la sua stessa esistenza. Tutto questo, associato alla globalizzazione, ha avuto ed ha tuttora l'effetto di far variare e spostare il baricentro del potere economico divenuto più esposto e mutevole rispetto al passato, associandolo ad una impredicibilità strutturale ed intrinseca che non favorisce condizioni di stabilità necessarie allo sviluppo. In tali mutevoli e impredicibili condizioni è ragionevole attendersi una ripresa della prevalenza di una potestà associata alla Forza (Militare) rispetto a quella del Potere Economico? Sarà la Forza a sostenere i progetti necessari all’umanità o il potere economico dei Mercati? Si tratta di valori conflittuali, che oggi sembrano porre in maniera antagonista Stati e Mercati, ossia il capitalismo autocratico a quello democratico, senza lasciar prefigurare quale di questi “valori” potrà essere prevalente. Emerge intanto in sede morale la convinzione che il bene individuale è subordinato al bene comune, condiviso, pubblico e il tempo è superiore allo spazio.[10]



Dovendo parlare di progetti che riguardano l’energia un memento è apparso d’obbligo, specialmente per confronti “pro e contro” (ossia analisi costi-benefici in termini qualitativi) tra diverse tecnologie[11] che emergeranno qui di seguito.
Il cambiamento climatico, l’improrogabilità della sostenibilità e del mutamento degli stili di vita, portata dall'eccessivo sfruttamento delle risorse planetarie e dell’ecosistema, obbligano a pensare che i presupposti taciti o palesi, evidenti o inespressi, credibili o non credibili, della decarbonizzazione e del Piano Nazionale Integrato per L’energia e il Clima (documento PNIEC) che ad essa si ispira, siano la necessità della CONVERSIONE ECOLOGICA e della CONVIVENZA dei Popoli. Questi appaiono oggi due percorsi problematici da intraprendere e da attuare in concreto, ma obbligati, sebbene socialmente "dolorosi", aldilà delle edulcorazioni giornalistiche quali ad esempio “la decrescita felice”.
L’approccio europeo Energy Road Map 2030-2050, limitando l’uso dei combustibili fossili e rifiutando il nostro Paese il ricorso al nucleare, ha stigmatizzato una situazione che vede il mondo europeo ridotto “alla canna del gas”, con un vecchio nucleare in via di obsolescenza senza che possa nascerne uno nuovo (basta ricordare il flop del progetto EPR – European Pressurised Reactor -  per es.ad Olkiluoto e Flamanville causa cost & schedule overrun; vedasi Fig.1 disponibile sul web[12]), rendendo perciò indispensabile per il nostro Paese puntare al risparmio e all'efficienza energetica, nonché a quel poco di rinnovabili (cui appartengono le biomasse) che in un ventennio si è riusciti a realizzare attraverso incentivi pubblici.

Traguardando gli elementi concreti che determinano la producibilità annua di ciascuna tecnologia energetica, tra tutto il plauso possibile per le rinnovabili, occorre ricordare, però, la realtà: da un lato diecimila megawatt di eolico installato - se va bene in termini di ventosità media annua e di velocità di spunto e “cut-off” - sono equivalenti in termini di producibilità a circa 1800 megawatt di carico di base continuativo e l’energia eolica prodotta necessita di una fine regolazione primaria e di robuste reti “smart”[13] rispetto alle variazioni di carico in assenza delle quali reti quell'energia prodotta è inservibile. Dall'altro lato, la tecnologia fotovoltaica basata sul silicio è essa stessa tecnologia energivora che pone limiti e vincoli alla sostenibilità. Lo sviluppo di tecnologie fotovoltaiche alternative – per es. film organici e concentratori - sebbene presentato sempre come promettente, tarda a concretizzarsi perché la ricerca langue. In ogni caso diecimila megawatt di punta di fotovoltaico equivalgono, alle nostre latitudini, in termini di producibilità, a circa 3000 megawatt di carico di base continuativo e lo stesso fotovoltaico pone problemi ambientali sia per lo smaltimento dei pannelli a fine vita d’impianto, sia per gli eventuali sistemi di accumulo (specie batterie). Infine, fotovoltaico ed eolico consumano territorio e pongono problemi di paesaggio e non solo; particolarmente se orientati all'autoconsumo e al tempo stesso all'immissione in rete.
La crisi che viviamo è innanzitutto CRISI ENERGETICA. Ed è proprio questo il punto su cui riflettere, perché prima di imporre all'intera famiglia umana un cammino di decrescita di gravoso genere – pur se moralmente obbligato - occorrerebbe essere certi che non vi siano strade alternative.
Senza alcuna acredine, come il PNIEC possa essersi fatto garante di questo non è per nulla chiaro.
Investigare strade alternative alla decrescita - magari lungo il cammino già intrapreso - è anch'esso obbligo morale per tutti.  Una tale investigazione, nel momento grave che l’umanità vive, presupporrebbe profusione di risorse per la ricerca energetica in modo del tutto straordinario, specie in considerazione delle crisi strutturali ricorrenti che producono disoccupazione intellettuale e giovanile; da cui è facile dedurre che i nostri potenziali ricercatori, laureati e disoccupati, oggi sono “a spasso”. Il PNIEC dovrebbe tener conto anche di questo. Invece, crescono sostanzialmente solare e fotovoltaico, mentre tutto il resto permane quasi stagnante, se non arretra come nel caso delle biomasse.

Estratto N*1 da PNIEC 2019



Il MIT ha ripetutamente sottolineato che una transizione energetica senza il nucleare è impensabile e non sostenibile[14]. Ma, questa tecnologia è stata ritenuta dal Popolo Italiano improponibile ed impossibile in Italia, salvo importarla quando poi è necessaria (stesso dicasi per l'energia che con questa tecnologia si produce) a prezzi oligopolistici. L’UE, invece, nella sua Energy Road Map 2030-2050 auspica per tutti i paesi membri un discreto mix includente il nucleare (per una quota di 20-30%). Così, non disponendo del nostro, noi il nucleare lo importiamo!
Si afferma nelle discussioni pubbliche che il PNIEC sia fondato sulla concretezza e nessuno vuole smentirlo, ma in nome di essa pare opportuno allargare lo sguardo su fatti che appaiono trascurati, primo tra tutti le opportunità che solo la ricerca scientifica e industriale può fornire all’Europa per superare le gravi crisi che si frappongono sul suo cammino, insieme ad una efficiente e oculata allocazione delle risorse limitate disponibili.

Le recenti previsioni di decrescita delle Biomasse (e non solo queste! Vedasi Estratto N°1 sopra) riportate nel PNIEC ai fini della produzione di energia elettrica, hanno fatto sorgere interrogativi e richiamato alla mente un piccolo vecchio progetto “sfortunato”, mai andato in porto, che essendo concepito su base “modulare” poteva costituire un avvio per l’utilizzo, la sperimentazione e lo sviluppo migliorativo delle tecnologie esistenti nel settore delle biomasse. Allo stesso tempo, se opportunamente incoraggiati nella loro diffusione, specie presso comunità montane, questi progetti modulari avrebbero potuto costituire un elemento discreto per contribuire a risolvere i problemi della transizione energetica in atto che pervade l’Europa e soprattutto il nostro Paese, favorendo anche il riciclaggio e recupero differenziato di scarti energetici (waste to energy) provenienti da interventi manutentivi boschivi di vasti territori appartenenti a comunità montane. Ma per il progetto assunto qui come esempio e caso di studio, ciò non è avvenuto, come vedremo qui appresso. Sorge quindi anche l’interrogativo, aldilà dei disposti di legge, se si crede ancora nel contributo che possono dare le biomasse in campo energetico, oppure se le problematiche che suscita la combustione del legno (o cippato, come si vedrà tra breve) nei sistemi energetici diffusi a tali fini sta facendo abbandonare questa opportunità nonostante si tratti di una opzione talvolta più conveniente dell’eolico e del fotovoltaico se utilizzata in sistemi concentrati dotati di capacità di abbattimento di polveri e ceneri.

3.    Pubblico/Privato: Legame logico tra business planning e analisi costi benefici


Ogni progetto, con i suoi obiettivi, le sue finalità, i suoi scopi, è un valore in sé ed esprime, talvolta non visibilmente, i valori che lo hanno fatto nascere, anche quando questi valori si riducono a esigenze ed obiettivi individuali (privati) o sociali (pubblici). Questo fa nascere l’ipotesi, meritevole di indagine ulteriore, che forse dalla coincidenza dell’homo faber (votato al fare) e dell’homo oeconomicus (votato all’efficienza del capitale) può nascere nel settore privato un nuovo vero imprenditore e nel settore pubblico un nuovo vero amministratore, se entrambi sostenuti da un’etica economicamente e socialmente riconosciuta come accettabile.
Ma, ogni attività imprenditoriale (o amministrativa pubblica) implica il rischio di affrontare un costo nell’aspettativa di un beneficio economico (o sociale), in guisa che si potrebbe affermare dal punto di vista logico, che in tutti i casi non vi può essere costo senza beneficio, né beneficio senza costo. Ciò è vero – come si vedrà - non soltanto se ci si ferma all’accezione economica del termine “valore”, ma anche se si assumono altre dimensioni semantiche che la trascendono.
Il mezzo, talvolta anche euristico e comunicazionale, per definire, mettere a punto e valutare un progetto imprenditoriale è il "business plan". Esso illustra e sintetizza i contenuti, le caratteristiche, le finalità, le analisi tecniche e di mercato e le ipotesi  sottese dal progetto, nonchè le attese, sia in termini economici che per esempio di ricaduta industriale, sociale,  economica e occupazionale, ossia di impatto (locale, nazionale, internazionale, a seconda dei casi) dell’investimento che il progetto implica, senza limitarsi,  spesso, agli aspetti puramente economici o di mercato, ma prendendo in considerazione gli aspetti ambientali in generale e sociali che la localizzazione del progetto, con i suoi insediamenti ed opere, va a toccare inevitabilmente.
I principi. le modalità e le tecniche di business planning sono ben strutturate e conosciute nell’ingegneria economica, in letteratura, e nella normativa; per cui non si vuole qui entrare nei dettagli redazionali od analitici se non per quella parte che rileva ai fini dei temi posti alla base di questo incontro.
Vale la pena però ricordare che gli strumenti e tecniche di business planning rivestono posizione centrale nelle fasi di sviluppo e gestione di un progetto, sebbene possano essere viste anche come strumenti di ottimizzazione per analizzare e valutare diverse alternative disponibili, al fine di un possibile ranking su cui basare la selezione delle più convenienti iniziative industriali, infrastrutturali, organizzative e di sviluppo di un sistema produttivo pubblico o privato che sia. Spesso il business plan assume anche le funzioni di mezzo di comunicazione verso, sponsor, promotori, finanziatori o stakeholder in generale. Innumerevoli sono le variabili che caratterizzano ed incidono sul business planning di un progetto. Tra queste si possono citare ad esempio: il ciclo di vita intero implicante la vita produttiva del progetto; il costo totale di realizzazione e le sue varie componenti; il programma temporale  di realizzazione, di messa in esercizio commerciale e decommissioning a fine vita e le sue varie componenti; le quantità prodotte, i costi di produzione, i prezzi di vendita del prodotto e i ricavi; il costo opportunità del capitale, una prefissata proporzione tra capitale di rischio e capitale finanziato; il tempo di ritorno o di ripagamento dell’investimento; il valore attuale netto del progetto (VAN); il suo tasso interno di rendimento (TIR), oltre vari indici valutativi, tra cui quelli rivolti – specie in caso di project financing - a stabilire la capacità del progetto di ripagare il debito contratto per il suo finanziamento (debt service coverage ratio, DSCR). Trattandosi solitamente di scenari pluriennali i valori economici da indicare in una pianificazione di un progetto possono essere a moneta costante (secondo una prefissata data di riferimento ed un sistema di attualizzazione a quella data), oppure in moneta corrente (utilizzando i valori così come sono nell’anno cui essi si riferiscono). Integrando la dimensione economica con quella temporale, il business planning si sintetizza in una molteplicità di stringhe di valori (in genere riducibili a flussi di cassa) lungo il tempo.
Una curva tipica del business planning utile ai fini dell’individuazione del punto di pareggio[15] (impropriamente breakeven point per il ripagamento del finanziamento) e ad avere sottocchio la vita di progetto è quella seguente, caratterizzata sostanzialmente da sole uscite (cumulata del cash flow in zona negativa) nella fase di sviluppo e investimento, da uscite e entrate dopo l’avvio dell’esercizio commerciale (cumulata del cash flow ancora in zona negativa) e da una fase di entrate dopo il raggiungimento del punto di pareggio (cumulata del cash flow in zona positiva).
In definitiva, è come se per l’intrapresa del progetto si tendesse a scrutare le future attese attraverso proiezioni nel tempo del conto economico e patrimoniale di una possibile società di scopo (vera o virtuale) incaricata della gestione del progetto lungo tutto il suo ciclo di vita.

Fig. N°2 - Punto di PareggioAggiungi didascalia

È evidente, in questa ottica, che dopo l’avviamento commerciale del progetto eventuali periodi con flussi di cassa negativi divengono punti singolari e focali di attenzione al fine di evitare o controllare, per quanto possibile, queste pericolose singolarità per garantire all’intrapresa del progetto la stabilità economico finanziaria; principio cui il business planning è sostanzialmente ispirato. In sostanza tutti i fattori produttivi devono essere remunerati e tutti i costi compensati (anche quelli esterni eventuali) attraverso i valori economici che lo stesso progetto genera nel corso della sua vita produttiva, compensando anche i costi generati dalla dismissione (decommissioning) del progetto a fine vita. Per questi ultimi si ricorre in genere alla costituzione di fondi immobilizzati, alimentati da una quota dei ricavi che il progetto genera man mano. Esistono in commercio sistemi esperti già predisposti per il business planning, dai più complessi (per es. il vecchio e un po’ datato COMFAR III dell’UNIDO[16], che ha fatto storia in progetti internazionali di sviluppo) ai più semplici, il cui vantaggio è quello di offrire sistemi collaudati e affidabili nei risultati. Ma a causa della rigidità delle maschere di input e prodotti di output di questi sistemi spesso si sceglie di predisporre un proprio modello, calibrato sul caso specifico, ricorrendo a fogli elettronici quali EXCEL o WORKS che hanno però lo svantaggio di richiedere “mestiere”, profonda esperienza e comunque un “collaudo” – possibilmente terzo – per una messa a punto finale, per una analisi dei risultati e della sensitività alle diverse variabili sotto ipotesi formulate per una valutazione complessiva, rischi inclusi.

