martedì 16 marzo 2021

Dalla Conversione delle Armi Nucleari alla Sconfitta della Fame nel Mondo - Le 4E - Riflessioni su Conversione Nucleare e Sviluppo in Tempi Difficili

 

             LE 4E : ENERGIA, ECONOMIA, ECOLOGIA E ETICA

Riflessioni su Conversione Nucleare e Sviluppo in Tempi Difficili

(Relazione di Approfondimento predisposta per l'Incontro di pari oggetto  tenutosi ad Assisi 12 Marzo 2021 da parte di Civiltà dell'Amore, ma non presentata)

1.      Antefatti

I fatti che stiamo vivendo in questo primo quarto del XXI secolo sembrano dominati dalla sfiducia, dal sospetto e dalla paura, non solo da quella paura della pandemia Covid-19 ancora in atto. Non si tratta di una condizione sorta recentemente, ma che si trascina dalla precedente Crisi dei Mutui Subprime (2007-2009).  Infatti, già allora lo si faceva notare in modo chiaro.

Osservando il Mondo si può anche arrivare alla congettura che ormai abbiamo tutti paura! Paura dell’ignoto? Paura del futuro determinata dalla crescente insicurezza provocata dalla crisi? Paura di qualche nuova scoperta dagli esiti catastrofici che viene celata solo per motivi di ordine pubblico? Ancora non lo sappiamo, ma la sensazione della paura diffusa e repressa nell’animo dell’uomo comune permane. Ad essa fa eco una domanda di sicurezza apparentemente senza precedenti.  E c’è chi, nelle attuali circostanze, ricorda un detto di B. Franklin: “Chi baratta la libertà per la sicurezza non merita entrambe”.

Ecco quindi che emerge spontaneamente dalla memoria un “Amarcord” e si ripresenta alla coscienza!.

Eravamo ragazzi innocenti aperti al mondo postguerra che incominciava ad andare veloce; con le imprese delle prime capsule spaziali, i miti di Einstein, Fermi, Majorana, Pontecorvo, ci hanno educato a credere nella Scienza. Eravamo ingenui adolescenti, che frequentavano le lezioni di Catechismo; dalla Storia e dagli Insegnamenti Cristiani imparavamo a credere nella fratellanza universale, quella necessaria per ricomporre attraverso l’unione di tutti i popoli in Cristo, quel primo Adamo, essere immortale andato in frantumi con la cacciata dall’Eden. La terra promessa era divenuta l’America, che tra mito  e poesia, anche per effetto della “guerra fredda”, sembrava essere l’unica a poter assicurare un obiettivo così importante per l’intero Genere Umano.

Siamo divenuti giovani uomini, intenzionati a dare un’impronta al Mondo, attraverso i Diritti Umani, l’Europa ed il “Sogno Americano” di generalizzazione del benessere, degli stili di vita, dei valori, senza preoccuparci troppo delle risorse disponibili e dello sfruttamento del nostro pianeta. Ci assicuravano che ce n’era per tutti,  per lungo tempo, per molte generazioni ancora ed in ogni caso ci invitavano ad essere fiduciosi perché la Scienza avrebbe in ogni caso trovato una via d’uscita. In ogni caso! Ci abbiamo creduto e ne abbiamo approfittato! Finalmente si lavorava, molto, sodo e si cresceva! Era “grazia di Dio” che non conoscevamo prima; ed abbiamo ignorato poi il Sillabo in Quanta Cura, se ne conoscevamo l’esistenza ed i contenuti. Siamo andati avanti nonostante il ’68, le Brigate Rosse, le Mafie, e persino Mani Pulite, che ha messo a nudo un intreccio nascosto di un mondo “underground” di cui non sospettavamo l’esistenza; almeno di quella natura e dimensione.

Poi, improvvisamente, nel corso della nostra maturità e con l’avvento dell’Europa, qualcuno ci ha svegliato dal bel sogno dicendoci che in pratica stavamo solo “rubando” il futuro ai nostri figli, cui avremmo lasciato una pesante eredità, non solo ambientale. I valori in cui eravamo stati educati sembravano divenuti colpe. Ci hanno giudicati colpevoli senza distinzione alcuna, a prescindere dai ruoli produttivi, burocratici, politici o istituzionali; centrali o marginali che fossero. Siamo diventati boomer[1] senza diritti di difesa. Infatti,  come ci stanno dicendo ora che sperimentiamo i primi passi verso la vecchiaia, la pesante eredità sulle spalle dei nostri figli sarà anche finanziaria: un debito accumulato nella nostra esistenza di misura pari ad una gran fetta della ricchezza disponibile. Per questa nostra “colpa” - dopo averci insegnato nelle università, attraverso la Moderna Teoria Monetaria, che il deficit (che origina il debito per lo Stato) è ricchezza nelle mani dei privati, mentre il surplus (che ripiana il debito dello Stato) è ricchezza che viene ritirata dai privati – siamo oggi costretti a continue “crisi” e i nostri giovani sperimentano livelli di disoccupazione di oltre un trentennio fa.

Tra gli Americani importanti, abbiamo conosciuto Al Gore per la sua sensibilità verso l’ ambiente e abbiamo creduto al suo linguaggio ecologista. Abbiamo creduto nel suo impegno per cercare la verità con equilibrio,  in mezzo a tanto ecologismo estremista o di maniera, per identificare problemi e cercare soluzioni. Poi, Al Gore si è fatto portatore di un allarme per il futuro del mondo: “faremo la guerra per le risorse”[2]!

