Lettera Aperta ad un Caporalmaggiore Portaordini …. Cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto .... in Quiescenza


Caro Caporale,

è in quella lontana e calda estate del 1978 che ci hai lasciato. Obbediente agli “ordini irrevocabili”, cui eri stato rapidamente educato con la chiamata alle armi poco più che adolescente (classe ’98), sei corso da Colui – Comandante Supremo - che ti richiamava in maniera perentoria e definitiva da questo “fronte terreno”. C’era, allora, chi stava lontano ad inseguire i propri sogni e chi, vicino e amorevole come sempre, assisteva impotente a quel declino riservato ad ogni uomo nei suoi ultimi giorni. Qualche mese prima eri stato inesorabilmente “colpito”. All'improvviso, eri “caduto” come succedeva in battaglia sugli altipiani del Carso, dove - dai tuoi racconti - si capiva perché avevi maturato un così grande rispetto anche per i muli, oltre che per i compagni di trincea. Questa volta, però, non fu un semplice colpo di striscio, con ferite superficiali guaribili, come avevi sperimentato al fronte. A prenderti sulle spalle dopo la caduta, per adagiarti sul tuo giaciglio fu una donna, tua figlia, e non un soldato. Non fu questa volta l’inizio di una guarigione, ma il segno di un inarrestabile declino che ti portò alla definitiva dipartita. Eppure, avevi ancora molto da raccontare!
In tutto, godesti neanche di un decennio del tuo cavalierato; che in verità ti aveva reso ancor più fiero di quanto tu non fossi già. L’onorificenza ti era giunta nel 1969 con tanto di medaglia e di croce di guerra. 


Da quel momento, i tuoi racconti (che solitamente avvenivano durante la rasatura casalinga che ci richiedevi per essere sempre in ordine, oppure negli intervalli di gioco con le carte: briscola, scopa o centocinquanta) divennero letteralmente “certificati”, perché avevi un’autorevole prova che eri stato autentico testimone dei fatti che raccontavi. Essi, quasi inconsapevolmente, ci avvicinavano ad antichi valori: rispetto, disciplina, onore, bandiera, solidarietà.
Cav. Alberto Conte

Per esempio, sapevamo a memoria che un’aringa affumicata (pendente da un lungo spago appeso alla capriata di un capannone nel campo di concentramento dov’eri detenuto prigioniero) serviva in quei gelidi giorni grigi, non per essere mangiata, ma per durare a lungo ed essere condivisa. Infatti, strofinata tra due fettine di pane secco, usuale cibo servito dal severo nemico, dava sapore di companatico a chi di più non poteva ricevere. Eri – secondo la tua affabulazione  - alla periferia di una grande città dell’impero austroungarico attraversata dal grande fiume “Duna”: da una parte Buda e dall’altra Pest. I digiuni e le ristrettezze d’allora, insieme al duro lavoro e alla disciplina nel campo di prigionia ti stavano stremando e smagrivi giorno dopo giorno fino a suscitare sentimenti di pietà in una certa Marika Lucivick. Così tu la chiamavi quella donna, mossa da quel sentimento che la lunga grande guerra sembrava aver quasi sradicato dal cuore umano.  Quella donna cominciò così a chiedere ripetutamente agli ufficiali del campo di lasciarti andare a casa sua, nelle vicinanze, fuori dal campo, per essere aiutata a spaccar legna. Era soltanto una scusa per rifocillarti con qualche minestra calda e cercare di farti ristabilire. Fu segno della Provvidenza, forse perché mesi prima, esponendoti a grande rischio, abbassasti consapevolmente il tuo moschetto puntato verso quel soldato nemico che incontrasti in una trincea abbandonata, proprio mentre dovevi percorrerla in una delle tue missioni di Portaordini. Fu così che egli la fece franca! E tu pure! Nelle dure condizioni della guerra avevi apprezzato ancor di più il valore della vita umana, tua e degli altri, anche se nemici. Finalmente quella guerra interminabile finì! E grazie a Marika, e alla Provvidenza che l’aveva mandata, eri ancora vivo e portavi con grande dignità la tua statura (1,75 m) con appena 36 chili di peso, ostentando la bandiera italiana con lo stemma savoiardo al festoso rientro in Italia.
Oggi, a oltre un secolo di distanza, guarda caso, hai due pronipoti che non hai avuto modo di veder nascere. Essi godono della doppia nazionalità: italiana e ungherese. Sarebbero stati lieti di conoscerti di persona e sono contenti di ascoltare queste storie di famiglia. Solo Dio sa se c’è qualche legame in tutto questo. Noi possiamo solo immaginare, congetturare!
Viviamo di ricordi, specie in avanzata età, quando ci interroghiamo su molte cose trascurate per correre dietro agli affanni di una comune esistenza. I ricordi sono troppo importanti per la vita umana e la pratica della memoria è testimonianza di questo. Ci interroghiamo sulle coincidenze della vita e cerchiamo di scoprire se esse celano significati che ci sfuggono.
Di fatto, la tua onorificenza di Cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto è giunta dopo mezzo secolo anche perché una seconda guerra è intervenuta e tu non hai fatto mancare il contributo del tuo servizio di polizia municipale per tutto il tempo a seguire. Per quanto tardiva, quella onorificenza l’hai guadagnata con il dovere svolto al fronte, sul campo di battaglia e di prigionia, ma l’hai potuta godere in vita neanche per un decennio. Ora, che di Cavalieri di Vittorio Veneto non ce n’è più alcuno in vita (così si sostiene!) l’Ordine di Vittorio Veneto risulta un Ordine ... in quiescenza ... , pressoché sparito, senza che neppure un completo elenco dei suoi componenti possa essere mai stato tramandato per “la Memoria” storica di questo Paese, magari attraverso il Web, come si usa ai nostri giorni per “ordini più pomposi”. Si percepisce veramente che “qualcosa non è più in Ordine”!
Ma tu Caporale, resti ancora vivo nel ricordo dei tuoi figli, dei tuoi nipoti e dei tuoi pronipoti. Anche a loro è diretta questa lettera aperta, affinché nelle Famiglie che da te hanno preso origine permanga come sale nella buona pasta il segno di quei valori umani che al di là di ogni possibile difetto hai volontariamente o involontariamente tramandati, insieme ad un pizzico di quell'Onore di cui ti sei ricoperto con il tuo sacrificio di soldato.

A nome di noi tutti che ti ricordiamo con affetto,

GRAZIE CAVALIERE.

1 commento:

  1. Caro Caporale, non vorrei darti questo dispiacere, ma è la Verità: "sembra proprio che il PIAVE non mormori più; neppure oggi 24 Maggio 2022". Ti potrà sembrare che il Vostro Sacrificio e il Vostro Sangue versato siano stati vani. Ma, non cadete in trappole del Nemico. Ciò che avete fatto è ancora serbato in molti Cuori!

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