 Il legame logico esistente tra business planning e analisi costi benefici, sebbene auto-evidente (per es. un costo evitato può essere un beneficio), non sempre è elemento cogente. Quando si opera ad esempio per una istituzione o ente locale, ospitante potenziale di un progetto e coinvolto nel processo autorizzativo che impatta sul proprio territorio, gli elementi analitici del progetto che assumono rilievo possono essere di natura meta-economica, trascendendo il mero valore pecuniario. Aldilà del fatto che tali istituzioni o enti locali possano aver responsabilmente richiesto anche una succinta e necessariamente approssimata verifica di fattibilità economico-industriale del progetto stesso (come nella fattispecie in esame), che passa però in subordine rispetto ad altro, perché l’efficienza del capitale è interesse precipuo del proponente. È così che, in taluni casi – come quello che è riportato di seguito nel presente documento - le analisi costi benefici possono prendere vie non strutturate e apparentemente poco sistematiche e venir trattate in confronti tra tecnologie o aspetti di tipo tecnico di altra natura (per es. ambientali, impiantistici, strutturali, etc.); ma non per questo tali analisi divengono meno efficaci per i fini cui sono destinate, assumendo in tal modo configurazione di due diligence ossia di perizia più in generale. Anche in questi casi la contestualizzazione con il valore e i valori (tema oggetto dell’incontro odierno) è requisito importante, specie allorquando sono coinvolti il valore della competenza, il valore della professionalità, quello della trasparenza, della veridicità e fedeltà  verso il committente pubblico, che si distingue da quello privato perché mentre quest’ultimo ha come obiettivo obbligato l’intrapresa privata e il conseguente profitto, il primo ha il dovere di onorare la propria posizione, che implica servizio e bene pubblico ispirato all’equità, alla comunità che lo esprime e in definitiva alla giustizia. Tutto ciò senza dimenticare i valori sociali dell’intrapresa privata e della generazione del valore economico attraverso di essa, che induce nuovo lavoro e salari, risparmio e, attraverso il processo di accumulazione, nuovi investimenti e quindi crescita. Tutti elementi che in una analisi costi benefici vengono di solito trattati nella cosiddetta “ricaduta (locale) del progetto; giungendo per i grandi progetti di interesse nazionale ed internazionale all’analisi dell’investimento attraverso il moltiplicatore della teoria keynesiana basato sulla propensione al risparmio/consumo delle diverse regioni coinvolte.
In definitiva sebbene in tutti i casi di business planning e analisi costi-benefici connessi è fondamentale avere negli aspetti economici accuratezza, assenza di sprechi, trasparenza, veridicità, attenzione, correttezza, efficienza ed efficacia, si vuole qui sottolineare che esiste una sostanziale differenza tra business planning e relativa analisi costi-benefici nel settore privato e nel settore pubblico, poiché nel primo caso i costi e benefici economici sono prevalenti rispetto a quelli sociali, mentre invece sono proprio gli aspetti sociali ad essere prevalenti rispetto a quelli economici nel secondo caso. Sebbene in entrambi i casi gli uni e gli altri aspetti siano presenti in diversa misura e con diverso valore prevalente. Questa differenza tra pubblico e privato è vera a tal punto che l’UNIDO (Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale) che ha predisposto – per i pianificatori nazionali, ma non in modo esclusivo - proprie Guidelines for Project Evaluation[17], dopo aver illustrato le limitazioni cui è soggetta una valutazione con finalità commerciali, afferma testualmente:

“By the very nature of his work a commercial entrepreneur can confine his thoughts to a rather limited range of effects, but a planner on behalf of the country must, of necessity, take a wider view. This point is simple enough but it is often overlooked when one contrasts the clear and quick and clear-cut decisions of entrepreneurs with the rather slow and cumbersome exercises of public-project evaluations”[18]

La valutazione dei progetti, aldilà dell’impostazione “commerciale” del business plan, dispone di metodi strutturati e di scuola per l’analisi dei costi e benefici economici e sociali dal punto di vista di un pianificatore nazionale, sino a coinvolgere - per la grande scala - aspetti macroeconomici, occupazionali e redistributivi per l’analisi dell’investimento. Ovviamente, per la scala dell’esempio che seguirà, si fa riferimento a metodologie più modeste, destrutturate e consuetudinarie, anche per mettere in luce metodi di analisi più adatti alla piccola dimensione.



Gli effetti evidenti – annoverabili in termini di costi sociali - di un nuovo progetto da realizzare nel settore energetico, quali ad esempio:
- il consumo di territorio (nelle sue diverse tipologie: agricolo, boschivo, industriale, etc.);
- la sicurezza (nei suoi diversi risvolti di safety & security);
- l’impatto ambientale e l’aumento di carico inquinante (per le matrici acqua, aria, suolo);
- gli effetti di campi elettromagnetici (specie per linee ad alta tensione) e radianti (specie nel caso di centrali nucleari);
- l’impatto sulla viabilità e paesaggistico (sky-line, etc.);
- gli eventuali aspetti demaniali, etc.;
sono normati e obbligatoriamente analizzati sia in sede di progetto propriamente detto (design & engineering), sia in sede di procedura autorizzativa (license & permits) e di Valutazione Impatto Ambientale (VIA) necessari per l’insediamento di un nuovo impianto su un determinato territorio. In sede di normativa europea ci è spinti oltre, sino a valutare gli effetti inquinanti incrociati e a imporre in maniera cogente, da parte delle istituzioni che rilasciano permessi per l’esercizio di un nuovo impianto, una prevenzione e controllo integrati dell’inquinamento (IPPCIntegrated Pollution Prevention and Control) attraverso l’uso obbligatorio delle migliori tecnologie disponibili (BAT – Best Available Technology).
Una determinata scuola di pensiero è comunque orientata a valutare in termini puramente economici anche gli effetti dei costi e benefici sociali – cosa che si rivela non sempre possibile - attraverso il concetto delle “esternalità”[19]. Ciononostante, tali procedure possono rivelarsi utili nell’individuazione di fattori-chiave di un progetto o di un suo procedimento valutativo, progettuale, autorizzativo, etc.




 

Sono qui riportate a titolo esemplificativo due tabelle (Tabella N°1 e N° 2) estratte da un vecchio lavoro [20], ma che nonostante gli affinamenti intervenuti nel tempo convogliano ancora bene la funzione a fini pratici del concetto generale di “esternalità”, che necessariamente diviene elemento additivo rispetto ai costi effettivi di progetto per una valutazione complessiva comparata.


Non può essere trascurato di menzionare in questa sede, la metodologia istituzionale messa a punto dall’UNIDO attraverso le Guidelines for Project Evaluation[21]  che più che sostituire alla consueta Commercial Profitability (riconosciuta come recante limiti per un pianificatore nazionale), affianca The Introduction to the Methodology of  National Benefit-Cost Analysis stressando il concetto di National Economic Profitability e mettendo a punto una metodologia orientata ad esempio ai seguenti obiettivi:
-           Aggregate Consumption Objective;
-           Employment Objective;
-           Redistribution Objective;
che mirano ad una analisi costi-benefici essenzialmente in termini sociali. Meglio di qualunque altra spiegazione le seguenti parole all’inizio del II° Capitolo delle citate linee guida possono convogliare il senso di questa impostazione:
“Formally, calculation of national economic profitability simply replace monetary revenues and monetary costs with social benefits and social costs, and the rate of discount used to aggregate returns and outlays at different times becomes a social rate of discount rather than a private rate of discount. But social benefits and costs differ substantively from monetary revenues and costs. And the social rate of discount appropriate to calculation of national economic profitability will equal the private rate of discount appropriate to calculations of commercial profitability only by accident once we abandon the assumptions of perfect competition that characterise  virtually all of welfare economics.”[22]
Aldilà delle impostazioni teoriche e concettuali, in pratica, nei grandissimi progetti energetici (per esempio centrali termoelettriche o nucleari) oppure grandi opere pubbliche affidate a consorzi di grandi imprese o a strutture centralizzate di engineering e management (Architetto Ingegnere del Progetto, Project Manager, Owner Engineer, Engineering Procurement & Construction Contractor) è consuetudine analizzare per conto del committente (specie se pubblico) la ricaduta locale del progetto (sull’intera area interessata, che accoglie l’impianto) anche per illustrare alle popolazioni del territorio di insediamento la minimizzazione dei costi sociali individuati e la massimizzazione dei benefici diretti, indiretti e indotti per effetto del nuovo impianto che viene proposto, configurando così un sistema trasparente e pubblico di controllo periodico lungo la vita di progetto.
Nelle fasi iniziali, però, per poter stimare la ricaduta diretta in sede locale, in assenza di un vero e proprio piano di committenza, che è individuabile solo attraverso un progetto esecutivo avanzato, che solitamente diviene disponibile con il procedere delle attività realizzative, non si può che muoversi dapprima in via del tutto approssimativa ed estimativa. Successivamente, con il procedere del progetto i piani di committenza (ordini, appalti, forniture, servizi e acquisti in genere necessari alle attività realizzative) vengono man mano definiti e la ricaduta in sede locale, all’interno di un vero e proprio report di avanzamento, diviene in trasparenza un documento di pianificazione, gestione, colloquio e informazione per le comunità e le istituzioni centrali e locali, le organizzazioni sindacali, le associazioni confindustriali, etc. In esso si dà notizia, per esempio, dello stato di gare internazionali, nazionali o locali, dei contratti affidati all’imprenditoria nazionale o locale, degli aspetti occupazionali (numero e specializzazioni delle assunzioni necessarie), dello stato dei vari permessi e autorizzazioni ivi incluse le cause ostative eventuali, gli eventuali scostamenti dalla pianificazione iniziale di tempi, costi e altri parametri; come pure gli eventuali scostamenti da un base-line iniziale nelle diverse matrici (aria, acqua, suolo) di parametri ambientali chiave (emissioni di inquinanti e polveri, rumore) rilevati da una rete di monitoraggio ambientale posizionata in punti prestabiliti. Si vanno così a rapportare e controllare, effettivamente e pubblicamente, le alterazioni al fondo ambientale locale per effetto del progetto nelle sue diverse fasi: progettazione, realizzazione, avviamento ed esercizio commerciale, come pure le eventuali misure intraprese per fronteggiare eventuali situazioni avverse. Ma anche tutto ciò ha un costo (spesso affrontato in sede di pubblica committenza come “misure compensative” verso i territori coinvolti in apposite formali convenzioni o leggi), che però bisogna necessariamente erogare per il beneficio di un consenso delle comunità locali ad accogliere sul proprio territorio un nuovo impianto o opera infrastrutturale.
Per stimare complessivamente la ricaduta industriale in sede locale per effetto degli investimenti previsti si usa seguire una certa impostazione, innanzitutto stimando ragionevolmente la minima percentuale del valore del piano composta da tecnologia e servizi disponibili in loco (per es. opere civili minori, servizi di guardiania e di ristorazione e pulizia, servizi di trasporto da e per il cantiere di costruzione, etc.) incluso una parte massima di subappalti stabilita per legge o per contratto che si rivelano sempre necessari, salvo le parti più tecnologicamente avanzate. Ove si tratti di un’area di ricaduta locale fortemente industrializzata, avvezza ad accordi di cessione licenze e “know-how transfer”, c’è da attendersi che questa quota d’impatto possa facilmente crescere. Si usa talvolta prevedere già nei piani di committenza tipologie di gare riservate all’imprenditoria locale, comunque in regime concorsuale per fare salvi gli aspetti di competitività ed efficienza. 
Sulla falsariga di quanto si fa nelle metodologie per la revisione dei prezzi nei grandi contratti, in prima battuta si può pensare il valore complessivo della ricaduta locale degli investimenti del piano ridotto a tre componenti ultime ed essenziali:
- una componente ENERGIA pari al 10÷20% del valore di progetto;
- una componente MATERIALI (materie prime, semilavorati, componenti, etc.) pari al 45÷40% del valore di progetto;
- una componente MANODOPERA (di diversi livelli, specializzazioni e qualifiche) pari al 45÷40% del valore di progetto.
Per la componente ENERGIA, attraverso il costo medio in Euro/kWh assunto per il progetto si calcola la necessità di una quantità di energia in kWh.
Per la componente MANODOPERA, assumendo un costo medio locale per la manodopera in Euro/h si calcola la necessità di ore di lavoro necessarie.
La ricaduta complessiva (diretta, indiretta e indotta) in termini occupazionali può essere, invece, anche 10 volte più ampia (come sembrano confermare alcuni dati ANCE e studi nel settore edile italiano).


Prima di procedere nel riferire in questa sede l’esempio di un piccolo progetto di cogenerazione (periodo 2012-2013) alimentato con biomassa legnosa (cippato) si ritiene opportuno fornire un quadro organico in merito all’utilizzo del legno a fini energetici; quadro che è sembrato opportuno ricostruire da diversi pezzi estratti da un’opera autorevole richiamata in nota. Si tratta di pezzi letteralmente riportati e ricomposti - in via del tutto soggettiva - come segue (in corsivo), sottolineando passaggi chiave:

“Oltre tre miliardi di persone, essenzialmente in paesi in via di sviluppo, si affidano alle biomasse tradizionali – soprattutto la legna – per la preparazione del cibo e il riscaldamento.
Si calcola che circa 1,2 miliardi di persone siano sprovviste di elettricità e, anche laddove essa è disponibile, milioni di esse non sono in grado di acquistarla.
Denominatore comune è il fatto che la mancanza di energia contribuisce a causare e a propagare la povertà e a mettere in pericolo la salute, specie là dove si dipende dalla sola energia umana e dall’inefficiente combustione di biomasse per lo svolgimento delle attività quotidiane. Orbene, molte delle attività quotidiane che richiedono energia sono fondamentali:
-       La potabilizzazione dell’acqua per bere;
-       L’illuminazione, per leggere e studiare;
-       Il calore, per cucinare o il riscaldamento;
-       Il trasporto;
-       Il soddisfacimento di determinate “necessità di base” (elettrodomestici, pompe per l’irrigazione, dispositivi per servizi igienici, etc.).
Laddove queste attività quotidiane non sono rese possibili dalla mancanza di energia, non si può parlare di livelli accettabili di vita.

5.1 L’uso energetico del legno

Una speciale attenzione va dedicata all’energia semplice e tradizionale proveniente dal legno. Come già detto, è considerata una fonte di energia rinnovabile, perché l’uomo è in grado di gestire in modo durevole le foreste. Comunque sia va tenuto presente che la legna è considerata come una fonte di energia climaticamente neutra e socialmente accettabile, solo se il suo impiego rispetta determinate condizioni, fra le quali, appunto, la gestione sostenibile delle foreste e il suo uso, che deve essere efficiente, riducendo al minimo eventuali dispersioni di energia e minimizzando le emissioni sia all’interno che all’esterno delle abitazioni. In numerosi Paesi poveri, la legna da ardere rappresenta tuttora la principale fonte energetica per la cottura dei cibi e il riscaldamento; anche nei Paesi sviluppati essa si pone come integrazione di altre fonti energetiche nel riscaldamento domestico.
Nei Paesi poveri, l’impiego del legno come risorsa energetica si avvale principalmente di tecnologie semplici e di tipo tradizionale, ad esempio, i sistemi a focolare aperto. Nei Paesi più sviluppati sono state gradualmente introdotte tecnologie più complesse, ad esempio, la combustione controllata in sistemi a focolare chiuso, come le stufe a pellet, che consentono, tra l’altro, di sfruttare energeticamente in maniera ottimale residui derivanti da processi di lavorazione cui è sottoposto il legno per le sue numerose forme di impiego. L’uso massiccio della legna da ardere non è tuttavia esente da preoccupazioni di carattere ambientale e talvolta sanitario.