Tutti oggi sembrano aver dimenticato questo repentino cambiamento intervenuto ad infrangere The American Dream (e con esso i sogni di una felicità terrena possibile) e tutti sembrano aver dimenticato soprattutto quell’annuncio da oltre oceano degli inizi degli anni ’70 dopo che il Gold Standard era stato “licenziato”: “The Dollar is our currency, but it’s your problem!”. In mezzo secolo la certezza del Diritto, la Democrazia da esportare, i Valori Costituzionali di libertà, di uguaglianza e di fratellanza, l’Autodeterminazione dei Popoli,  la Convivenza Pacifica, sembrano concetti lontani abbandonati negli anfratti più reconditi della coscienza e della memoria collettiva per lasciare posto al “Nuovo”. Un nuovo che prospetta cambiamenti su cui riflettere seriamente  per la famiglia tradizionale, il lavoro, la proprietà, la salute, la privacy,... in un mondo in cui le scelte e le esperienze individuali possibili si prospettano eterodirette piuttosto che autodirette e persino il concetto di carità o solidarietà assumono i connotati di una “restituzione”.

E’ solo uno tra tanti esempi, ma sembra quasi che all’improvviso  abbiamo smesso di Credere e di aver fiducia nella Scienza, nel Futuro, nella stessa benevolenza del Creatore verso il Creato e le Sue Creature. Perché? Si è rotto qualcosa, un equilibrio? Sentiamo forse che in un’ottica millenarista il Tempo sta per finire? Si diffonde nel mondo un Pessimismo Cosmico di tipo leopardiano, che con un Pathos Esistenzialista non è più solo intellettuale, ma concreto, tangibile? Che cosa c’è di nuovo e di vero per l’Umanità? La crisi morale - ancor prima che economica, finanziaria ed industriale - di questa civiltà sembra evidente; ma è una causa o un effetto? Perché abbiamo smesso di Credere e di aver fiducia nel Futuro? Forse perché... nonostante nessuno conosca il giorno e l’ora il Tempo sta veramente per finire?

Non è possibile sapere chi potrà rispondere a questi interrogativi. C’è da  augurarsi che qualcuno ci sia! Ma l’opprimente sensazione di un Mondo che implode su se stesso continua a persistere, particolarmente aggravata in regime di Pandemia.

Nel frattempo si fa notare che si è passati, specie in ambiti produttivi, da un “Management of Human Relations” a un “Management by Tasks”, subito dopo evoluto in un“Management by Objectives”; e successivamente divenuto un “Management by Fear”.   Il processo è stato inarrestabile e ci ha condotti  oggi “From Management by Fear to Power by Fear”. Ci si interroga, dunque,  per comprendere se veramente da ciò cui abbiamo assistito e assistiamo tuttora ne possa emergere, in realtà, un quadro piuttosto in linea con quella tradizione sapienziale che predica “L’inizio della Sapienza è il timor di Dio”. Ed anche se ci è stato comandato di possedere la Terra dovremmo riscoprire che la nozione di possesso non coincide con quella di proprietà, per cui della Terra ne dovremmo essere i custodi! Tutti! Nessuno escluso! In pratica : Qui arriviamo nudi e ce ne andiamo nudi; siamo tutti solo in affitto e nessuno è proprietario! Ci si chiede se l’obiettivo di un simile cambiamento sia veramente quello professato , o comunque lasciato intendere, di una maggiore giustizia distributiva nella comunità umana, specie verso gli ultimi, gli emarginati, gli esclusi e gli scartati! In definitiva: la realizzazione ultima di quella fratellanza evangelica tra gli umani, sempre predicata, ma mai attuata, senza che alla fine risulti – come è sempre accaduto nella Storia – che  “tutto cambi affinché nulla cambi”.

2.      La crisi attuale e le conseguenze per “La Fame nel Mondo”

Il cambiamento climatico in atto, a prescindere dalle controversie tra i propugnatori delle cause antropiche e quelli delle cause cicliche naturali, sembra trovare – almeno nel mainstream mediatico-scientifico - incontestabile evidenza nelle misurazioni e controlli di oggettivi parametri geofisici, come pure in concreti effetti ambientali che scienza e tecnologia moderna rendono disponibili attraverso il monitoraggio continuo. L’insieme delle possibili cause (antropiche, cicliche, geologiche, astrofisiche, etc.) sembra spingere i legislatori – al di là della ricerca causa-effetto - a dover tener conto di un “principio di precauzione”. Questo anche sotto la spinta di campagne informative o mediatiche, più o meno mirate, che amplificano la risonanza di un “catastrofismo” non da tutti condiviso per un’inderogabile adozione di modelli energetici rivolti alla decarbonizzazione delle economie. Tutto ciò proprio mentre alcune di tali economie rifiutano il nucleare (modello tedesco) e altre lo adottano a sostegno delle loro politiche green (modello svedese). Di fatto, punte avanzate della ricerca (per es. MIT [3]) avvertono sull’impossibilità della transizione energetica globale senza il nucleare, e la stessa UE auspicava (in vecchie edizioni dell’ Energy Road Map 2050) un mix di nucleare per una quota del 20-30% nei suoi Paesi membri, sebbene Paesi come il nostro avessero deciso diversamente (per es. import di tale quota piuttosto che produzione in proprio).

