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sabato 16 gennaio 2016

LA GRANDE FUGA DALL'UNIVERSITÀ

Che la disoccupazione giovanile per effetto della crisi abbia raggiunto valori mai raggiunti in precedenza è ormai noto a tutti. Che il precariato è divenuta una costante con cui le nuove generazioni sono costrette a convivere è un fatto meno noto, seppur presente nella consapevolezza degli Italiani. Sicuramente è risaputo, talvolta per "esperienza vissuta" - da chi vive tra la gente comune - di laureati in Ingegneria impiegati nei "call center" ; di laureati in  Scienze Politiche trasformati in piazzisti per la vendita di abbonamenti alla rivista "Cani e Gatti";  di laureati in architettura utilizzati come "nuovi ambulanti" nella promozione della vendita di sigarette nei bar di periferia; di laureati in Scienza della Comunicazione riciclati come cuochi. 
Gli studi universitari sembrano non remunerare più lo sforzo di coloro che vi si dedicano e cresce la disaffezione dei giovani verso lo studio ed il lavoro, specie precario. Giovani coppie sono costrette alla convivenza senza poter soddisfare la loro vocazione alla famiglia, che sembra divenuta un lusso per “solo garantiti”. Ci si rivolge cosi alla ricerca della “raccomandazione” in un clima di “si salvi chi può”. Si sviluppano atteggiamenti "mordi e fuggi" contrari all'intrapresa, alla professionalità nel lavoro, alla dedizione verso un mestiere o verso un qualunque impiego socialmente utile. Tutti sono costretti dalle circostanze a vendere il proprio tempo senza metterci "l'anima", a "fare un pò di tutto" senza poter imparare, e alla fine, senza "saper fare niente” in modo serio e professionale, con dedizione, come si deve. I diplomati di scuola media trovano più facilmente lavoro dei giovani laureati. Si tratta di realtà dell’Italia dei nostri giorni, dove il Capo del Governo polemizza con la Commissione Europea per ottenere “flessibilità” e il Papa avverte i giovani in cerca di lavoro di astenersi  dalla ricerca della raccomandazione, cui spesso soggiace la corruzione.

Un’inchiesta di “La Repubblica” ci conferma : << In dieci anni perse 65mila matricole, con un calo del 20% dei diplomati che scelgono di continuare gli studi. Colpa della crisi, ma anche delle scarse prospettive di lavoro che dà la laurea. La contrazione del sistema universitario italiano oltre ad ampliare il divario fra Nord e Sud mina però gravemente il potenziale di crescita del Paese. C'è chi dà la colpa all'aumento delle tasse, all'introduzione del numero chiuso e al taglio dei fondi statali per borse e alloggi, mentre per gli studenti il colpo di grazia è arrivato con la riforma dell'Isee >>.

Non è più il tempo delle inchieste e della “denuncia”, bensì è il tempo delle risposte a domande insoddisfatte. E’ il tempo in cui riscoprire il "bene comune" e la "Politica come Servizio". Deve poter rinascere  la Speranza o in alternativa bisogna attendersi “Il Crollo”, con giovani in fuga da questo Paese in cerca non più del lavoro di prestigio, ma di un semplice "tozzo di pane"; un Paese che mentre giustamente accoglie rifugiati e migranti, sembra dimenticare i propri figli in difficoltà; un Paese che dopo aver già lasciato "fuggire" le risorse intellettuali migliori - che tanto hanno richiesto per la loro formazione dallo Stato e dalle loro famiglie - si incammina verso la crisi, non più ciclica, ma strutturale, manovrata ad arte per imporre "decisioni d'emergenza" estranee ai veri bisogni sotto gli occhi di tutti. Così il futuro si tinge di creolo, con "nuovi Italiani" chiamati a sostenere demograficamente un Paese che hanno "scelto per fame" e per il quale saranno chiamati a pagarne quei debiti che non hanno contratto e dai quali non hanno tratto beneficio. Tutto ciò accade mentre nel centro e nord Europa si chiudono progressivamente le frontiere e gli ideali di libera circolazione, delle persone in particolare, mostrano i loro limiti ed i rischi per una Europa che non intende ragione.

vedi 


http://inchieste.repubblica.it/it2016/repubblica/rep-it//01/14/news/la_grande_fuga_dall_universita_-130049854/?ref=HREC1-31

venerdì 11 dicembre 2015

CORRELAZIONE TRA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE E DIFFUSIONE DI PARTITI RADICALI E ANTIEUROPEISTI

Questa correlazione mostrata nel grafico in calce (ripreso dal Sole 24 Ore) non è una novità ed è logica. Ma, il punto è come mai le istituzioni europee che dovrebbero armonizzare le politiche nazionali in base ai dati della disoccupazione giovanile - che hanno mostrato tendenze preoccupanti non solo nel mezzo della crisi, ma anche in periodi antecedenti - non sono riuscite, in un periodo più lungo di un decennio, ad attuare politiche di contrasto di questo fenomeno. I paesi del sud europeo, più colpiti dalla crisi, sono affetti anche dalla piaga del precariato e della disoccupazione giovanile intellettuale. I giovani europei del sud emigrano non più per lavori di eccellenza, ma per un normale lavoro di sopravvivenza, rinunciando spesso al lavoro intellettuale cui credevano di essere destinati. Questa situazione si riflette in una grave delusione per loro stessi, le loro famiglie e per lo stato che li educa e che hanno profuso inutilmente risorse al riguardo, visto che i benefici eventuali ricadono altrove. Occupazione dal settore industriale italiano nei termini in cui si era abituati in passato, sembra proprio che non si possa attendere, visto che si parla ormai di distruzione vera e propria di circa il 40% della capacità produttiva nazionale, che non ha speranza di essere rimpiazzata. Forse neanche una vera guerra convenzionale poteva "fare di meglio". Le responsabilità non sono soltanto delle politiche europee, però, perché esse vanno condivise anche con la politica nazionale nostrana, inerme per un lungo periodo, come se il problema non gli appartenesse. Oggi come oggi, chi può pretendere da gente che subisce un simile trattamento gli stessi sentimenti europeisti che hanno caratterizzato e caratterizzano tuttora le precedenti generazioni di Italiani?
In mancanza di provvedimenti non si potrà che prendere atto di un ennesimo fallimento delle politiche di armonizzazione europee e della crisi di fiducia e di rappresentanza anche nelle istituzioni nazionali che attraversa trasversalmente l'Europa. I teorici dell'impiego della forza, in termini diretti o manipolativi, attraverso anche il "management by fear", potranno essere certi che non tutti si piegheranno e allora sarà scontro sociale generalizzato.
Titoli di questo genere che mettono in conto la guerra civile (mostrato qui in basso e ripreso anch'esso dal Sole 24 Ore) richiederebbero almeno l'amore della verità, perché a quel punto non sarebbe stata l'estrema destra a condurre la Francia alla guerra civile, ma l'abuso della pazienza della povera gente che si è perpetrato e si sta tuttora perpetrando a Bruxelles e nelle capitali dell'Unione Europea.

Valls: l’estrema destra in Francia «può condurre alla guerra civile»