5.2 Energia di massa per bisogni fondamentali

Globalmente, circa 2,7 miliardi di persone dipendono da biomasse tradizionali, di cui – secondo le analisi della FAO – oltre 2 miliardi dipendono proprio dall’energia fornita dal legno per la preparazione del cibo e per il riscaldamento, specie nei paesi in via di sviluppo e nelle zone in cui esso è l’unica risorsa energetica disponibile o che le famiglie si possono permettere.
Il legno, bioenergia tradizionale e decentralizzata per eccellenza, rappresenta un terzo del consumo globale di energie rinnovabili. È la fonte preponderante per oltre un terzo dell’attuale popolazione mondiale, che lo brucia principalmente per cucinare. Ciò, in alcuni casi, fa del legno una componente essenziale del diritto al cibo. Di conseguenza, questo diritto, in determinate circostanze, prevale sulle considerazioni ambientali.

5.3 Inquinamento outdoor

Il contributo all’inquinamento urbano derivante dalla combustione domestica di legna da ardere, anche sotto forma di pellet, arriva a costituire fino al 60% della concentrazione di massa particellare in atmosfera ed è in gran parte responsabile della differenza nella concentrazione delle particelle organiche che si osserva tra la stagione invernale e quella estiva, poiché gl’impianti per uso domestico in generale sono privi di sistemi di abbattimento dei fumi, l’incremento nel loro uso pone, per i prossimi anni, un serio problema di qualità dell’aria e di impatto sulla salute .
La combustione della legna produce numerose sostanze inquinanti, molte delle quali classificate come tossiche (monossido di carbonio, formaldeide, diossine) o cancerogene (composti policiclici aromatici e benzopirene). In molte città dei Paesi sviluppati, i caminetti e le stufe a legna sono considerati la principale fonte di particele ultrasottili. Il 90% del fumo di legna è costituito da polveri con dimensione media inferiore al milionesimo di metro (μm, micron). Queste sono così minuscole da poter essere aerotrasportate anche per settimane e penetrare negli alveoli polmonari, divenendo veicoli efficienti di gas tossici, batteri e virus, con grave danno, perché passano direttamente nel flusso sanguigno.


5.4 Inquinamento indoor

L’uso domestico di combustibili poveri per la cottura e il riscaldamento può avere riflessi negativi sugli ambienti chiusi e produrre conseguenze sanitarie anche gravi in chi le abita. Ciò è vero soprattutto per le popolazioni più disagiate che vivono in aree sottosviluppate e in locali privi di una adeguata ventilazione.
La minaccia per la salute umana deriva dalla presenza nel fumo delle polveri sottili, la cui inalazione aumenta l’incidenza, la durata e la gravità delle malattie respiratorie, colpendo particolarmente i bambini gli anziani e le persone affette da disturbi cardiaci e polmonari, Gli inquinanti atmosferici causano altresì danni al sistema immunitario, asma, allergie, malattie autoimmuni, disturbi psicologici e danni tossici al sistema nervoso e al cervello.
In casi estremi in cui la legna non è disponibile, per cucinare vengono adoperati altri combustibili ancora più nocivi, quali sterco, materie plastiche o immondizie. L’ONU stima che l’inquinamento indoor uccida circa 2 milioni di persone all’anno.



Sono riportati di seguito gli estratti di aspetti salienti del progetto, come rilevati dal team di verifica e valutazione cui si farà cenno qui appresso. Vengono, peraltro, fornite ad AICE Appendici fuori testo al presente documento che riportano parti di documenti di perizia originari (con l’oscuramento di dati “sensibili”) che completano la descrizione tecnica del progetto, nonché un riepilogo di business plan in Excel prodotti da tale team.
Va precisato che il team di verifica - costituito da professionisti per le diverse specializzazioni necessarie - faceva capo ad una struttura terza con finalità gestionali dell’attività di verifica e che perciò amministrava l’interfaccia con il cliente pubblico (un Comune Italiano) e il contratto che con quest’ultimo era stato sottoscritto. Si trattava in pratica di un incarico di assistenza tecnica al Responsabile Unico del Procedimento (RUP – un architetto collocato in struttura comunale) stabilito dal pubblico committente stesso per espletare le valutazioni inerenti al progetto al fine di verificare la possibilità di autorizzarne l’insediamento su un territorio già identificato (ma non ancora disponibile) in ambito comunale. Questa configurazione organizzativa se da un lato sgravava il team di verifica da incombenze gestionali e relative responsabilità, dall’altra poteva essere percepita come ostacolo dal RUP, che peraltro mal vedeva un contatto diretto tra team di verifica e Proponente il progetto; contatto dal quale il team si è necessariamente astenuto sebbene più volte sollecitato formalmente e informalmente al Comune e al RUP. Tale aspetto, insieme ad altri quali:
-       una errata valutazione iniziale, da parte del committente pubblico, dell’onerosità economica della verifica richiesta (valutazione cui il team di verifica non ha preso parte) che ha contribuito fortemente ad un contenzioso tra il Comune e la struttura terza contraente[24];
-       il rinvio a posteriori (ossia dopo l’entrata in esercizio della parte di impianto per la generazione elettrica) della definizione delle serre e altri apparati per permettere il recupero e vendita di calore come ben dettagliato in progetto, connotando il nuovo impianto come cogenerativo con un valore di CHP=80% come si vedrà di seguito;
-       la mancanza di comunicazione, contatto e chiarimenti tecnico-progettuali necessari tra il team di valutazione e i progettisti del proponente il progetto;
-       una forte opposizione al progetto “montata” in sede locale da forze contrarie;
-       l’indisponibilità, al momento della prevista Conferenza dei Servizi delle aree inizialmente identificate in ambito comunale per accogliere il nuovo impianto;
hanno infine contribuito ad ostacolare il successo del progetto stesso sebbene la Regione competente avesse espresso parere favorevole all’esclusione dal VIA in sede regionale.
Ma, mentre per gli altri elementi si può parlare di concause, l’elemento formale e sostanziale dirimente per la decisione finale è stato soprattutto l’accertata indisponibilità delle aree in ambito comunale[25], come testimoniano dichiarazioni alla stampa rese al riguardo da autorevoli esponenti del Comune.
Qui di seguito, sono anche citati (omettendo le vere sigle) alcuni documenti facenti parte integrante del molto ampio progetto, ma solo all’occorrenza vengono riportati i loro contenuti a fini illustrativi ed esemplificativi. Tali documenti sono indice, peraltro, dell’estensione del progetto ben affrontato in tutti i suoi aspetti, tranne che per alcune specifiche osservazioni, meritevoli di approfondimento, notificate al RUP e al Comune, di cui si parlerà nel seguito; osservazioni che non è stato possibile in alcun modo chiarire direttamente con i progettisti da parte del team incaricato della verifica.

6.1 Aspetti generali

Il progetto di cogenerazione cui ci si riferisce è quello precisato nel seguito di quasi 6000 kW termici per bruciare biomasse da cippato al fine di produrre energia elettrica (circa 1000 kW elettrici) e recupero calore per riscaldamento, proposto da una qualificata società italiana a diverse comunità montane tra cui un Comune Italiano di circa novemila abitanti; potenziali, ma non unici, consumatori dell’intera produzione dell’impianto. Tale progetto è stato sottoposto per richiesta del Comune ad una analisi preliminare da parte di un team di verifica composto da personale abilitato all’esercizio della professione ingegneristica e regolarmente iscritto in un Albo Professionale. L’analisi è stata rivolta ad alcuni aspetti utili per la formulazione di un giudizio dal punto di vista del Comune ospitante il progetto nell’ottica di una eventuale procedura autorizzativa semplificata (PAS), ferma restante ogni verifica di assoggettabilità a VIA (Valutazione Impatto Ambientale) in sede regionale.

Va detto che trattandosi di un piccolo progetto, ma complesso, al fine di poter valutare con più accuratezza ogni aspetto – che potesse avere impatto non tanto sulla producibilità, resa ed efficienza (anche economica), quanto sulla salvaguardia e tutela delle comunità locali e dell’ambiente coinvolto – sarebbe stato auspicabile un incontro con i promotori del progetto e relativi progettisti. I vincoli temporali, burocratici e di interazione esistenti hanno, invece, obbligato necessariamente a limitare l’analisi agli aspetti macro e di tipo qualitativo che emergevano con maggiore evidenza e rilevanza.

Sin dalla formulazione delle prime considerazioni di carattere generale è emerso chiaramente che si trattava di un progetto di modesta potenza (circa 1 Megawatt elettrico) a bassa entalpia e basso rendimento (elettrico netto pari a circa 14%) che traeva beneficio dal recupero di energia termica derivabile dalla combustione di biomassa (anche di scarto, ossia proveniente da diversa origine: per es. da potature, manutenzione e pulizia boschiva periodica, anche del sottobosco arboreo locale), energia che sarebbe andata altrimenti dispersa in processi di naturale ossidazione, senza beneficio alcuno e anzi con aggravio per la dispersione nell’ambiente. Il progetto si sviluppava su aree di modesta entità (circa 1 ettaro, che giungevano a 3 ettari includendo le serre previste per il recupero calore) e quindi impegnante a fini industriali porzioni trascurabili del territorio comunale.
Il progetto esaminato s’inquadrava, quindi, tra i progetti di elevata valenza ambientale che prevedevano l’utilizzo di energie rinnovabili. In un panorama nazionale caratterizzato dalla monocultura del gas e dalla fortissima dipendenza dai combustibili fossili, tali progetti di piccola taglia, opportunamente dislocati sul territorio, apparivano sempre più necessari in via preventiva anche per contrastare possibili carenze energetiche che sembravano profilarsi all’orizzonte. Tali crisi, si faceva allora rilevare, potevano manifestarsi non solo per questioni geopolitiche, ma soprattutto ove si fosse dato per scontato, anche strumentalmente, che si era giunti – come sembravano osservare specialisti del settore – al picco della produzione petrolifera, provata dal fatto che sebbene la domanda europea si contraesse per effetto della crisi, non si riusciva ad espandere la produzione petrolifera oltre quella allora raggiunta, pur in vista di una domanda crescente da parte delle nuove economie. Ne era evidenza l’inarrestabile crescita del costo dei prodotti petroliferi.
Dal punto di vista della produzione elettrica il progetto in questione s’inquadrava non solo in un contesto di valorizzazione delle energie rinnovabili, ma anche di diversificazione delle fonti e distribuzione più uniforme della potenza installata sul territorio nazionale.
Non era inoltre stato trascurato di rilevare che l’impianto sarebbe stato dotato di sistemi di recupero del calore per essere utilizzato in serre bioclimatiche, raggiungendo così alti valori di utilizzo complessivo dell’energia primaria: il progetto indicava al riguardo un valore Combined Heat and Power (CHP) dell’80%. Ossia la gran parte del contenuto energetico della biomassa bruciata, per effetto della cogenerazione elettricità-calore, sarebbe stata utilizzata proficuamente, con soltanto il 20% di perdite disperse nell’ambiente, nonostante il basso rendimento elettrico.
Sia la modesta potenza dell’installazione, cui conseguiva di necessità un modesto impatto locale di carico inquinante e termico, sia la valenza del progetto nel contesto energetico coevo, non potevano essere, per se stessi, motivi di certa realizzazione e quindi di svincolo positivo di ogni aspetto autorizzativo da parte delle autorità responsabili del procedimento, senza aver prima verificato in concreto che fossero garantiti, dalle soluzioni tecniche adottate, l’incolumità delle persone (anche professionalmente esposte), l’incolumità e gli interessi delle comunità locali, la salvaguardia dell’ambiente e del territorio impattato.
Non andava peraltro esclusa – sebbene non fosse chiaro quanto l’impianto in questione per effetto di ridotta potenza rientrasse nella normativa applicabile all’epoca – la ragionevolezza nell’adozione delle migliori tecnologie disponibili (BAT – Best Available Technology) secondo criteri di prevenzione e controllo integrato dell’inquinamento (IPPC – Integrated Pollution Prevention & Control) per effetto dell’insediamento dell’impianto produttivo, come richiedono apposite direttive europee recepite a livello nazionale particolarmente per impianti di potenza superiore (per es. vedasi anche Directive 96/61/ECDirective 2008/1/EC codified version).
Nel caso in esame l’applicabilità dell’approccio IPPC/BAT veniva assunto dagli stessi proponenti nel progetto presentato. I riferimenti riportati in progetto in merito alle problematiche IPPC/BAT appena citate non sembravano, però, prendere in considerazione alternative e al tempo stesso non esplicitavano indagini, riferimenti e dati volti a provare che si fosse in presenza di un approccio IPPC/BAT.
Occorre notare che l’omissione di cogenti metodologie di verifica in tal senso, visto che si trattava dell’utilizzo di combustibili particolarmente “sporcanti”, potevano anche esporre le Amministrazioni responsabili dei procedimenti autorizzativi ai rigori di eventuali infrazioni. Per tali ragioni appariva opportuno ispirarsi ad un principio di prudenza in sede di rilascio delle previste autorizzazioni, soprattutto al fine di esperire ogni verifica, controllo o anche affinamento del progetto, ove ciò fosse ben valutato e ritenuto necessario, anche previo confronto in sede tecnica con i promotori del progetto e relativi progettisti.