Mentre lo studio dei cambiamenti in atto prosegue e si affina, è inevitabile che si ampli lo spettro delle possibili cause prese in considerazione; cause talvolta ancora da indagare a pieno. Inoltre, sebbene gli effetti sull’ambiente naturale siano anch’essi molto studiati, sembrano ancora sottovalutati quelli socioeconomici e geopolitici, salvo la formulazione da parte di talune scuole di pensiero (vedasi Report 2019 dell’European Environmental Bureau- EEB)[4] di una inevitabile politica di “decrescita”, cui talvolta viene abbinato in maniera manipolativa – specie in Italia - l’attributo di “felice”.

L’incompatibilità tra sostenibilità e sviluppo, viene data per comprovata (non solo da EEB) anche in un contesto di crescita green e molto timidamente si incominciano a prospettare i primi studi socio-economici e geo-politici sugli effetti di una decrescita (che in Italia, per altre cause, si era già affacciata da tempo).  Le riflessioni in sede associativa su tali temi individuano con preoccupazione in eventuali politiche di decrescita e nella monocultura dell’energia “green & low carbon (gas)” il rischio di insostenibilità dei debiti pubblici e la messa a repentaglio della stabilità politico-sociale e finanziaria, nonchè della pace globale, proprio mentre si profila all’orizzonte una ripresa degli armamenti e delle politiche conflittuali non solo in campo commerciale (per es. guerra dei dazi) tra le grandi economie. La Storia passata e recente lo dimostra: la conflittualità di ogni tipo, anche quella moderna nel cyber-space, e soprattutto la Ripresa degli Armamenti, è causa di riduzione di risorse disponibili per  i poveri e gli emarginati della Terra. Sembra quasi che internazionalmente valga l’assunto che se si deve “tagliare” si taglia sulla “carità”; pratica di fatto in uso anche nelle sedicenti famiglie cristiane che, provate anch’esse dagli eventi, quasi si giustificano, perché in condizioni di sussistenza “quando non ce n’è, non ce n’è per nessuno!”. Nelle precarie condizioni attuali della comunità umana globale, gli ambiziosi programmi delle Nazioni Unite, della FAO e di Organismi Religiosi, quali la Caritas Internazionale, di ridurre o quantomeno mitigare la fame nel mondo, sembrano così riscoprire radici che affondano discretamente nella presupposta esistenza di un surplus. Nell’ambiente popolare di questo tempo, nel cui chiacchiericcio siamo immersi, si ha modo di origliare che c’è chi arriva – per ricalcare il ruolo della proprietà privata e dell’accumulazione capitalistica -  addirittura ad argomentare la logica secondo cui San Martino non avrebbe potuto donare il mantello se non lo avesse avuto; mentre altri – per sottolineare il ruolo dell’intrapresa e dello sviluppo - riportano a galla  un vecchio detto, apparentemente dimenticato, secondo cui “ai poveri non occorre dargli il pesce, ma la canna da pesca per imparare a pescarlo”. Allo stesso modo c’è chi sostiene, quasi-ilarmente parafrasando Petrolini, che la carità la possono fare soli i poveri, poiché benché poveri sono tanti; altri invece puntando il dito sugli aspetti distributivi della ricchezza prodotta e accumulata sinora, arrivano – senza peli sulla lingua - a sostenere che la carità è un lusso e la lotta e mitigazione della fame nel mondo siano divenute esclusivo appannaggio di pochi miliardari e di Stati generosi, ivi incluso le stesse Chiese di ogni confessione, che hanno accumulato patrimoni talvolta non facilmente commensurabili. E’ evidente in tutto questo una profonda critica socio-economica popolare, insieme al timido e tiepido tentativo, molto umano, di raccogliere il messaggio evangelico, ma sempre anteponendo la propria autosufficienza al dono senza condizioni. Ovviamente un simile umano atteggiamento non può cambiare senso allo “spezzare il pane”, per cui guardando ai fatti concreti si rafforza la convinzione paolina di una condizione dell’Uomo non in grado di compiere il Bene che vuole, ma solo il Male che non vuole , a causa del peccato che è in lui, non potendo liberarsene da solo, privo della Grazia. In maniera prospettica, dunque, si può ben affermare che senza un cambiamento di rotta per uscire dalle crisi presenti (pandemico-strutturale, ecologica, energetica, economica, etica), sui più poveri della Terra, e soprattutto su di essi, si continuerà a scaricare il maggior peso,  anche in termini di mancato sviluppo e di dignità umana fortemente lesa. Cosicché, di fatto, accade che attraverso progetti di decrescita pianificata, anziché promuovere una dignitosa uguaglianza del genere umano e abolire la fame si rischia – con il livellamento in basso - di espandere una generalizzata povertà, visto che problemi molto seri  incominciano ad affacciarsi anche in società come la nostra, con la sistematica violazione della giusta mercede, la diffusione della precarietà lavorativa (specie intellettuale), la conseguente povertà strutturale e le file per il pane quotidiano, come sa bene e sperimenta ogni Caritas diocesana. Ed in questi ambiti, c’è chi riafferma la convinzione che saranno le rimesse degli immigrati verso i paesi d’origine a mitigare e combattere la fame, a porre argine al disagio.

L’umanità ha visto sovrapporsi ai problemi del cambiamento climatico anche quelli non meno gravi originati da una pandemia provocata da un virus, le cui origini non sono state ancora accertate, sebbene abbia devastato non solo lo stato di salute, ma il morale, gli usi e i costumi dei popoli della Terra, nonché le loro aspettative di futuro. Le cosiddette “democrazie” del pianeta sono state colpite in profondità da un “nemico ignoto” e il dissenso verso di esse è cresciuto al loro interno, toccando in profondità quelli che erano creduti diritti acclarati perché sanciti nelle loro “Costituzioni” ormai rese “risibili”. Così anche qui si è imposto un “principio di precauzione” a difesa e tutela della salute di tutta la popolazione, specie quella più anziana, incuranti dell’intrinseca caducità esistenziale dell’Uomo, ben richiamata da un neo-porporato francescano[5] con la poetica ungarettiana di “SOLDATI” : Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie.

