giovedì 4 febbraio 2016

Crescita record dei salari reali in Germania – Un’occasione in più per riflettere.

Una particolare riflessione e attenzione dovrebbero meritarla alcuni spunti qui trattati, che non hanno  pretesa di esaustività, né di esattezza, il cui scopo è invece quello di una sorta di tentativo di “ragionamento pubblicato per discussione”.
Mentre da noi i temi che durante questi anni di crisi hanno tanto infiammato, ed infiammano tuttora gli animi, sono stati quelli :
-         della sovranità monetaria ceduta a un progetto europeo incompiuto (stati senza moneta ed Europa senza uno stato),
-         della introduzione dei capitali privati nel fondo salva stati,
-         del fiscal compact  e della crisi finanziaria,
-         del pareggio di bilancio in costituzione,
al contrario in Germania, il silenzioso vantaggio competitivo, conquistato sui differenziali di inflazione rispetto agli altri paesi europei, dopo aver prodotto inusitati saldi attivi nel commercio con l’estero, ha premiato ancora una volta questo paese che ha fatto del rigore la propria e l’altrui disciplina in Europa.
 Infatti, i giornali annunciano  (vedi ad esempio:
che oggi si registra una crescita record dei salari reali - mai così alta da un quarto di secolo – in un momento in cui il paese deve far fronte a un milione di profughi.
Ma non basta, perché accanto all’aumento di salari e stipendi, i prezzi al consumo nel peggiore dei casi restano invariati, e la previdenza/assistenza ai disoccupati è definita da alcuni “quasi alla maniera danese”, mentre si riduce il lavoro precario e quello dei mini job.  Perciò, in taluni commenti alla notizia si ritrova il dubbio che forse "uber alles" lo siano veramente ; sicuramente lo sono nella disciplina e nell’astenersi dal praticare  aumenti di prezzi ingiustificati, ovvero aumenti che non siano determinati da una significativa variazione dei costi piuttosto che da un’arbitraria pulsione (come spesso da noi avviene!) ad espandere i margini di profitto senza altra giustificata motivazione.
Per spiegare meglio ciò che qui s’intende conviene fare un passo indietro nel tempo e riferirsi ai parametri di Maastricht  : inflazione < 3%  e rapporto deficit/pil < 3% .
Per non suscitare sospetti in coloro che fossero “diversamente schierati” (e per esempio convinti che sia tutto e solo causato della finanza) e convincerli della serietà del tentativo di ragionamento, conviene riferirsi soprattutto alla Teoria Monetaria Moderna (MMT) , alle sue tesi e algoritmi rigorosi, che vedono nel pareggio di bilancio in costituzione una condanna alla mancanza di crescita e alla stagnazione, che vedono nel deficit l'immissione di ricchezza da parte dello stato  verso i privati e nel surplus di bilancio ricchezza che lo stato ritira dai mercati. Tutto ciò, comunque, nella consapevolezza che la ricchezza vera la produce l'intrapresa e non la finanza, che al più ridistribuisce, o  per meglio dire, rastrella e reimpiega, soprattutto speculativamente, la ricchezza prodotta dall'intrapresa. Insomma, un tentativo di ragionamento nella consapevolezza e nella condivisione che la ricchezza vera non la produce la carta stampata  in forma di moneta o quella creata attraverso forme derivate, ma soltanto il lavoro e la creatività dell'uomo, delle comunità e delle nazioni cui essi appartengono.
In un momento in cui 3,5 miliardi di persone vivono a livelli di sussistenza con 2 dollari al giorno - spingendo gli aspetti demografici in campi problematici  attraverso l’incremento, ogni anno, di ulteriori 60-80 milioni di poveri di cui solo 15 milioni riescono a trovare uno sbocco attraverso le migrazioni, la decisione di porre un freno al debito pubblico - che nell’immediato arricchisce, ma nel lungo termine espone al fallimento - bisogna riconoscerla come una “politica” che può avere un risvolto umanitario. Infatti, essa permette ad altri popoli che non l’ hanno mai praticata, o perlomeno non l’hanno praticata in modo ricorrente, di utilizzare la politica del debito pubblico come strumento di sviluppo per un periodo pur lungo, ma limitato.
Detto ciò, torniamo ai citati parametri di Maastricht  : inflazione < 3%  e rapporto deficit/pil < 3% . Sembra lecito presupporre che ponendo il limite del 3% sul deficit (secondo MMT ricchezza immessa dallo stato verso i privati) e al tempo stesso il limite di 3% sull’inflazione, in un paese che per 10 anni si fosse sempre tenuto nell’intorno di tutti e due questi valori (talvolta sforandoli di poco o talvolta non raggiungendoli di poco) la ricchezza immessa dallo stato verso i privati sarebbe stata in “termini reali” praticamente “nulla”. Diversa sarebbe stata invece la sorte di un paese dove pur immettendo lo stato attraverso, il deficit, il 3% (del pil) di ricchezza verso i privati, l’inflazione fosse stata tenuta bassa nell’intorno dello 0,2% (per esempio attraverso una sorta di “patto sociale” tra cittadini, imprese, commercianti, professionisti, etc. a non aumentare i prezzi arbitrariamente). Infatti, in tal modo, ogni anno la ricchezza privata, grazie al deficit sarebbe cresciuta in termini reali del
(3% - 0,2%) = 2,8% del pil,
e in 10 anni il pil sarebbe cresciuto di circa il  
[(1+2,8%)10- 1]·100 = 32% circa.  
Stimando intorno a circa 800 miliardi il pil italiano, e a 60 milioni la popolazione, in pratica ogni Italiano ha perso ogni anno, in media, un possibile aumento di ricchezza reale di 373 euro e quindi 3730 euro in un periodo di 10 anni. Un nucleo familiare di 4 persone avrebbe avuto l'opportunità di accrescere il proprio reddito reale di circa 15 mila euro nel periodo, cifra tutt'altro che irrilevante.
Ovviamente possiamo solo presupporre che le nostre istituzioni conoscano molto bene questi problemi, sebbene resti da verificare se dall’introduzione dei vincoli di Maastricht le politiche da loro messe in atto fossero tese all’obiettivo di massimizzare “il bene comune della nazione”. Di certo la situazione attuale, di fatto, dimostra che le politiche adottate, prescindendo dagli orientamenti politici dei governi in carica che si sono succeduti, non hanno prodotto questi risultati, come invece è avvenuto in Germania. Quali ne siano le cause richiederebbe un’analisi storico, economica e sociale del nostro paese dall’entrata nell’euro.
In ogni caso, sembra si possa affermare che mentre in Germania una sorta di patto sociale, tacito o espresso, sia stato mantenuto nel corpo sociale della nazione ed abbia prodotto risultati efficaci, visti i traguardi ivi raggiunti, da noi un simile patto sociale non è stato attuato e reso efficace, forse per carenze istituzionali, ma forse e più probabilmente per atteggiamento pseudo-individualista della cittadinanza e del corpo sociale in generale. Da questo punto di vista, quindi, l’ “uber alles” può avere un suo senso e quindi, lealmente : chapeau ai Tedeschi!

Se il tentativo di ragionamento mostrerà serie “falle”, altrettanto lealmente non ci sarà difficoltà ad ammetterlo e riconoscerlo.

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