6.2 Estratto riassuntivo delle caratteristiche di impianto

Per comodità descrittive vengono riportati di seguito i dati salienti che si rilevavano dal progetto e le caratteristiche di massima e modalità operative dell’impianto, nonché alcuni dati inerenti il combustibile utilizzato. Da essi si può avere nozione dell’elevato grado di sviluppo del progetto per tutti gli aspetti tecnici, operativi ed ambientali; quindi degli oneri di sviluppo (e preparazione di tutta l’ingegneria necessaria) affrontati dall’organizzazione proponente.
I dati di progetto nominali dell’impianto erano i seguenti:
a)    Dati nominali:
-       Numero di gruppi di cogenerazione a biomassa (a griglia) (1 caldaia, 1 Turbina a fluido organico ORC): 1;
-       Potenza lorda: 1 MWe;
-       Consumi propri di centrale: 0,12MWe;
-       Potenza netta in rete: 880 kWe ;
-       Potenza termica in ingresso: 5,9 MWth;
b)    Caratteristiche olio diatermico caldaia a biomassa:
-       Temp. nominale circuito Alta Temperatura: 310/250 °C;
-        Potenza termica circuito Alta Temp.: 4.690 kW;
-       Temp. nominale circuito Bassa Temp.: 250/130 °C;
-       Potenza termica circuito Bassa Temp.: 450 kW.
c)    Output acqua calda:
-       Temperatura acqua calda (In/Out): 60/80 °C;
-       Potenza termica all’acqua 4.100 kW.
d)    Caratteristiche del sistema elettrico:
-       Potenza meccanica entrante max.: 1.200 kW;
-       Potenza elettrica attiva max.: 1.000 kW;
-       Potenza nominale: 1.250 KVA;
-       Generatore elettrico: asincrono trifase B.T.;
-       Efficienza elettrica netta: 14 %;
-       Efficienza combinata termica – elettrica (CHP): 80 %;
-       Tensione distribuzione BT servizi: 400/230 V;
-       Tensione di cessione: MT.
e)    Condizioni operative: La condizione operativa nominale della Centrale era definita come segue:
-       gruppo a biomassa in servizio alla potenza di circa 1.000 kW elettrici lordi;
-       temperatura dell’aria ambiente di 25°C;
-       tutti i sistemi ausiliari in funzione alle condizioni nominali (circa il 12% del carico nominale);
-       tutti i sistemi ausiliari di emergenza in stand-by.
La Centrale poteva operare (mantenendo le emissioni) ad una potenza compresa tra il 70% ed il 105% della potenza nominale, in corrispondenza di tutte le temperature dell’aria previste. Il calore di condensazione dal ciclo organico ORC (a valle dell’espansione in turbina) veniva recuperato mediante apposito scambiatore che aveva la funzione di condensatore per il fluido del ciclo ORC. L’energia termica derivante dal ciclo ORC veniva, dunque, ceduta sotto forma di acqua calda a mezzo scambiatore posto a confine terreno della centrale per il riscaldamento di serre bioclimatiche; l’acqua per le serre aveva una temperatura di circa 50 °C e ritornava allo scambiatore della Centrale a circa 30 °C. La portata massima dei fumi umidi era di 17.000 Nm³/h. Nella sezione di trattamento fumi, al camino, erano installate le sonde per la misura delle emissioni. Anche se non richiesto dalla normativa (il carico termico della caldaia non poteva superare mai i 6 MW termici), ed era installato il sistema per la misura in continuo delle emissioni, costituito da strumentazione di misura al camino, da una linea di campionamento dei fumi dal camino fino all’armadio analisi, dagli analizzatori dei fumi campionati in armadio analisi e da un sistema per l’acquisizione, la validazione e l’elaborazione dei dati rilevati.
Tra i dati più importanti del sistema di trattamento fumi al carico nominale (con combustibile costituito da sottoprodotti in legno) si potevano elencare i seguenti:
-       portata fumi (max.) 17.000 Nm3/h
-       temperatura fumi in entrata al trattamento 160 °C
-       consumo di carbone attivo, max. 0,1 kg/h
-       consumo di calce idrata, max. 18 kg/h
-       consumo di urea (soluzione al 45%), max. 10 kg/h
-       temperatura fumi al camino 155 °C
-       altezza camino 20 m
-       ceneri estratte dalla griglia, max. 10 kg/h
-       ceneri estratte dal ciclone, max. 5 Kg/h
-       ceneri leggere e sali estratte dal filtro a maniche, max. 32 kg/h
f) Serre e loro gestione: Le serre erano previste realizzate in terreni limitrofi a quello della centrale e potevano generare i seguenti assorbimenti termici medi: serra bioclimatica: 20.000 m² con assorbimento di 15.000 Kcal/h.100m²; sulla base di quanto sopra, dunque, la centrale era in grado di cedere circa il 60% della propria energia termica su base annua e garantire un’elevata efficienza del processo produttivo. Le serre bioclimatiche erano previste realizzate e gestite da una Società Agricola, facente parte anch’essa di un Gruppo Finanziario, con la quale il proponente aveva stipulato un accordo di cessione del calore su base pluriennale. Restava inteso che ai fini progettuali, il proponente poteva cedere la propria energia termica mediante uno scambiatore posto a confine del terreno dal quale la società agricola poteva prelevare i propri fabbisogni termici sulla base dello specifico progetto del sistema serre.
g) Combustibile: I fabbisogni di combustibile per assicurare il funzionamento continuo dell’impianto erano definiti e limitati e quindi era possibile reperirli in ambito agro forestale locale evitando di importarli da altri mercati (nazionali, esteri o addirittura extracomunitari). Ciò avrebbe contribuito effettivamente ad allargare l’indotto (in termini di beni e servizi) che l’impianto poteva generare in sede locale per l’intera durata del suo ciclo di vita. I combustibili potevano essere conferiti in sito nelle seguenti forme: legno già cippato/frantumato da piattaforme apposite; legno prefrantumato da raccolta differenziata; cortecce triturate; scarti di segheria; legno in tronchi di dimensioni (diametri) varie, lunghezza 5 – 6 m; potature/ramaglie/ceppaie da manutenzione frutteto/bosco; vinacce vergini con umidità max. 50%.
Dimensioni tipiche del combustibile base legno alla caldaia: 10 x 50 x100 mm; vinacce tal quali. Il consumo di combustibile poteva variare a seconda del mix utilizzato, da un minimo di 1,5 t/h ad un max. di 2,3 t/h. Il combustibile utilizzato nella caldaia poteva essere ottenuto dallo sminuzzamento della biomassa legnosa con macchine dotate di coltelli (cippato) o di martelli (triturato) a seconda della tipologia di biomassa.
Il combustibile aveva le seguenti caratteristiche: dimensioni del cippato/triturato: 10x50x100 mm; densità in mucchio: 0,15 – 0,3 t/m³; potere calorifico inferiore in funzione del mix utilizzato (2.500 – 3.500 Kcal/Kg); Il consumo di biomassa al carico nominale a seconda del mix utilizzato, da un minimo di 1,5 t/h (caso di utilizzo di 100% materiale selezionato) ad un max. di 2,3 t/h (caso di utilizzo di 100 % biomasse da filiera), su 8.000 ore stimate di funzionamento.

6.3 Alcune osservazioni al progetto formulate al RUP dal team di verifica

a)    Serre e recupero del calore residuo: serre come “sorgente fredda” e modalità operative conseguenti

Dal punto di vista impiantistico e di processo dell’impianto di produzione elettrica, la serra era destinata a funzionare come vero e proprio elemento di scambio per la “sorgente fredda” (ambiente) necessaria al ciclo termico. L’energia termica recuperata dalla serra era prevista essere di circa 3,5 MWt. In un accidentale “fuori servizio” dell’impianto di produzione elettrica veniva a mancare il recupero di calore utile per la serra, mentre, viceversa, un disservizio/distacco della serra in condizioni di massima potenza dell’impianto e suoi apparati di scambio doveva poter consentire di dissipare immediatamente nell’ambiente quella stessa potenza termica a temperatura (fumi) molto più alta oppure consentire – previa forte riduzione di potenza – un funzionamento, a carico ridotto, ove necessario, dell’impianto di produzione elettrica con mezzi di scambio ausiliari ed alternativi alla serra. Ciò appariva tanto più necessario alla continuità del servizio elettrico quanto più si pensa che l’impianto avrebbe dispacciato la potenza elettrica prodotta in Media Tensione (MT) e quindi con variazioni di carico che potevano essere risentite soprattutto sulla rete elettrica locale. Questo aspetto, comunque, sebbene fosse un problema tra il proponente il progetto e l’operatore che provvedeva alla distribuzione di energia elettrica in sede locale (e.g. Enel) poteva impattare – se non adeguatamente gestito – sulle utenze elettriche della zona.
Questa particolare configurazione poneva il problema del funzionamento dell’impianto di generazione in modalità “stand alone” rispetto alla serra, ma comunque collegato alla rete elettrica, quando la serra fosse stata esclusa dal processo; modalità di funzionamento che – quando adottata – avrebbe abbassato ovviamente sia il rendimento di impianto sia la quantità di energia prodotta e recuperata.
Andava fatto, peraltro, rilevare che la quantità di energia recuperata era soggetta sia a stagionalità, sia a effettiva operatività delle serre in modo continuativo tramite un “rigido parallelo” con la continuità dell’impianto cogenerativo. Distacchi accidentali o programmati delle serre e relativi meccanismi di recupero del calore dall’impianto cogenerativo avrebbero implicato una riduzione del recupero energetico che era alla base del progetto. Pertanto, l’effettivo recupero energetico, sebbene ipotizzabile e calcolabile in sede di progetto come “potenziale”, diveniva effettivo solo in funzione delle concrete modalità operative adottate in pratica. Quest’ultime, a loro volta, erano soggette ad alee che potevano essere indipendenti dalla volontà dell’esercente e quindi non esattamente programmabili.
Aldilà dell’impatto che quanto sopra delineato potesse avere per gli “economics” del progetto – preoccupazione che avrebbe dovuto avere il proponente – sembrava opportuno segnalare che la catena di regolazione e controllo che consentiva uno stabile funzionamento in sicurezza dell’intera installazione (impianto di produzione elettrica + serra) in ogni possibile configurazione di funzionamento operativo avrebbe dovuto essere approfondita aldilà dei limiti dell’analisi preliminare del progetto.

b)    Zona sismica

Il territorio del Comune destinato a ospitare il progetto ricadeva, secondo la classificazione sismica all’epoca vigente, in zona 1 (cioè la più alta). I valori di accelerazione orizzontale massima al suolo (ag = frazione della accelerazione di gravità g) con probabilità di superamento pari al 10% in 50 anni, calcolati dall’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) sono pari a 0,150 g – 0,175 g. Sebbene attraverso la “Mappa interattiva sulla pericolosità sismica” si evidenziasse una mitigazione della sismicità della zona in cui ricadeva l’area destinata all’insediamento dell’impianto, restava come dato di fatto che l’intera zona era considerata ad alta sismicità. Ciò non vietava, però, in alcun modo l’installazione di manufatti ed impianti purché essi rispondessero ad una serie di requisiti e normative previste dalla legislazione e dalla buona pratica corrente secondo le “regole dell’arte”.
A tale riguardo era il caso di evidenziare che: le funzioni strutturali di opere civili ed industriali ricadenti in alta zona sismica devono sempre essere svolte tenendo conto di più ampi margini di sicurezza previsti dalla normativa tecnica e leggi vigenti; il macchinario e la componentistica utilizzata per gli impianti nonostante la normativa (che però in questo caso può apparire o essere interpretata a “maglie più larghe” che non nel caso di opere civili ed industriali) possono sfuggire a sostanziali aspetti antisismici, per un verso o per l’altro; la buona pratica costruttiva adottata per gli impianti destinati alla produzione di energia elettrica, – messa in atto da operatori e costruttori “responsabili”, anche dove non vi è obbligo normativo, ma solo opportunità oggettiva – suggeriva che alcune parti di impianto rilevanti per la sicurezza (per es. elementi di regolazione primaria analogica/digitale, quadri elettrici con interruttori/sezionatori, pompe e motori, etc.) fossero assoggettate a particolari verifiche di funzionamento sotto sisma (simulazioni ed analisi dei comportamenti/funzionamenti su tavole vibranti con accelerazioni determinate) allorquando il servizio che esse svolgono investono fondamentale rilevanza per gli aspetti della sicurezza del personale esposto, delle popolazioni e dell’ambiente; tutto ciò pur senza la necessità di pensare a garantire un funzionamento d’impianto sotto sisma di riferimento adottato in progetto. La verifica in sede operativa di un approccio progettuale e realizzativo ispirata a tali criteri poteva essere essenziale e si poteva limitare a quegli elementi che il progettista dell’opera (strutture e macchinari) ritenesse essere affetti da tali problematiche. Pertanto, l’esplicita individuazione in progetto di specifiche strutture componenti ed impianti rilevanti ai fini della sicurezza da assoggettare a requisiti che tenessero debito conto dell’alta sismicità del sito appariva auspicabile e con valore prescrittivo in sede di rilascio delle autorizzazioni.

c)    Ceneri: stoccaggio e smaltimento

Dai dati riportati in progetto si stimava la produzione annuale di oltre 600 t di ceneri e sali come segue: residui prodotti da carbone attivo: 1 t; residui prodotti da calce idrata:144 t; residui da urea (soluzione al 45%): 80 t; ceneri estratte dalla griglia: 80 t; ceneri estratte dal ciclone: 40 t; ceneri leggere dal filtro a maniche: 256 t.
Per lo stoccaggio di ceneri prodotte nel corso dell’esercizio di impianto era stato previsto in progetto un silos. Sarebbe stato auspicabile prescrivere che i sistemi e mezzi di estrazione/evacuazione e trasporto ceneri (volatili senza incrostanti e quindi inalabili per frazioni PM10-2,5) fossero tali da minimizzare spargimenti nell’ambiente.
Lo smaltimento finale delle ceneri e degli altri prodotti del processo sopra riportati era da chiarire sia in termini di modalità di smaltimento sia in termini di ambiti territoriali (smaltimento in ambito Comune o fuori Comune) e comunque con indicazione delle località destinatarie, soggetti coinvolti, loro utilizzo finale. Si segnalava che era opportuno chiarire qualche dato specifico che appariva confliggere con gli altri dati indicati.

d)    Consumi di acqua

L’impianto – che avrebbe dovuto svolgere funzioni principali in ciclo chiuso – appariva caratterizzato da un limitato uso dell’acqua industriale. Il valore di un fabbisogno complessivo di 50 litri/ora di acqua può apparire sottostimato in determinate situazioni d’impianto (per es. primo avviamento e commissioning, fuori servizio accidentale ed immediato riavvio, oppure se si pensa alle esigenze complessive di un insediamento produttivo di tal genere nel corso di eventi manutentivi). Una riserva di utilizzo e una riserva intangibile appariva comunque assicurata nel progetto. Poiché l’insediamento dell’impianto era proposto in un Comune che soffriva di penuria d’acqua una valutazione più complessiva dei fabbisogni assumeva rilevanza al fine di rendere certo il quadro del possibile approvvigionamento per usi civili e per usi industriali, di processo e non. La possibile presenza giornaliera di circa 15 persone in sito (compreso le serre e senza valutare i bisogni agricoli delle serre stesse) avrebbe suggerito già solo per uso corrente una necessità di approvvigionamento, escluso il processo, di valori che potevano collocarsi intorno al metro cubo giornaliero.

e)    ORC – Ciclo termico con olio diatermico/fluido organico:

Il turbogeneratore era previsto sfruttare l’olio diatermico caldo proveniente dalla caldaia per preriscaldare e vaporizzare un opportuno fluido organico (della classe dei Silossiani ad alta massa molecolare) di lavoro nell’evaporatore. Il vapore del fluido organico muoveva la turbina, che era accoppiata direttamente al generatore elettrico attraverso un giunto elastico. Il vapore scaricato scorreva attraverso il rigeneratore, dove riscaldava il fluido organico. Il vapore era condensato nel condensatore raffreddato ad acqua (serre).
La caldaia in cui avveniva la combustione era ad olio diatermico con sistemi di scambio e riscaldamento fino a 310°C posti alla sommità della caldaia stessa. La caldaia era dotata di sistemi (ciclone e filtri a maniche) per liberare i gas di combustione dalle ceneri e residui. Il cuore dell’impianto era il sistema componente l’ORC (Organic Rankine Cycle) con turbina collegata al generatore elettrico tramite giunto elastico. Il trasferimento alla turbina – e quindi al generatore elettrico – della potenza generata dalla combustione della biomassa in caldaia era perciò previsto attraverso uno scambiatore di calore che faceva uso di olio diatermico con caratteristiche di infiammabilità e che vaporizzava un fluido organico che si espandeva in turbina e condensava in un condensatore raffreddato ad acqua. Sembrava conveniente chiarire a tale riguardo: quanto una tale soluzione si potesse ritenere conforme ad un vincolo normativo europeo che per le tecnologie adottabili prevede l’adozione di un approccio IPPC/BAT (basato anche per es. su ore di funzionamento ininterrotto presso altri impianti similari, soluzioni tecniche ed alternative impiantistiche esaminate ma non accettate, referenze e statistiche di affidabilità, etc.); se nel progetto fosse previsto tra i possibili eventi accidentali anche la perdita di integrità dei componenti ORC con relativa catena di protezione e controllo attivabile, per es. tramite trasduttori di pressione, ai fini di un confinamento – intercettazione monte valle – per un avvio dei sistemi di protezione (circuiti di raffreddamento, estinguenti) etc.; l’opportunità di prevedere vasche sottostanti i componenti l’ORC per raccolta di eventuali sversamenti e relativo impianto di estinzione per un possibile incendio localizzato; l’opportunità di adottare in modo più uniforme nelle aree di impianto più esposte un valore determinato di resistenza al fuoco delle strutture e componenti; cosa implicava e come veniva di norma trattata una eventuale perdita di olio diatermico in caldaia e relativi scambiatori; o cosa implicava e come veniva di norma trattata una eventuale perdita di fluido organico del ciclo ORC; se inaspettate, seppur improbabili, perdite di olio diatermico oppure di fluido organico operante nel ciclo termico fossero in grado di provocare nell’ambiente impiantistico chiuso – ancorché assoggettato ad opportuno ricambio d’aria – miscele che potessero costituire pericolo per gli operatori, per le stesse installazioni e per l’ambiente circostante.

f)     TAR[26] e scarichi per lavaggi manutentivi

Poiché per gli SCARICHI LIQUIDI, dal documento nella “Relazione tecnica Modifiche Accettate”, si affermava che per le acque di processo non ci sono scarichi previsti e poiché anche il documento “Verifica VIA” non sembrava soffermarsi troppo sull’argomento, restava da chiarire come venissero convogliate, trattate e smaltite le acque per eventuali perdite e sversamenti accidentali, perdita di integrità dell’impianto (per es. evaporatore, etc.) o perdita di confinamento di sistemi di raccolta, nonché acque e liquidi di lavaggio per cicli manutentivi, particolarmente per la caldaia e suoi accessori. In assenza di opportuno trattamento in sito, la necessità di vasche di raccolta – cui si fa qualche cenno in VIA – di liquidi oleosi e/o fanghi con elevato tasso di inquinanti da smaltire periodicamente con servizi di auto-spurgo verso punti di trattamento autorizzati e controllati, assumevano pertanto valore prescrittivo da sottolineare in sede di rilascio delle autorizzazioni previste.

g)    Rilascio di inquinanti in aria

Nella “Relazione tecnica Modifiche Accettate” facente parte integrante del progetto era riportato quanto segue insieme alla “Tabella Limiti delle emissioni gassose”: “Le emissioni in atmosfera si manterranno sempre entro i limiti di legge previsti, si veda la Tab. sottostante (D.m.A. 05/02/1998). Il camino, allo sbocco, sarà alto 20 m; la temperatura dei fumi sarà di min. 130 °C. Le concentrazioni degli elementi inquinanti nei fumi e l’altezza del camino contribuiranno a determinare livelli di contaminazione nell’area attorno all’impianto molto modesti sia in termini di concentrazioni medie annue che in termini di concentrazioni massime.”
Poiché erano previsti diversi tipi di combustibili e mix tra essi, si faceva notare che sarebbe stato opportuno chiarire con i proponenti con quali combustibili ed in che modalità operativa, regime, configurazione di lavoro dell’impianto di produzione si ottenessero tali valori (visto anche che i valori medi rilevati in prove per un periodo di campionamenti per ½ ora eccedevano le medie giornaliere per tutti i tipi di inquinanti).

h)    “Base-line e monitoraggio ambientale”

Nell’ INQUADRAMENTO GEOLOGICO facente parte integrante del progetto non sembrava apparire alcuna indagine del fondo rispetto a quegli inquinanti tipici che sarebbero stati poi prodotti nel corso del funzionamento dell’impianto. Aldilà dell’obbligo normativo, cui l’installazione di un nuovo impianto a biomasse della capacità in fattispecie è soggetto, è fuor di dubbio che per tutta la durata del ciclo di vita d’impianto (pari ad alcuni decenni) vi potrebbe essere accumulo di taluni inquinanti nell’ambiente al punto da alterare il fondo preesistente. I meccanismi di “accumulo” abbastanza complessi possono sfuggire al rilievo nonostante la dotazione dell’impianto di opportuni apparati di monitoraggio (per es. al camino per aeriformi) come in questo caso. Pertanto, soltanto un “base-line ambientale” iniziale (cioè prima che l’installazione dell’impianto avvenga), cui rapportare misure ed eventuali variazioni di inquinanti presenti nel fondo, può garantire che avversi effetti di fenomeni di accumulo siano prontamente rilevati per impostare azioni correttive. (Per ciò che riguarda il rumore, sebbene non si possa parlare di un effetto di accumulo, il concetto di base-line sarebbe stato comunque applicabile ugualmente ed avrebbe assunto un significato di riferimento una volta che l’impianto fosse entrato in esercizio).
Sebbene l’impianto fosse giustamente dotato di un sistema di monitoraggio effluenti gassosi, previsto in progetto, non si poteva però parlare in questo caso di una vera e propria rete di monitoraggio ambientale in continuo. Un tale rilievo veniva posto in evidenza perché – a parità di condizioni atmosferiche e aldilà delle direzioni prevalenti dei venti – ad elevate altezze di camino ed alte velocità di efflusso è di norma associato un ampio cono di dispersione degli inquinanti; mentre a basse altezze di camino e basse velocità di efflusso è di norma associato un ristretto cono di dispersione degli inquinanti.
Nel caso in esame si potevano notare diversi insediamenti pseudo-urbani dispersi su un territorio discretamente antropizzato. Pertanto, con l’accordo dei promotori del progetto, una situazione ideale, sebbene non richiesta normativamente, si sarebbe potuta realizzare attraverso la dotazione di punti di controllo (con risultati pubblici su monitor) ubicati: in luogo pubblico frequentato, in presenza di cono di dispersione ampio che investisse i più prossimi insediamenti urbani; alla periferia dell’insediamento produttivo (per es. fuori della recinzione di impianto) a garanzia dei professionalmente esposti.
È ben vero che una simile impostazione è di solito adottata per i grandi impianti ove i rischi di inquinamento sono più alti e l’assetto normativo è più stringente e cogente, ma è altrettanto vero che dove adottata, una tale impostazione si è sempre rivelata tranquillizzante per le comunità locali, per i relativi Amministratori Pubblici, e per gli stessi proponenti il progetto.

i)     Movimento mezzi per trasporti combustibili e ceneri

Dal progetto si rilevava che il combustibile sarebbe giunto in sito trasportato da mezzi (motrice e rimorchio o bilici) con portata utile dalle 20 alle 30 t, a seconda del tipo di materiale. Si prevedeva l’arrivo di max. 4 mezzi/gg (per 5 gg/settimana, occasionalmente il sabato mattina) e 46 sett./anno. A questi mezzi si dovevano aggiungere quelli necessari a: evacuazione di oltre 600 t/anno di ceneri prodotte dalla combustione; trasporti per servizi di impianto (reagenti, personale, mezzi per esercizio e manutenzione, etc,); trasporti per attività di gestione delle serre.
Per una stima complessiva appariva ragionevole pensare ad un incremento di traffico nelle strade in prossimità dell’impianto, che avrebbe potuto superare anche 10 mezzi pesanti al giorno, particolarmente concentrato nel corso della giornata lavorativa. L’incremento di traffico che si rifletteva in un aumento – seppur modesto, ma per tutta la vita utile dell’impianto – di costi manutentivi e rischi locali, avrebbe potuto essere parzialmente mitigato attraverso la disponibilità di maggiori aree di stoccaggio in sito per permettere di pianificare concentrazioni in ore e giorni a minor intensità di traffico.

j)     Riconciliazione di dati e inserimenti paesaggistici

Si trattava qui di un semplice e secondario aspetto formale che nondimeno appariva opportuno segnalare ai fini di una “riconciliazione”.
Data la complessità del progetto, esso era stato necessariamente eseguito da diversi specialisti e pertanto risentiva di una esecuzione “a più mani” e forse anche dell’adattamento al caso in esame di un progetto standard che è proprietà intellettuale del proponente. Perciò, vi si notavano talvolta dati non completamente coerenti (anche se dissimili di poco) e comprensibili (per es. nella Relazione Architettonica citato un comune diverso da quello potenzialmente ospitante come comune di insediamento d’impianto, oppure valori caratteristici dei parametri – flussi, portate, temperature, etc. – del ciclo) riportati in modo non uniforme nei diversi documenti; come pure: gli inserimenti paesaggistici , che in modo simulativo prefiguravano una vista dell’impianto finito, sembravano in alcuni casi confliggere con quella che avrebbe dovuto essere la pianta dell’intero progetto.

k) Vita di progetto e smantellamento a fine vita d’impianto

Mentre era esplicitamente previsto un programma temporale di costruzione degli impianti che si svolgeva in 18 mesi, non sembrava reperibile alcun dato certo sulla prevista vita utile del progetto. Pensando all’impiego di componentistica di qualità, per analogia con impianti termoelettrici e presupponendo adeguati e puntuali interventi manutentivi si poteva ipotizzare una vita di progetto di 20-25 anni (ma anche tale elemento era opportuno che fosse oggetto di chiarimento con il Proponente).
Sarebbe stato auspicabile prescrivere in sede di rilascio delle autorizzazioni che: a fine ciclo di vita operativo l’impianto venisse dismesso, de-commissionato e smantellato a cura e spese dei soggetti che avevano ottenuto il rilascio delle autorizzazioni all’esercizio dell’impianto, senza alcun onere per il Comune o le Istituzioni comunque coinvolte nel rilascio delle autorizzazioni stesse; che , inoltre, venisse comunque fatta salva la facoltà degli esercenti che avevano ottenuto le autorizzazioni a procedere nelle loro attività industriali attraverso l’installazione di un nuovo analogo impianto produttivo o impianto di altra natura accettato dal comune ospitante. La dismissione e lo smantellamento dovevano procedere fino ad una condizione tale da restituire le aree al loro uso originario, senza manufatti, residui o potenziali pericoli in sito e previa esecuzione delle attività già previste in progetto per tale fase finale e di chiusura del ciclo di vita (come da DISMISSIONE DELLA CENTRALE A BIOMASSE” documento in Relazione tecnica Modifiche Accettate”).

l)    Fattore di carico e vita di progetto

Il progetto prevedeva un funzionamento dell’impianto alla massima potenza per 8000 ore all’anno, su un totale di 8760 (= 24 x 365) ore disponibili in un anno. Ciò comportava un fattore di carico di 91,3% (e quindi una indisponibilità dell’impianto di 8,7%) che implica un tempo di “fuori servizio” - per manutenzioni ed ogni altra possibile causa – dell’ordine di 1 mese (= 760 ore), che è un tempo solitamente stretto per impianti che bruciano – a temperature relativamente “basse” (se confrontati ad altre centrali termoelettriche) – combustibili molto sporchi, a basso potere calorifico e con alto tasso di ceneri nei prodotti di combustione.
Queste previsioni apparivano ottimistiche trattandosi di valori che normalmente erano più tipici degli impianti di grande taglia (oltre le centinaia di megawatt) che dispacciavano in alta tensione e erano destinati a svolgere “servizio di base” nell’ambito del servizio elettrico nazionale, piuttosto che servizio di copertura delle “punte” (e relativo controllo di frequenza/tensione) riservato ad impianti (solitamente idroelettrici o turbogas di più piccola taglia) che svolgono regolazione del carico elettrico. Considerato poi che nella fattispecie in esame il dispacciamento della potenza prodotta sarebbe avvenuto in media tensione, le preoccupazioni sulla garanzia di continuità/affidabilità di servizio potevano sorgere anche in sede di autorizzazione per l’allaccio alla rete locale. Pertanto, i valori adottati in progetto, apparivano veramente ottimistici e potevano avere riflesso anche e soprattutto per gli aspetti economici, di resa e finanziabilità del progetto. In ogni caso, pur ammettendo che l’impianto potesse essere gestito con le modalità (pieno carico) ed i tempi (8000 ore anno) previsti si tratterebbe di un servizio “heavy duty” di un impianto già destinato a svolgere un servizio “pesante” dal punto di vista termomeccanico per effetto del tipo di combustibile utilizzato e modalità della combustione. Un servizio “heavy duty” per qualunque componente od impianto industriale avrebbe comportato un progetto da realizzare in modalità tutt’altro che standard e comunque nell’aspettativa di un elevato tasso di manutenzioni essendo correlati in modo inverso pesantezza del servizio svolto e durabilità, quindi vita del progetto. In altre parole, un impianto a cui siano richieste elevate prestazioni ha un più breve ciclo di vita ed un più alto tasso di guasti che richiede più frequenti interventi manutentivi. Ciò avrebbe dovuto essere considerato in maniera precauzionale sia nelle modalità operative del progetto, sia nell’ambito degli “economics” per la viabilità finanziaria del progetto stesso.

m) Aspetti di regolazione e controllo

Si evinceva dal progetto che l’impianto era opportunamente dotato degli usuali sistemi essenziali di protezione e controllo, quali per esempio PLC di caldaia e PLC del turbogeneratore ovvero, per esempio, quelli che devono provvedere: alla continuità dell’alimentazione elettrica (batterie più UPS, nonché generatore diesel di emergenza) delle parti e servizi essenziali anche in caso di perdita della rete; alla sincronizzazione per l’effettuazione del “parallelo”; alle protezioni del turbogeneratore; al sistema di protezione e misura; all’impianto di terra e sistema di protezione dalle scariche atmosferiche, etc.
Ciò che, invece, sembrava fosse opportuno chiarire era la capacità dell’impianto di modulare la potenza in funzione del carico richiesto ed in particolare la capacità di commutare immediatamente sui propri servizi (attraverso drastica riduzione di potenza) in caso di perdita della rete o altro evento “impiantistico e non” che avrebbe condotto altrimenti ad un “fuori servizio”. Oltre a beneficiarne la sicurezza, i proponenti in particolare avrebbero beneficiato di un impianto capace di commutarsi automaticamente in “stand-by”, alimentando i propri ausiliari, in occasione di quegli eventi inaspettati; perché ripetuti arresti e ripresa di marcia oltre a costituire sollecitazione termomeccanica ed elettrica per l’intero impianto, con riflessi sulla manutenzione e durata del ciclo di vita, avrebbe potuto costituire un aggravio di costi in termini energetici (gasolio, elettricità, acqua, etc.) ad ogni ri-avviamento a freddo o a caldo che sia.