La crisi ambientale e sanitaria che stiamo vivendo su scala globale è anche una crisi economica, sociale e valoriale, nonostante la gran parte degli interessati - ossia la famiglia umana nella sua interezza - sembrino perlopiù ancora inconsapevoli. Anzi, tali crisi sembrano assumere sempre più connotati strutturali o comunque di lunghissimo periodo. Proprio per questo e per la rilevanza globale che assumono, si richiedono analisi degli sviluppi e dei rischi ad esse connessi; come pure dei provvedimenti che si intendono intraprendere per fronteggiarle. C’è chi con ragione si chiede se siamo veramente pronti e preparati ad affrontarle queste crisi, essendo per troppo tempo state trascurate e molti fenomeni e variabili che intervengono sono scarsamente noti e identificati nei loro effetti incrociati e di lungo termine, ma sembra inutile il sollecitare l’adozione generalizzata di politiche di ricerca al riguardo, perché sistematicamente ignorato, salvo qualche raro caso.

3.      Le 4E : Energia, Economia, Ecologia e Etica

Nelle sedi associative promotrici di questo incontro – ossia quelle del Comitato per una Civiltà dell’Amore - si è registrata una unanime convergenza a riassumere nell’acronimo 4E (che sta per Energia, Economia, Ecologia e Etica) il nocciolo duro delle problematiche da affrontare nel frangente che stiamo vivendo. Le 4E sono espressione di un approccio olistico ai problemi e trovano costante riferimento nella Dottrina Sociale della Chiesa, nelle Encicliche Caritas in Veritate e Laudato Si’, ma anche in trattazioni pastorali specifiche come il saggio: Energia, Giustizia e Pace - Edito dalle Librerie Vaticane. Insomma dell’approccio analitico 4E se ne sente il bisogno quale strumento integrato di analisi al punto di auspicarne la formazione di una Scuola.

L’auspicio è che questo acronimo 4E possa essere un focus di ausilio all’innesco di una maggiore domanda di comprensione dei fenomeni del nostro tempo, al fine di indurre consapevolezza, conoscenza, atteggiamenti e comportamenti, funzionali alla individuazione e risoluzione dei problemi che sta vivendo il genere umano. Tra essi, in modo particolare, lo sperpero di risorse destinate agli armamenti in presenza di una metà dell’umanità che vive in condizioni di sussistenza, di sfruttamento, di povertà; mentre nell’altra metà “benestante” si producono fenomeni di concentrazione della ricchezza che appaiono inarrestabili per effetto di una “turbo-finanza algoritmico-informatica”. Insomma, un collaterale depauperamento della classe media con diffusione della disoccupazione e specialmente della disoccupazione giovanile ed intellettuale,  un impoverimento generalizzato delle classi lavoratrici, dove un’occupazione stabile è divenuto “privilegio” ed il “precariato di sussistenza” la norma. Un mondo in cui si è stravolto l’intrapresa, che messa alle strette ha inseguito i fuochi fatui della delocalizzazione, del profitto a tutti i costi o della semplice sopravvivenza riponendo speranze nell’export  o nello Stato, apparato gestionale di nazioni ormai  esauste e depauperate del ruolo di custodia dei propri popoli. Un mondo in cui neppure un reddito minimo di cittadinanza, reso improduttivo per ideologia, per scelta o per circostanza, riesce a risolvere i problemi veri se non quelli di cattura di “consenso politico” finalizzato al mantenimento dello “status quo”. Un mondo in cui sotto la spinta di una bioetica laicista si è costretti a cambiare i connotati della famiglia intesa in senso tradizionale e la prole - un tempo unico e solo appannaggio dei “proletari”, venditori di lavoro per la loro stessa riproduzione - viene presa in carico da uno Stato divenuto tutore, attraverso un ruolo genitoriale che non gli è proprio.

Sì è così giunti ad una visione di democrazia che confligge con se stessa, dimentica dei suoi principi professati nelle grandi dichiarazioni dei diritti umani e di autodeterminazione dei popoli (sic!), scoprendosi insufficiente, inefficiente, inefficace; in pericolo ed in competizione rispetto ai sistemi autocratici, che pur tenta di imitare goffamente dietro le quinte del teatrino mediatico; quando addirittura non abbia riposto in essi le speranze della propria “salvezza”. Ma, non vi può essere pace, né sviluppo sostenibile, né salvezza degli ecosistemi, ivi incluso quello umano, senza la stabilità. E la stabilità può essere ottenuta con la forza solo temporaneamente. Per la stabilità durevole occorre il consenso ed è esattamente questa la regola democratica che non può essere tradita o  aggirata da strumentali manipolazioni finalizzate a interessi lobbystici o progetti egemonici di chicchessia; pena il conflitto!