6.4 Conclusioni del Team di Verifica

A giudizio del team di verifica e valutazione del progetto – e limitatamente al quadro informativo ad essi reso disponibile – pur con gli stringenti limiti temporali assegnati per una analisi del progetto proposto, nonostante non sembravano potersi rilevare (aldilà di doverosi chiarimenti) ragioni di fondo o di principio, né fondamentali carenze di progetto, tali da giustificare un negativo parere in sede di rilascio delle autorizzazioni, si ravvisavano – invece – sostanziali ragioni di opportunità (tecniche, ambientali, di sicurezza, amministrative, etc.) che suggerivano un approfondimento insieme ai progettisti e proponenti il progetto, al fine di individuare miglioramenti possibili aldilà del quadro normativo vigente, anche nell’ottica di criteri IPPC/BAT. Ciò al fine di poter garantire i proponenti e le popolazioni e ambiente locali da avversi effetti conseguenti all’insediamento dell’impianto, i cui esiti si potevano estendere sul territorio per un arco temporale di alcuni decenni. In un contesto di mutuo interesse dei proponenti, delle Amministrazioni, popolazioni e ambiente locali, si auspicava che in sede di rilascio delle autorizzazioni, se del caso previo riesame con i proponenti, si potesse giungere alla formulazione di condivise “Prescrizioni” di valore cogente da introdurre nel corpo dei documenti autorizzativi. A tal fine, il team di valutazione e verifica si rendeva disponibile a collaborare con i Responsabili del Procedimento.



Dopo la prima fase eminentemente tecnica, ma con contenuti ed osservazioni orientate all’esercizio del nuovo impianto, nonchè agli aspetti economici, ambientali, di sicurezza delle installazioni, delle popolazioni e del territorio, pertanto sociali, nel corso di un incontro con i massimi responsabili del Comune (Sindaco ed alcuni componenti del Consiglio Comunale), vennero consegnati i file pdf di copie commentate dal team di verifica evidenzianti i punti salienti con note ed osservazioni alle integrazioni tecniche al progetto e al parere favorevole espresso dalla Regione competente sull’esclusione dal VIA del progetto stesso in sede regionale. Il RUP, benché informato dell’incontro, non partecipò.
Non essendo il progetto corredato da un business plan del proponente, nella stessa sede emerse la richiesta al team di verifica di fornire al Comune i risultati di una simulazione preliminare in merito ad un possibile Business Plan per valutazioni più generali che il Comune riteneva di dover eseguire.
Di fatto, tale simulazione fu effettuata dal team di verifica sotto alcune necessarie ipotesi di seguito esplicitate. L’analisi era stata rivolta alla valutazione circa la possibilità di alcune misure compensative utili per la formulazione di un giudizio dal punto di vista del Comune ospitante il progetto nell’ottica di una eventuale predisposizione e sottoscrizione con il proponente di una Convenzione al fine di dare corso alla procedura autorizzativa semplificata (PAS), a valle del parere favorevole già espresso (con prescrizioni) in sede regionale competente.

7.1 Ipotesi Sottostanti la Simulazione del Business Plan

Poiché la produzione del Business Plan d’impianto era responsabilità precipua del Proponente basata su dati concreti e verificati, al fine di produrne una “Simulazione” utile a ragionamenti di competenza del Comune, furono fatte le seguenti ipotesi:
  • che il Proponente il progetto rispettasse tutte le prescrizioni contenute nel parere favorevole espresso dalla Regione ed in particolare quelle sulla cogenerazione ed il combustibile da usare, come discusso nel corso dell’incontro sopracitato;
  • che le ulteriori verifiche suggerite dal team di verifica al Comune nel corso dell’incontro sopracitato (potenza installabile su piano energetico regionale e zona mantenimento qualità aria) non producessero elementi ostativi;
  • che i terreni (pari a 3 ettari) non venissero venduti, ma assoggettati ad una concessione ventennale con un canone annuo calcolato pari al 3% sul valore attribuibile a terreni ad uso industriale; 
  • che il proponente accettasse in via compensativa una modesta compartecipazione del Comune agli utili di impresa (1% sul profitto lordo);
  • che non vi fosse distinzione tra capitale proprio o di rischio (equity) e capitale finanziato, ma l’intero capitale impiegato fosse soggetto ad una remunerazione (tasso di interesse per il finanziamento) che potesse essere prevista pari al 7%;
  • che la restituzione del capitale investito ed i relativi interessi avvenisse in 10 anni di esercizio con un solo “anno di grazia” successivo all’avviamento dell’impianto, senza cioè dover corrispondere (come di prassi nei progetti energetici) nell’anno “più difficile e rischioso” per effetto “avviamento”, alcuna quota di capitale ed interessi;
  • che la vita utile d’impianto fosse confermata essere di almeno 20 anni;
  • che il “coefficiente di carico” dell’impianto fosse il 90% corrispondente a 7900 ore di funzionamento annua a potenza nominale massima (e non 8000 ore come previsto dal proponente, valore di per sé già estremamente alto);
  • che il prezzo di cessione energia alla rete potesse essere assunto pari a 280 €/MWh in regime d’incentivo riconosciuto;
  • che i costi di sviluppo del Proponente fossero non superiori a 200 k€;
  • che il costo di realizzazione dell’impianto fossero al massimo 4,4 M€;
  • che il costo del combustibile potesse essere tenuto inferiore a 35 €/t in modo che i costi di esercizio, manutenzione e guardiania - incluso combustibile – potessero non superare i 750 k€/anno, mentre i costi generali di gestione ed amministrazione potessero non superare il 10% di tale valore;
  •  che la valutazione eseguita fosse ritenuta di tipo industriale e “non per fini finanziari o istituzionali”; inoltre “a prezzi costanti” (senza considerare l’inflazione, né sui costi, né sui ricavi), del tutto preliminare, semplificata e quindi approssimativa, ma non per questo meno indicativa per gli scopi valutativi del Comune;
  • che per semplicità, ma anche perché l’assetto cogenerativo d’impianto non era stato al momento ancora del tutto definito, si potessero omettere costi e ricavi della parte relativa alla vendita di calore;
  • che i costi si potessero stimare al meglio – a giudizio del team di verifica - sulla base di dati letteratura e dell’esperienza industriale del team stesso;
  • che i risultati fossero oggettivamente considerati sotto il profilo di una “simulazione” del business plan della centrale prevista da 1 MWe nominale (0,88 MWe netti, perché 0,12 MWe impegnati dagli ausiliari di impianto).  


7.2 Risultati della Simulazione_1 del Business Plan

Come si può osservare dal seguente foglio DATI 1 di input/output e di calcolo (in EXCEL nel suo formato originario) collegato al Business Plan Propriamente detto,



Foglio DATI 1


  • un Tasso Interno di Rendimento (TIR) pari a 8,58%, superiore al 7% con cui viene remunerato il capitale investito;
  • una Valore Attuale Netto (VAN) pari a € 857.895, positivo seppure non entusiasmante;
  • un punto di pareggio collocato tra la fine dell’11° e l’inizio del 12° anno di esercizio;
  • un Rapporto di Copertura del Servizio del Debito (DSCR) prossimo a 3 (come di solito accettato da istituti finanziari).



Vale la pena far rilevare che:
  • un valore più alto di 4,4 M€ per i costi di realizzazione dell’impianto, avrebbe fatto peggiorare tutti gli indici di valutazione del progetto ed in particolare un valore di 5 M€ (come rappresentato al Sindaco da fonti proprie) e fermo restando ogni altro parametro caratteristico del progetto, avrebbe reso negativo il VAN inficiando la finanziabilità del progetto, nell’ipotesi concordemente assunta di trascurare i ricavi per la vendita di calore;
  • nell’ipotesi di una compartecipazione come misura compensativa al progetto dell’1% sul profitto lordo il Comune avrebbe introitato circa 4600 €/anno per l’intera vita del progetto;
  • nell’ipotesi di sottoscrizione di una Convenzione ventennale con il proponente per la messa a disposizione dei terreni necessari direttamente da parte del Comune, quest’ultimo avrebbe introitato ulteriori 18000 €/anno per l’intera vita del progetto;
  • la realizzazione, esercizio e manutenzione del progetto avrebbe potuto richiedere un totale di 8-15 nuovi occupati stabilmente per l’intera vita del progetto; ciò senza valutare la ricaduta indiretta/indotta;
  • la possibilità di accesso a forme incentivate di produzione e cessione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili a livello di 280 €/MWh è stata posta in forma dubitativa dal team di verifica, specie nel caso in cui il CHP di progetto – per mancanza delle serre e altri apparati di recupero calore – non fossero state effettivamente disponibili;


Tabella 3 - Ipotesi per Fondo Decommissioning

  • tenendo conto dei costi di decommissioning, stimati pari al 15% del costo di realizzazione, si può rilevare dalla tabella precedente che con l’istituzione di un fondo fruttifero (pari a 1,5% di rendimento reale) si può accumulare durante la vita di impianto un fondo adeguato con il versamento al fondo di 30k€/anno, ossia una quota pari al 4% dei costi di esercizio; ossia dello stesso ordine di grandezza degli errori di stima di tale costo.

Assumendo, comunque, la validità della “Simulazione_1” e confermando i pareri espressi nell’incontro sopracitato, il Comune avrebbe potuto tentare di inserire (seppur con spirito transattivo) nella Convenzione da sottoscrivere con il proponente, oltre a quanto già raccomandato da parte del team in termini di “verifiche e controlli in corso di costruzione ed esercizio” nella Analisi Tecnica Preliminare, anche:
- un canone annuo per concessione ventennale sui terreni;
- una piccola compartecipazione agli utili d’impresa;
- un obbligo di ristoro da parte del proponente di ogni e qualsiasi situazione negativa che si fosse verificata in loco per effetto dell’impianto (a titolo indicativo, ma non esaustivo: interventi su viabilità e manti stradali, sistemi raccolta ed evacuazione acque e/o rifiuti, sistemazione terreni/argini, etc.) ed in particolare per il rispetto delle prescrizioni contenute nel parere della Regione. In carenza di adempimento agli obblighi e prescrizioni il Comune sarebbe intervenuto con “ordinanze di sospensione della costruzione o dell’esercizio” a seconda dei casi.

7.2 Epilogo del Progetto

Intanto, con il trascorrere del tempo, l’installazione delle serre e altri impianti per il recupero e la distribuzione del calore generato dall’impianto (inclusa una ipotesi di fornitura calore al Comune stesso) andava assumendo conformazione opzionale (nonostante il progetto fosse nato come cogenerativo con CHP=80%); mentre il contenzioso tra il Comune e la struttura contraente l’incarico di assistenza tecnica al RUP diventava più acuto e problematico, sino a giungere ad una chiusura di fatto del contratto.
Il team di valutazione e verifica ha potuto avere notizia degli esiti finali del progetto solo tardivamente per via indiretta, ossia attraverso la stampa che ha dato notizia sul caso come “archiviato”. Epilogo, sotto il profilo burocratico-amministrativo, di una vicenda che aveva localmente innescato polemiche a raffica sull'onda del timore montante (e forse “montato” per questioni di parte) verso una centrale che si temeva avrebbe alterato la qualità dell'aria del territorio ospitante, nonostante tutti i sistemi di abbattimento previsti sull’impianto e la massima cura delle istituzioni in sede di rilascio delle approvazioni e permessi per dare tutto il meglio alle popolazioni coinvolte.