Sorge, quindi, il dubbio che alle 4E occorra aggiungere una G che sta per Geopolitica ed una ulteriore E che sta per Europa. Infatti, la situazione rappresentata sin qui è maturata nella fissità di un vecchio mantra della geopolitica occidentale; vecchio quanto la prima Rivoluzione Industriale, allorquando si ebbe evidenza di quel legame imprescindibile tra risorse e territorio necessario ad alimentarla; movente ed iniziatore delle politiche coloniali. Quel mantra recitava: “Chi Governa l’Europa governerà l’Eurasia; chi governa l’Eurasia governerà il Mondo”. Così l’idea d’Europa dei Padri, che avevano creduto nella Democrazia, muta e da argine per l’avanzata comunista post guerra (mondiale 2a) diviene progetto di uno stato senza moneta per creare una moneta senza stato, esposta ad ogni alito di vento egemone e globalista. Rifiutando nella propria Costituzione le radici giudaico-cristiane della propria storia, cultura e civiltà, si è pregiudicato l’unico, vero, potenziale legante europeo. Così, lentamente ma progressivamente, attraverso i concetti di libero mercato, di concorrenza  e libera circolazione delle merci, capitali e lavoro, ispiratori di direttive comuni per uniformare la legislazione, si è giunti a modificare le singole legislazioni nazionali – che avevano funzionato per anni – modificandole anche in conflitto con le Costituzioni e gli apparati di Diritto nazionali come nel caso italiano, mentre i cittadini – salvo le élite politiche “illuminate promotrici” dell’Europa - restano inconsapevoli ed ignari di ciò che accade. Il legante europeo, come si constata nella pandemia in atto, divengono i soldi, la moneta che non c’è, l’Euro senza Stato, che ha indotto taluni Italiani a pensare che la propria forza sta nella propria debolezza capace di innescare “il crollo del sistema”. Per questo aldilà del vaccino, sembra quasi che le speranze di uscire dalla pandemia e riprendere un cammino dignitoso siano riposti in termini quali SURE, MES, Recovery Fund, Green Deal. E allora sorge spontanea la domanda che ci riconduce all’inizio, quasi in modo circolare: basta il denaro e il New Green Deal europeo per contrastare l’emergenza climatica e la crisi in atto?

Giuristi, costituzionalisti ed economisti pongono in evidenza i contrasti irrisolti di una costituzione come quella europea imperniata (similmente a quella tedesca) sul libero mercato, con una costituzione come quella italiana imperniata sul lavoro e sulla possibilità – all’occorrenza – di un intervento dello stato nell’economia, cosa peraltro che confligge, nei fatti, con l’architettura data all’Euro e alla Banca Centrale Europea. La paura diffusa è che piuttosto che risolvere questi contrasti si scelga, come già avvenuto con la Crisi dei Subprime, la via di modificare in maniera forzosa la Costituzione Italiana a cui è stata giurata fedeltà, anche dai politici e ruoli istituzionali in carica, oltre che dai molti servitori dello stato italiano.  Un evento di tal genere provocherebbe una frattura nel corpo sociale della nazione con rischi seri di instabilità e collasso finanziario dell’intera area UE.

Forse è un punto di vista limitante vedere lo stato attuale dell'Unione solo come un conflitto tra diritto nazionale e internazionale europeo; conflitto alimentato dall’idea di una economia sociale di mercato. In effetti, non è solo la prevalenza del diritto dell'UE su quello degli Stati Membri o viceversa che ha provocato uno stallo e la crisi dell’Unione. Come in ogni “fidanzamento” (durato nella fattispecie dai trattati di Roma del 1957 sino ad oggi) al momento del “matrimonio”, deve essere verificata la volontà e la compatibilità degli “sposi” all'Unione. Ma guarda caso ciò non può avvenire per referendum, ritenuta da molti la cosa più logica. La storia recente, però, ha mostrato la prevalenza degli interessi economici dei singoli Stati membri rispetto alla fiducia e alla solidarietà necessarie tra loro perché l'Unione abbia luogo. Può, allora, un “coniuge” pensare che la “famiglia” rimarrà unita se nel momento in cui l'altro perde il lavoro non è pronto a condividere i suoi beni? Può un “coniuge” pensare che la famiglia rimarrà unita se l'altro sarà incline a soggiogarlo con critiche e pesanti accuse fino a quando non vorrà cambiare identità, abitudini e cultura? Purtroppo in assenza di sostanziali modifiche appare evidente a molti  l’opportunità di una rottura dell'impegno a realizzare il “matrimonio”, perché oltre alla tempestività di reazione, è soprattutto la fiducia e la solidarietà che sono mancate in troppe occasioni, ma anche la cultura e l'identità di ciascuno sembrano più immutabili di quanto inizialmente si credesse.

Nel frattempo c’è chi decanta la solidarietà europea in tempo di pandemia, provata di fatto dalla BCE attraverso il Quantitative Easing, senza rammentare che questo è semplicemente ciò che fa e deve fare la banca centrale di un paese in difesa del proprio popolo, della propria civiltà, della propria esistenza. Non vi sono particolari meriti, è routine! E nel caso UE, purtroppo, dobbiamo dire: dovrebbe esserlo!