Pertanto, una ipotesi di “Simulazione 2” del Business Plan, che tenesse conto pur in via ipotetica della vendita del calore generato, seppure possibile immediatamente a quell’epoca, non fu mai richiesta dal Comune né fornita ufficialmente da parte del team incaricato. Essa avrebbe avuto senso allora e riprende senso in questo contesto di caso di studio, anche per dare corpo alle “lessons learned” che seguiranno e per consentire valutazioni di difetti e anomalie che sembrano affliggere i nostri sistemi imprenditoriale e istituzionale al tempo stesso, ma che sono forse alla fine riconducibili ad una sindrome più profonda e più singolare il cui nome è NYMBY (Not In My Back Yard = Non Nel Mio Giardino) e che va diffondendosi già da tempo in “certe economie industriali avanzate a capitalismo democratico”; termini su cui varrebbe la pena riflettere a lungo tutti insieme.
In ogni caso – discutendo del metodo e non del merito degli esiti finali di “abbandono” – l’impressione che se ne riporta è che sembra trattarsi di una sindrome dove non è più la razionalità a operare le scelte, ma le emozioni, le discussioni e i tafferugli che spesso esse generano, a prescindere dagli strumenti (quali ad esempio. Conferenze di Servizi) stabiliti al riguardo dal Legislatore per decidere su posizioni controverse.
Da noi, la “stimolazione manipolativa” di coloro che da questa sindrome sembrano affetti genera sovente opposizione di piazza di ragguardevoli fette delle popolazioni locali interessate, senza che si abbia la possibilità di “parlare di un progetto con dati alla mano” in un clima di calma e civile confronto. Questo accade poiché già a quel punto di confronto sono le emozioni a prevalere. Così, talvolta masse sparse si mobilitano “a chiamata” sino ad avversare progetti in atto e costringere il sistema decisionale del Paese alla rinuncia di progetti pianificati o alla chiusura di quelli in corso. Abbiamo esempio quali i termovalorizzatori e le discariche nelle grandi città, la TAV, il Deposito Nazionale dei Rifiuti Radioattivi e lo stesso “nucleare” che ha richiesto un Referendum per stabilirne la moratoria, nonché la gambizzazione di coloro che, nella certezza del diritto, avevano creduto di poterla civilmente ridiscutere come previsto in moratoria stessa. I casi di studio potrebbero essere tanti, per vedere come nel Paese sia la sfera dei valori e soprattutto delle emozioni a determinare gli esiti negativi, piuttosto che la razionalità di un business plan e di una analisi costi benefici in sedi istituzionali aderente a storici modelli che la UNIDO ha appositamente predisposto per i pianificatori istituzionali, soprattutto di paesi in via di sviluppo. Noi, invece siamo un Paese a sviluppo industriale avanzato e a capitalismo democratico, ed evidentemente è invalsa l’idea che non ne abbiamo bisogno. Basta forse solo l’italico sentire? E non v’è risposta!
La pianificazione nazionale diviene così sovrastruttura e conseguentemente la formazione di pianificatori e verificatori istituzionali non necessaria.
E’ ben per questo che si giunge a ipotizzare come la  capacità di un progetto di generare adeguati flussi di cassa per ripagare l’investimento occorso e garantire al tempo stesso un ritorno - per finanziatori ed eventuali soggetti giuridici (quale una società di scopo) per la realizzazione, esercizio e manutenzione, dismissione a fine ciclo – sebbene costituisca una condizione necessaria, nella pratica non si rivela una condizione sufficiente a portare il progetto alla sua naturale condizione di avvio, gestione e conclusione del ciclo produttivo per cui il progetto è nato.
 A ben guardare, le storie di successo o insuccesso dei diversi tipi di progetto sembra, piuttosto, ragionevole congetturare che sia il sistema di valori entro cui il progetto si contestualizza e si svolge a concorrere in maniera decisiva nel determinarne gli esiti; dando qui alla nozione di valori il significato ampio di norme, comportamenti, obiettivi e atteggiamenti condivisi che si strutturano e rafforzano in tutto il corpo sociale di una società civile, in contrapposizione ad una condizione di diffusa anomia, se non addirittura di conflitto tra valori percepiti come opposti. Sono questi stessi motivi a fare degli stadi (di calcio, ippodromi o cinodromi per alimentare corse e scommesse) progetti prioritari rispetto alle intolleranti condizioni delle periferie cittadine. Oppure, l’idea di una teleferica in centro città che diviene preminenza rispetto all’estensione di servizio di metropolitana a quartieri nati sotto la specifica promessa di tale progetto (come previsto in piano regolatore approvato); quartieri che vengono lasciati poi nella carenza infrastrutturale (che intasa l’accesso alle consolari e porta l’inquinamento in zone circostanti il G.R.A, a livelli di guardia nelle ore di punta); carenza  che a norma e buon senso avrebbe dovuto essere colmata prima dell’urbanizzazione della zona e non a posteriori.[27]



7.3 Risultati della Simulazione_2 del Business Plan
 
Foglio DATI 2

Come si può osservare dal precedente foglio DATI 2 di input/output e di calcolo (in EXCEL nel suo formato originario) collegato al Business Plan Propriamente detto, in questo caso è stato fatto ricorso all’aggiunta di un succinto bilancio termico nell’ipotesi di recupero, distribuzione e vendita del calore ad un prezzo che – tenuto conto del combustibile a basso costo, della sua provenienza, del calore da recupero per fini cogenerativi e degli utilizzi previsti del calore stesso (autoconsumo, usi agricoli per serre, fini industriali di opifici prossimali, eventuale cessione allo stesso Comune per riscaldamento) - non poteva che essere a livelli molto competitivi tenuto conto, per esempio, di un raffronto con pompe di calore[28]. Infatti, al giorno d’oggi - come si può osservare dalla tabella sottostante – un chilowattora termico (kWh(t)) prodotto da pompa di calore elettrica si aggira intorno a costo di 0,04 €/kWh(t), mentre per la “Simulazione 2” riferita al 2012 è stato introdotto un prezzo di 0,03 €/kWh(t).



Con un tale prezzo unitario di cessione del calore e fermo restante ogni altro elemento per la parte d’impianto destinata alla produzione di energia elettrica, l’intero progetto avrebbe potuto beneficiare di un ulteriore introito pari a 160.704 €/anno che avrebbe di gran lunga aumentato la fattibilità e remuneratività del progetto stesso, non solo per i proponenti, ma anche per tutti gli altri partecipanti al progetto a diverso titolo.

Infatti, la nuova simulazione del business plan avrebbe assunto la configurazione che segue e sotto le ipotesi tecniche ed economiche fatte sopra (presupponendo che esse potessero essere mantenute in fase esecutiva) il progetto appariva, più che fattibile, molto incoraggiante, poiché presentava indici economico-finanziari molto adeguati, ovvero:
- un Tasso Interno di Rendimento (TIR) pari a 11,22%, superiore al 7% con cui viene remunerato il capitale investito;
- una Valore Attuale Netto (VAN) pari a € 2.344.924, molto positivo;
- un punto di pareggio per il ripagamento dell’investimento collocato tra 9° 10° anno di esercizio;
- un Rapporto di Copertura del Servizio del Debito (DSCR) maggiore di 3 (uguale a 3,22 per l’esattezza) meno risicato e più tranquillizzante per i finanziatori;
- un incremento della quota annuale destinata al Comune, nell’ipotesi di una sua accennata partecipazione al progetto dell’1%, in via compensativa.

In altre parole, il recupero e la vendita di calore, anche se per metà soltanto ad entità propriamente terze – essendo l’altra metà destinata ad autoconsumo o similari (ossia, non solo società del Gruppo Proponente, ma per es. società anche del gruppo dei finanziatori) - avrebbe fatto assumere al progetto la configurazione di iniziativa commerciale molto attraente; insomma un’intrapresa a cui non si dovrebbe solitamente  porre ostacoli, almeno in sede di finanziamento, ma godere di facilitazioni per la sua realizzabilità. Prova ne siano le tabelle e i grafici di confronto, riportati qui di seguito al business plan.
 
Simulazione 2 del Business Plan (tenendo conto della vendita di calore)


La tabella che segue mette a confronto in modo auto-evidente i più importanti parametri valutativi generati dalla Simulazione 1 e Simulazione 2 del business plan.

Tabella N°5




Fig. 3 - Ripagamento Investimento
Il grafico di Fig. N°3 seguente è la rappresentazione grafica dell’ultima riga del business plan di tutte e due le simulazioni per mostrare il “pareggio” (intersezione tra la curva e l’asse dei tempi nei due casi) ai fini del ripagamento dell’investimento. In altre parole, questo grafico è la rappresentazione specifica nel caso del progetto a biomasse, prendendo a riferimento il grafico generale di cui alla Figura N°1, in cui si mostra un’area connotata dal segno negativo (esborsi cumulati) e un’area connotata da segno positivo (introiti cumulati). Ciò dà l’opportunità di sottolineare come visivamente si possa apprezzare l’effetto del passaggio da una ipotesi commerciale semplicemente generativa di elettricità (Simulazione 1, dove l’area negativa, pur  se inferiore, si approssima molto a quella positiva) ad una ipotesi commerciale propriamente cogenerativa di elettricità e calore (Simulazione 2, dove l’aria negativa è di gran lunga minore di quella positiva). In via “informale”, si può sostenere che il rapporto di queste aree è un effettivo parametro estimatore dell’attrattività del progetto preso in considerazione.
Terminati questi confronti delle due simulazioni e visto l’epilogo del progetto a biomasse, sarebbe difficile parlare di benefici per la sua mancata realizzazione; a meno che non si vogliano considerare tra essi:
-       Un carico di inquinanti evitato per le diverse matrici pari a quanto previsto dalla normativa vigente;
-       Una sicurezza intatta rispetto ai precedenti livelli, per evitati rischi (non definiti e/o quantificati) di nuove iniziative;
-       Un evitato consumo di territorio comunale;
-       L’evitato insediamento di nuove iniziative industriali, rese così più difficili per un effetto di tessuto industriale meno sviluppato[29];e così via dicendo (evitata usura delle strade, acqua non consumata, etc.).
Diversa è la situazione se la traguardiamo attraverso l’analisi dei costi conseguenti alla mancata realizzazione del progetto:
-       C’è una spesa concreta del Comune per il contratto di consulenza, per non parlare del tempo impiegato inutilmente dal RUP, dal Sindaco e dal Consiglio Comunale, dalla Regione, per un argomento rivelatosi infine senza frutto;
-       Analogo ragionamento può essere fatto per le spese e tempi di progetto e procedimenti autorizzativi da parte del Proponente;
-       La perdita per il Comune di una possibile compartecipazione (come misura compensativa) al progetto dell’1% sul profitto lordo, stimata nel caso peggiore circa 4600 €/anno e circa 6200 €/anno nel caso migliore, per l’intera vita del progetto;
-       La perdita per il Comune di una possibile sottoscrizione di Convenzione ventennale con il Proponente per la messa a disposizione dei terreni necessari direttamente da parte del Comune, valutata 18000 €/anno per l’intera vita del progetto;
-       Con la realizzazione, esercizio e manutenzione del progetto il territorio avrebbe potuto beneficiare di 8-15 nuovi occupati stabilmente per l’intera vita del progetto; ciò senza valutare la ricaduta indiretta/indotta.
-       I mancati introiti per il Proponente e per la Pubblica Amministrazione in generale (quest’ultima per effetti fiscali) sono stati valutati nelle Tabelle N°4 che seguono attraverso i dati odierni che si ritrovano in bolletta[30], sulla base di Simulazione 1, ma sarebbero molto più ampi se calcolati su Simulazione 2.

In definitiva, la mancata realizzazione del progetto anziché una situazione di “guadagno” e quindi di creazione di “valore” per tutti, ha configurato una situazione di “perdita” per tutti. Gli unici a vincere sono stati, di fatto, coloro che con le loro emozioni hanno fatto nascere un’opposizione al progetto di natura tale che di fronte a una indisponibilità dei terreni – requisito previsto per la Conferenza dei Servizi – il progetto è stato definitivamente “archiviato”.


Tabelle N°4



Si possono schematizzare come segue:

-     In sede istituzionale:

o   L’attribuzione di un valore ad attività di consulenza professionale svincolata da un tariffario professionale, da una analisi delle risorse impiegate e ore-uomo necessarie, senza una dettagliata elencazione delle attività e servizi richiesti, di ciò che è incluso e ciò che è escluso, può essere foriera di conflitto tra committente e consulente, divenire fuorviante e riflettersi in maniera negativa su entrambi.
o   Non vale la pena ricorrere ad un consulente esterno e non seguire poi i suoi suggerimenti specie quando si tratti di comunicazione per chiarimenti e interlocuzione con i proponenti il progetto e suoi progettisti per la precipua materia tecnica specialistica per cui si è fatto ricorso al consulente. Meglio valutare, in questi casi, di ricorrere a personale interno, anche di altre amministrazioni. In alternativa, se e nelle forme consentite dal diritto amministrativo, porre gli oneri per il proprio percorso autorizzativo a carico del Proponente.
o   Guardare con attenzione i contenuti di chiarimenti richiesti per farne prescrizioni in sede autorizzativa, nonchè le proposte di business planning e quelle di una partecipazione attiva al progetto, anche in termini compensativi di oneri per il territorio.
o   Richiedere al Proponente uno strutturato documento di ricaduta del progetto sul territorio e farne uno strumento dinamico per l’ottenimento di un “consenso informato” da parte delle popolazioni coinvolte nel corso delle varie fasi del progetto.
o   Considerare il Proponente come partner nel Progetto.

-     Per il Proponente:

o   Non sottoporre a processo autorizzativo un progetto cogenerativo e poi trasformare, di fatto, questa caratteristica in maniera quasi-opzionale, tale che ciò possa smentire i parametri fondamentali su cui il progetto cogenerativo è impostato.
o   Ove l’impatto ambientale è alto, come prima misura antecedente l’impianto è bene prevedere un base-line per il rilievo del fondo esistente traguardando i maggiori inquinanti coinvolti; ove possibile prevedere per essi una rete di rilevamento e renderne pubblici i risultati in tempo reale fuori della recinzione del cantiere prima e dell’impianto dopo.
o   Fornire una simulazione di business plan lasciando piccoli spazi aperti al territorio per una modesta partecipazione al progetto quale misura compensativa.
o   Prendere seriamente in considerazione i chiarimenti e rilievi emersi nel percorso autorizzativo, traguardarli in maniera specialistica ed accogliere specie quei rilievi che riguardano la sicurezza e l’ambiente.
o   Considerare il territorio di accoglienza come possibile partner del Progetto.

Aldilà del titolo, si può parlare oggettivamente di lezioni apprese lì dove esse siano riconosciute come tali e pertanto vengano conservate in “memoria” con l’intento di farne uso per futuri comportamenti in circostanze analoghe. Nella fattispecie, sebbene la speranza sia auspicabile e doverosa, resta sempre legittima la riserva del dubbio.


Le conclusioni che sembra poter trarre sono almeno le due seguenti e di diverso ordine:

(1) La sindrome NIMBY – causa della fine precoce di molti progetti – sembra inscritta nel codice genetico della nostra specie, vista la naturale e reattiva tendenza umana ad attaccare e combattere ogni cosa percepita come pericolo a noi esterno. Su questa naturale predisposizione è fuor di dubbio che facciano spesso leva coloro che per interesse di parte vogliono avversare un qualunque progetto che abbia un impatto sociale. Spesso ciò avviene sfruttando l’impreparazione, non solo tecnico-scientifica, delle persone e soprattutto facendo leva sulle loro emozioni, spesso acritiche e incontrollabili.
A titolo di esempio si prendano le seguenti parti sottolineate, di cui al punto 5. del presente documento:

La combustione della legna produce numerose sostanze inquinanti. Il 90% del fumo di legna è costituito da polveri con dimensione media inferiore al milionesimo di metro (μm, micron). Queste sono così minuscole da poter essere aerotrasportate anche per settimane e penetrare negli alveoli polmonari, divenendo veicoli efficienti di gas tossici, batteri e virus, con grave danno, perché passano direttamente nel flusso sanguigno. L’ONU stima che l’inquinamento indoor uccida circa 2 milioni di persone all’anno.

Se “somministrate”[31] nel loro contesto queste frasi suggeriscono, a persone sensate e preparate, la necessità di attenzione agli aspetti ambientali (per es. deforestazione incontrollata) e nell’uso del legno; in particolare indicano la necessità di impiegarlo a fini di progetti cogenerativi obbligatoriamente in impianti a norma di legge e quindi dotati di idonei sistemi di abbattimento polveri ed inquinanti.
Se, avulse dal loro originario contesto, benché veritiere e magisteriali, vengono “somministrate” a persone impreparate e facili alle emozioni, possono funzionare da innesco per avversare, ad esempio, un progetto a biomasse del tipo qui preso a riferimento.
L’analisi costi benefici condotta in modo rigoroso, onesto e trasparente per instaurare un colloquio con le popolazioni del territorio di ricaduta del progetto possono costituire la base per la formazione e ottenimento di un “consenso informato” al fine di combattere i mali della transizione energetica e della prefigurata decrescita in particolare.

(2) Il team di verifica e valutazione del progetto ha sempre posto un punto interrogativo sulla possibilità che nel percorso autorizzativo precipuo per l’ammissione all’incentivazione di un impianto nato per la cogenerazione (elettricità + calore, sotto l’egida di un CHP=80%) avesse potuto trovare vita facile come impianto per la generazione di sola elettricità (ancorché da fonte rinnovabile) e recupero calore solamente all’occorrenza (per esempio, a richiesta o a intermittenza, oppure in maniera stagionale).
Il regime di incentivazione di progetti per la generazione di energia elettrica, nato con la Legge Bersani in circostanze di liberalizzazione e privatizzazione del settore in Italia, ha prodotto gli effetti sperati di incrementare la potenza installata di tecnologie per fonti rinnovabili[32], scatenando una “corsa all’incentivo” che ancora sembrava sostenibile all’epoca in cui è stato proposto il progetto qui preso a riferimento. Si tratta di incentivi di cui hanno largamente beneficiato le tecnologie eolica e fotovoltaica (la cui ricaduta industriale, peraltro, è avvenuta essenzialmente all’estero perché il nostro Paese non era ancora industrialmente pronto per tali tecnologie). Lo si può constatare anche dalla Figura 11 dell’Estratto N°1 da PNIEC 2019 riportato nelle pagine iniziali di questo documento.
Il progetto a biomasse preso a riferimento apparteneva a una serie che giustamente tentava di diversificare le fonti dei progetti energetici di piccola taglia distribuiti sul territorio nazionale e di convogliare anche su di questi i benefici dell’incentivazione. Infatti, la fonte rinnovabile da biomasse per produrre energia elettrica e calore in società industrialmente avanzate era e permane tuttora (alla stregua del carbone di origine fossile) poco gradita e considerata, sebbene rinnovabile e facilmente disponibile - presumibilmente per una errata valutazione degli aspetti ambientali e contromisure richieste – ma potenzialmente importante nella mitigazione degli effetti avversi di quell’operazione di “decrescita” che qualcuno intravede all’orizzonte.
Purtroppo, a distanza di un lustro, il regime di incentivazione ha subìto una forte regolamentazione e conseguenti forti restrizioni, per cui è difficile valutare se i promotori del progetto a biomasse, dopo aver installato e avviato l’impianto, sarebbero stati felici di esercirlo sotto le nuove regolamentazioni e restrizioni conseguenti, che avrebbero certamente ritoccato al ribasso la redditività del nuovo impianto. Valutazioni al riguardo sono sempre possibili, in via ipotetica, attraverso gli strumenti del business planning e analisi costi e benefici, il cui “valore” si dimostra affetto da vincoli e limiti, non solo perché costi e benefici hanno risvolti sociali sulla falsariga di quanto UNIDO ed UE insegnano, ma perché non siamo in grado di prevedere la “Storia”, neppure quando si tratta solamente di “Mercato”. E al riguardo sovviene alla mente quella “Mano Invisibile” spesso dimenticata - di cui nella sua fede parlava Adam Smith - unica capace di trarre il bene dall’umano agire.

La nostra giurisprudenza sembra affermare il contrario[33], ma è molto diffusa la convinzione che l’energia sia componente essenziale del diritto all’esistenza della specie umana e delle civiltà che essa ha sviluppato. Di conseguenza, questo diritto, se di diritto si tratta, in determinate circostanze, dovrebbe prevalere sulle considerazioni ambientali alla stessa stregua del diritto al cibo[34]. La civiltà umana ha perciò bisogno di un mix equilibrato di tutte le fonti sinora disponibili (fossili, nucleari e rinnovabili) nessuna esclusa, in attesa che la ricerca metta a disposizione altre possibili opzioni ambientalmente più sicure ed innocue (per esempio: fusione nucleare, calda o fredda che sia, ma comunque da studiare e sperimentare). Eventuali bocciature ideali, di principio o addirittura ideologiche nei confronti di una qualsiasi delle fonti oggi esistenti dovrebbero essere ridimensionate e circostanziate.

Si ripropone così quell’interrogativo che forse è risultato poco comprensibile ad una prima lettura: in futuro sarà la Forza a sostenere i progetti necessari all’umanità per garantire la sopravvivenza o il potere economico dei Mercati? E proprio pensando a quella “Mano Invisibile” si rafforza la convinzione che il bene individuale è subordinato al bene comune, condiviso, pubblico; e il tempo (guaritore di ogni male) è superiore allo spazio (sempre più affollato sulla Terra, sotto la spinta di una pressione demografica ancora non gestita).

Resta in ogni caso dimostrata la congettura che un business planning soddisfacente è condizione necessaria, ma non sufficiente per il successo di un progetto, mentre invece è il sistema di valori entro cui il progetto si contestualizza e si svolge a concorrere in maniera decisiva nel determinarne gli esiti.


Riferimenti Bibliografici
1.Energia Giustizia E Pace – Una Riflessione Sull’energia Nel Contesto Attuale Dello Sviluppo Della Tutela Dell’ambiente -  Mons. Mario Toso – Libreria Editrice Vaticana.
2. L’economia Senza Etica È Diseconomia - A.Spampinato – 1996 – Il Sole 24 Ore
3.The ETI Nuclear Cost Drivers Project: Summary Report - 20 April 2018 - Cleantech Catalyst Ltd - Lucid Strategy, Inc.- Energy Technologies Institute
4.Proposta Di Piano Nazionale Integrato Energia E Clima – (MISE, MATTM,- Italia)
5.Bank Of England - Quarterly Bulletin  2014 Q1 - Money Creation In The Modern Economy By Michael Mcleay, Amar        Radia And Ryland Thomas Of The Bank’s Monetary Analysis Directorate
6.Manual For The Preparation Of Industrial Feasibility Study – UNIDO - 199
7.Guidelines For Project Evaluation – UNIDO -1972
8.Guide To Practical Project Appraisal – Social Benefit/Cost Analysis In Developing Countries - UNIDO -1989.     
9 Iperfinanza E Lavoro Produttivo – IASSP – Istituto Di Alti Studi Strategici E Politici Per La Leadership – 2016
10. Federmanager - Una Strategia Energetica Per L’italia – 2° Rapporto - Le Vie Per La Decarbonizzazione E Lo Sviluppo  Economico E Industriale Dell’italia – 2019
11.Undp Evaluation Guidelines – UNDP - Jan 2019
12.Handbook On Planning,Monitoring And Evaluating For Development Results - United Nations Development Programme – UNDP 2009
13.   Human Development  Report 2015 - Work For Human Development – UNDP
14.   COMFAR III – Reference Manual, Tech.Manual, etc. – 1997 - UNIDO
15.   HM Treasury - The Green Book Central Government Guidance On Appraisal And Evaluation - 2018
16.   L. Pinson – J. Jinnett – Il Business Plan – Franco Angeli Editore
17.   A. Borrello – Il Business Plan - Dalla Valutazione Dell’investimento Alla Misurazione Dell’attività Dell’impresa – Mc Graw Hill
18.   P. De Sury – M.Miscali – Project Finance – Egea
19.   W. Ternau – Project Financing – Franco Angeli
20.   E. Turban – J.R. Meredith – Management – Metodologie E Tecniche Operative – Gruppo Editoriale Jackson – 1990 – Master
21.   P. L. Piccari/U. Santori - L’analisi Finanziaria Degli Investimenti Industriali – Il Sole 24 Ore
22.   Il Project Finance – Principi Guida Per La Realizzazione Delle Opere Pubbliche – P. De Sury – M. Miscali – CARIPLO – EGEA
23.   Estimo Generale – Con Applicazioni Di Matematica Finanziaria – I. Michieli – 1982 – CALDERINI Editore.
24.   Centrali Elettriche – Parte Prima – Elementi Di Economia Sulla Produzione Di Energia Elettrica - C. Zanchi – Masson Italia Editori – 1977
25.   Controllo di gestione e reporting aziendale – F. Novelli – M. Gussago – 1991 - IPSOA
26.   R.L.Ackoff -_M.W.Sasieni - Fondamenti Di Ricerca Operativa - Etas Libri
27.   Zanetti – Le Decisioni Di Investimento – il Mulino – 1997
28.   EEB - European Environmental Bureau – Decoupling – Evidence and argument against green growrh as a sole strategy for sustainability – Report July 2019






[1] Già: Tecnico CNEN, Quadro Enel; Dirigente Sogin Spa, Amministratore Nucleco Spa; Consulente CSEA, CP&P, PROTEX, NUCEM srl, Esperto per la Valutazione di Progetti di Ricerca Sistema Elettrico ai sensi del DM 16 aprile 2018.                                                                                                  
[3] Promosso non solo in sede ecclesiale, ma anche laicale (vedasi ad es. in sede ONU)
[4] Laborem Exercens (1981) - Caritas in Veritate (2009) – Evangelii Gaudium (2013) – Laudato Si’ (2015)
[5] Dignitatis Humanae: dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa
[7] Vedi seguenti link https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_della_Moneta_Moderna ; http://ssrn.com/abstract=1905625; www.moslereconomics.com; vedasi anche Bank of England - Quarterly Bulletin  2014 Q1 - Money creation in the modern economy By Michael McLeay, Amar Radia and Ryland Thomas of the Bank’s Monetary Analysis Directorate; una sintesi è disponibile su https://roccomorelli.blogspot.com/2017/11/un-breve-cenno-sulla-teoria-monetaria.html
[8] Moneta inconvertibile dichiarata a corso legale.
[10] Evangelii Gaudium: paragrafi (217-237)
[13] Le smart grid implicano accorgimenti tecnico-impiantistici concettuali legati alla produzione diffusa sul territorio che vedono innumerevoli utenti elettrici come “produttori-consumatori” orientati all’autoproduzione e autoconsumo in tempo reale con immissione in rete delle eccedenze o assorbimento dalla rete delle mancanze che si registrano momento per moment.
[15] Punto che individua il periodo di ripagamento effettivo del progetto (più che breakeven point può essere meglio definito come punto che individua il pay-back period)
[16] United Nations Industrial Development Organization che insieme ai manuali utente per il COMFAR III fornisce anche il Manual for the preparation of Industrial Feasibility Study reperibile anche al seguente link: https://owaisshafique.files.wordpress.com/2011/04/manual_for_the_preparation_of_industrial_feasibility_studies.pdf (si suggerisce a chi ne fosse sprovvisto di scaricare il pdf)
[17] Pubblicazione sempre più rara che può essere reperita ancora attraverso https://www.amazon.com/Guidelines-Project-Evaluation-United-Nations/dp/0119022591
[18] Traduzione “Per la natura stessa del suo lavoro un imprenditore commerciale può limitare i suoi pensieri a una gamma piuttosto limitata di effetti, ma un pianificatore per conto del paese deve, per necessità, avere una visione più ampia. Questo punto è abbastanza semplice ma viene spesso trascurato quando si contrappongono le decisioni chiare, rapide e nette degli imprenditori con gli esercizi piuttosto lenti e ingombranti delle valutazioni dei progetti pubblici”.
[19] Costi esterni al progetto dell’impatto ambientale che esso produce e che non vengono pagati da colui che svolge l’attività industriale, contrariamente al principio “the polluter pays” internazionalmente riconosciuto.
[21] UN – 1972 – a cura di Partha Dasgupta e Amartya Sen (London School of Economics), Sthephen Marglin (Harvard University). Serie N. E.72.II.B.11 – ID/SER.H/2 – Inoltre vedasi anche: Guide To Practical Project Appraisal – Social Benefit/Cost Analysis In Developing Countries - UNIDO -1986
[22] Traduzione: “Formalmente, il calcolo della redditività economica nazionale sostituisce semplicemente i ricavi monetari e i costi monetari con benefici sociali e costi sociali, e il tasso di sconto utilizzato per aggregare rendimenti e spese in tempi diversi diventa un tasso sociale di sconto piuttosto che un tasso privato di sconto. Ma i benefici e i costi sociali differiscono sostanzialmente dalle entrate e dai costi monetari. E il tasso di sconto sociale appropriato per il calcolo della redditività economica nazionale sarà uguale al tasso di sconto privato appropriato per i calcoli della redditività commerciale solo per caso una volta abbandonati i presupposti di una concorrenza perfetta che caratterizzano praticamente tutta l'economia del benessere”.
[23] Questo paragrafo è un estratto dei contenuti del volume ENERGIA GIUSTIZIA E PACE – Una riflessione sull’energia nel contesto attuale dello sviluppo della tutela dell’ambiente - Mons. Mario Toso – Libreria Editrice Vaticana. Ci si augura che Mons. Toso approvi l’uso che qui viene fatto dei suoi scritti.
[24] Il contenzioso sembrava ruotare sul fatto che rispetto ad una valutazione iniziale di qualche migliaio di Euro erano state richieste nell’ambito dello stesso importo iniziale attività addizionali di perizia, inizialmente non definite, per un progetto di valore realizzativo  stimato pari a 4,5 MEuro.
[25] Elemento che in sede istituzionale ha portato prima a procrastinare e poi all’annullamento della Conferenza dei Servizi pubblicamente indetta e prevista nel percorso procedurale per autorizzare il progetto.
[26] Trattamento Acque Reflue
[27] Vedasi ad esempio l’estensione della Metro B a Roma (Torraccia-Casalmonastero) e l’annullamento del relativo progetto da 500 M€; peraltro avvenuto dopo aver aggiudicato una gara di fatto assegnata al Consorzio Vianini-Salini- Ansaldo. Progetto nato da alchimie finanziarie-concessorie fallito dopo 20 anni di attesa da parte di popolosi quartieri.
[28] Installabili alternativamente in batteria per aumentare l’affidabilità.
[29] Sarebbe un po’ come ragionare a rovescio e dire ad un bambino – ispirandosi a un principio di prudenza - di non “giocare” per non correre rischi ed esporsi ai pericoli, ragion per cui è meglio che non abbia il suo territorio, ovvero la sua stanza.
[31] Termine tipico degli studi sulla comunicazione di massa e i suoi effetti, che è  ben utilizzabile quando si tratti  di una audience assembleare e popolare cui è demandata una decisone..
[32] Ma non certo quelli di abbassare il costo dell’energia in Italia che è stato uno dei “mantra” con cui è stata accompagnata la liberalizzazione e privatizzazione del settore elettrico italiano.
[34] Vedasi 5.2 del presente documento.

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