4.      Alcune considerazioni su UE e  New Green Deal

Oggi, il nostro Paese, oltre che immerso in una pandemia si trova anche in una emergenza climatica conclamata, in piena transizione energetica, nonché in presenza di un minimale Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima che dovrà essere governato e gestito per andare concretamente nella direzione di un vero New Green Deal, come auspica l’Unione Europea. Al riguardo, la nuova Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha promesso un piano di mille miliardi di euro in dieci anni, per azzerare l’impatto climatico dell’Europa entro il 2050. Di queste risorse sembra che più di un terzo siano appannaggio dell’Italia, ma l’idea italiana di vedere gli investimenti fuori dal deficit e fuori dal debito pubblico è stata rigettata, come pure è stata rigettata[6] l’idea che un mix di energia nucleare di un 20-30%, come sembrava richiedere la prima stesura dell’Energy Road Map 2030-2050, debba far parte degli asset energetici di ciascun paese membro. Sebbene il piano verde europeo sia un passo concreto che altri non hanno ancora fatto, sorgono dubbi di insufficienza e di incompletezza, soprattutto perché non si può essere certi che siano le sole politiche europee a poter produrre risultati significativi in questa lotta planetaria. Inoltre, poiché il New Green Deal prende in considerazione in modo prevalente il settore energetico, quello che segue vuole essere un contributo di riflessione per evidenziare che:

1.      Non è solo il settore energetico che può e deve essere fatto oggetto di politiche istituzionali per fronteggiare il cambiamento climatico e il risanamento ambientale, ma vi sono aspetti più nascosti e reconditi nelle abitudini, nella cultura negli stili di vita e di consumo della civiltà europea ed occidentale in generale, meritevoli di moderazione, sobrietà e cambiamento. Essi hanno un notevole peso al riguardo, perché senza di essi non si potrà fronteggiare le crisi e soprattutto avere un nuovo assetto improntato alla sostenibilità.

2.      L’efficacia delle misure che si intendono intraprendere in UE per fronteggiare le crisi in atto - per quanto encomiabili esse possano essere - non può più essere discussa in termini esclusivamente locali[7], cioè europei, ma l’efficacia deve essere raffrontata alle singole situazioni continentali, sia perché al confronto le misure europee potrebbero rivelarsi di scarsissimo apporto o globalmente inefficaci, sia perché le singole situazioni locali si dovrebbero mirare in modo più efficiente e con diversi gradi di priorità.

3.       La situazione attuale richiede consapevolezza delle popolazioni piuttosto che occulte politiche di decrescita, nonchè un serio piano di intervento che spesso implica il riconoscimento della gravità del momento da parte di coloro che questa gravità non sono disposti a riconoscerla, o perché vogliono seguire un proprio approccio al problema[8] come nel caso degli USA o addirittura nel tentativo di proseguire, come la Cina, in politiche di crescita anche attraverso dumping ambientale in un mondo sempre più competitivo, che si potrà ritrovare a fronteggiare nel sospetto anche la prossima emergenza sanitaria le cui origini, come la prima oggi in atto, potranno apparire del tutto dubbie.

4.      La riscoperta della correlazione diretta tra aumento demografico e aumento dei gas serra[9] sebbene escluda l’Europa richiede invece agli altri continenti un serio intervento in campo. Tale correlazione è di evidenza scientifica e non si può più tentare di ignorarla per risolvere i problemi in atto.

5.      L’inevitabile decrescita economica potrà ridurre quota salari e PIL e in assenza di interventi istituzionali adeguati, incidendo sulla produzione, sul lavoro e la domanda di beni e servizi, comportando altresì rischio di insostenibilità finanziaria a causa dei debiti pubblici e privati globali. Non sembra solo il “disagio” ciò che si va prospettando, ma qualcosa che può volgere in rischi e pericoli inaspettati ed imprevedibili. La pandemia Covid-19 ha di fatto imposto una decrescita che è solo avvertimento di ciò che potrà succedere.

6.      Assumendo che la nuova potenza prevista sia  tutta rinnovabile e un ciclo di vita medio d’impianto pari a 20 anni, lo “sforzo” compiuto dall’UE non  appare sufficiente, neanche soltanto per il settore elettro-energetico[10]. Inoltre la gran parte delle risorse sono attese dal settore privato, come se quello pubblico debba restare immobilizzato nel pieno dell’emergenza e non avesse né ruolo, né responsabilità verso gli stati nazionali ed i loro popoli. In definitiva l’intero piano, la sua entità  e la sua articolazione burocratica lo rende poco operativo per una Emergenza Globale.

7.      Il ruolo centrale delle energie rinnovabili, specie fotovoltaico ed eolico, richiede materiali e tecnologie energivore attraverso risorse ad oggi ancora indisponibili per tutti i popoli della Terra, come indisponibili sono le gigafactory che sarebbero richieste, visti i limiti strutturali che si riscontrano nella crescita di potenza rinnovabile installata.

A taluni potrà certo sembrare strano che a proposito di questi argomenti si parli di sistema sociale in termini non solo tecnico-economici, ma anche culturali e valoriali. Ma, il mondo del consumo e del “mercato” è fatto di materiale umano che, in quanto tale, è influenzabile, orientabile in vario modo verso sensi e valori prestabiliti. Non a caso lo sottolineava Vance Packard nel suo celebre capolavoro dal titolo “The hidden persuaders” che “la dice lunga” sulla persuasione occulta.  E questo introduce un ulteriore argomento.

5.      Assistiamo ad una nuova comunicazione sociale e un nuovo marketing fuori dall’etica

Al giorno d’oggi sui media si assiste al dibattito tra economisti per affermare se sia la domanda a creare l’offerta oppure se sia l’offerta a creare la domanda. È evidente che in un caso la produzione è vincolata e determinata dall’offerta sia in termini di quantità e qualità dei prodotti, sia in termini di utilità sociale. Nel secondo caso invece la situazione è esattamente ribaltata e la produzione diviene libera da vincoli che l’offerta può imporre. A quell’interrogativo, dunque, soggiace la libertà finora sperimentata di creare liberamente nuovi prodotti prescindendo anche dalla loro utilità sociale e puntando alla commercializzazione massimizzando il profitto; magari attraverso mastodontiche operazioni di marketing e campagne pubblicitarie che possono indurre bisogni tutt’altro che primari, facendo ricorso, se del caso, anche a messaggi subliminali di cui è nota l’esistenza. Essi raggiungono i consumatori attraverso i media, specie quelli audiovisivi, in cui una programmazione psicodinamica deviante può avere un suo specifico ruolo. Per esempio, si pubblicizzeranno sempre automobili, arredi o alcoolici costosi come simboli di stato sociale, belle gambe ottenibili con  calze da donne non comuni, sapori particolari per commercializzare dentifrici. Salute e benessere da prodotti green e bio sono solo un piccolo esempio dei tantissimi campi di possibile attacco da parte di tecniche subliminali di condizionamento per imporre nuovi prodotti ad alto prezzo secondo le tecniche di discriminazione di prodotto note in economia. Si tratta non solo di mere ipotesi, ma di ragionevoli possibilità, piuttosto da indagare sul campo, anche per i risvolti che una mancanza di sobrietà nell’approccio al consumo può causare da un punto di vista energetico, ambientale, ecologico più in generale. Ad esempio, sebbene la voracità fiscale di uno Stato sempre più in crisi, come pure il mito della Dea Fortuna come rimedio all’indigenza possano costituire parte di una risposta, viene da chiedersi come mai si sia diffusa nella nostra società, specie tra i ceti meno abbienti e che vivono condizioni di precarietà, l’abitudine di ricorrere al “gratta e vinci”; questo moderno “Montecarlo dei Poveri” in grado di produrre assuefazione e trasformare in “gioco e giogo” la vita di molti tra coloro che le tendenze della società moderna colloca ai margini, tra l’irrilevanza e lo scarto. Appaiono imporsi una nuova comunicazione sociale e un nuovo marketing fuori dall’etica che alimentano un falso ecologismo e il prevalere di approcci consumistici in nome di una libertà di mercato dove l’offerta del nuovo e dell’ultimo modello creano una domanda altrimenti inesistente.

Tutto ciò in un momento in cui cresce la consapevolezza che la raccolta e le analisi dei big data, spesso acquisiti con sistemi truffaldini, possono costituire un pericolo per l’intera società, senza che vi sia garanzia che possano essere al tempo stesso una opportunità di migliorare l’agire sociale e la qualità della vita umana.

Ogni prodotto incorpora non solo un “costo sociale monetario” necessario per produrlo (costo afferente alla remunerazione dei diversi fattori produttivi, ivi compreso il profitto che remunera l’attività imprenditoriale), ma anche un “costo ambientale” che è, in via esemplificativa, la sommatoria degli inquinanti emessi per produrre quello specifico prodotto, non solo materie prime ed energia, impianti e lavoro necessario. Si, perché per produrre le materie prime, l’energia, gli impianti e fornire il lavoro necessario, ahinoi si inquina! E disinquinare è costoso!

Il momento del cambiamento dell’automobile è un momento critico per aziende, individui e famiglie, non solo quelli in difficoltà economiche (per es. precari monoreddito), ma anche per quelli in salute che possono contare su un reddito non ancora “precarizzato”. A chi non fa comodo aderire ad una offerta di “rottamazione” che agevola il passaggio ad un “nuovo prodotto”  più performante, meno inquinante, più sostenibile? Dinanzi alla pratica della “rottamazione” delle automobili datate, ritenute inquinanti, una mente razionale si chiede se qualcuno abbia mai presentato un bilancio sulla convenienza sociale ed ambientale degli incentivi alla rottamazione. Razionalmente ci si chiede se  è sempre vero ed esistono prove che le emissioni di una Euro 3 per il suo ciclo di vita residuo - oggetto di rottamazione piuttosto che di riparazione – siano più alte delle emissioni inevitabili per produrre una Euro 6 più quelle che essa produce fino alla fine del ciclo di vita della Euro 3. Si tratta di un quesito che nessuno ha mai posto e mai si porrà, dice un esperto del mercato dell’auto. Le case costruttrici interpretano le tendenze dei vari mercati e sfornano prodotti come richiesto dai potenziali clienti. Il problema delle emissioni nocive non li tocca e i vari scandali recenti su questo tema , da parte di VW, Audi, Ford , gruppo FCA lo dimostra. In buona sostanza, "basta che si vende", tutto il resto non conta. Sempre sul settore dell’auto prendiamo qualche altro esempio dai media. <L'accelerazione delle immatricolazioni delle auto elettriche, salite quest'anno del 155%, genererà 28mila tonnellate di batterie da riciclare nel 2030, pari a due volte il peso della Torre di Pisa. Lo stima Erion Energy, il Consorzio del Sistema Erion dedicato ai Rifiuti di Pile e Accumulatori. Nel 2020, spiega il Consorzio, le nuove auto elettriche immatricolate sono state "circa 30mila, pari a oltre il 3% del totale". Il Consorzio prevede che "nei prossimi anni la richiesta crescerà di 14 volte rispetto al 2018" ed entro il 2030, il 17% della domanda di auto elettriche potrebbe arrivare dall'Europa>[11]. E’ chiaro che l’impatto dell’auto elettrica se viene valutato positivamente per la riduzione di CO2, non può essere valutato positivo complessivamente. Anzi bene fa chi critica la pretesa che le auto elettriche abbiano impatto CO2 pari a zero, mettendo in evidenza che si ottiene tale risultato solo perché non si evidenzia il bilancio energetico, ossia non si prende in considerazione l’intero ciclo di vita del prodotto.[12] Allora risulta evidente che si è diffuso in sostanza un falso ecologismo, che alcuni identificano anche con un ecologismo irrazionale,  e che altri pensano di poter combattere solo con quello radicale e catastrofista.

Gli incontri ed i dibattiti  sulla visione di un mappamondo strizzato da una potente mano fino a spremerne fuori le ultime gocce di “oro nero” accompagnato da un imperativo: “pentitevi!”, per dirla in gergo popolare “la dice molto lunga, ma non la sanno raccontare!”. Innanzitutto, quell’invito al pentimento è chiara evidenza d’essere rivolto agli altri e non coinvolge per nulla chi lo pronuncia, altrimenti avrebbe dovuto recitare: “pentiamoci”. Evidentemente, chi lo pronuncia si sente incolpevole perché “immerso nella sua preghiera e contemplazione quotidiana”; si sente “assolutamente non coinvolto” circa la direzione che il secolo, e la civiltà occidentale, ha intrapreso per soddisfare i propri bisogni di sopravvivenza e di sviluppo.

Nel dibattito che si è finalmente aperto nella società civile sui cambiamenti climatici e sull’ecologismo in generale, razionalità umana ed ecologismo devono essere strettamente interconnessi e le emozioni, al pari dell’incompetenza, devono essere tenute fuori da questa relazione, come pure le fantasie che rifuggono dalla realtà, per quanto “belle, giuste e buone” esse possano apparire.

Talvolta si nota in taluni ambienti, che ad una lucida e fredda analisi razionale della situazione stante,  si preferisce suonare la Grancassa Mediatica con l’auspicio che il Popolo (ritenuto ignorante per definizione) venga sensibilizzato alla preservazione e cura del suo ambiente. Siamo certi che questa è la “retta via”? Specie quando  si è trascurato per generazioni di intervenire su abitudini ormai inveterate quali:

·         Progettare un prodotto per il consumo, senza i necessari requisiti di efficienza, efficacia, durabilità e qualità in generale e in modo specifico accorciarne artificialmente il potenziale ciclo di vita con interventi mirati nel corso del processo produttivo con lo scopo di sostenerne la commercializzazione ed il mercato attraverso la concorrenza e la massimizzazione del profitto?

·         Commercializzare beni e servizi a livelli di prezzi non corrispondenti ai corrispettivi livelli di qualità, misurata in termini di:

o    Efficacia, intesa come capacità di assolvere pienamente la funzione cui sono destinati);

o    Efficienza, intesa come capacità di raggiungere gli obiettivi di efficacia, durabilità e qualità, senza sprechi e con il minimo livello di risorse necessarie)?

·      Tollerare operazioni di marketing che hanno velocizzato il depauperamento delle risorse attraverso “la tecnica dell’ultimo modello” per alimentare un consumismo sfrenato funzionale ad un vetero-capitalismo che ha esautorato se stesso attraverso l’instaurazione del turbo-capitalismo finanziario moderno che privilegia l’investimento in derivati all’intrapresa, più remunerativo e socialmente più devastante?

 

Si richiede anche attenzione e accortezza nella comunicazione perché è stato detto anche  in modo più diffuso:

“Se l’ecologismo dei primi tempi esprimeva solo l’aspirazione di gente inurbata a ritornare ad assaporare odori e profumi di campagne e boschi, oggi esso è divenuto un movimento politico basato su tre pilastri: proibire, tassare e far sentire in colpa le persone.”  E ancora: “... la gerarchia della Chiesa sta oggi dando sempre maggior credito ai militanti dell’ecologia politica radicale e dunque a coloro che hanno il duplice obiettivo politico di promuovere la decrescita e di colpevolizzare l’uomo, mantenendolo in un perenne stato di paura per l’avvenire anziché promuovere in lui la responsabilità e la virtù teologale della speranza.” [13]

In buona parte delle diverse fattispecie che si incontrano, non si tratta di “Qui  in odio Ecclesiam  habent “, piuttosto di chi “Non possumus intelligere”! Ed è evidente che l’attribuzione di “colpa”, se di colpa si tratta, non induce automaticamente il timor di Dio, ma può rivolgersi, almeno fino al “Giudizio”, verso un coinvolgimento degli stessi Vertici che hanno governato e governano il Mondo, anche da un punto di vista spirituale.

6.      Economia delle Nazioni o Globalizzazione? Ossia: Economia Libera e Aperta Versus Economia Chiusa e Pianificata?

Dopo la seconda guerra mondiale, - ormai riconosciuta in un “armistizio di venti anni” [14] come continuazione della prima per  “risolvere” i problemi insoluti rimasti sul tappeto (evidenza ne furono Nazismo, Fascismo, Crisi del 1929) -, il mondo ha vissuto nella Guerra Fredda una contrapposizione dei blocchi antagonisti che si erano venuti formando dopo Yalta. Da un lato il blocco comunista, ad economia chiusa e pianificata che ha dato – fino alla caduta del Muro di Berlino - prova evidente del suo fallimento, con immense inefficienze, sprechi  e  risorse dedicate agli armamenti e sistemi da guerra; dall’altro lato una economia capitalista e liberale che assumeva – nel bel mezzo del pauperismo dilagante - il “Sogno Americano” di generalizzazione del benessere, scoprendo al tempo stesso  ed in modo progressivo l’opportunità di un possibile approccio imperialista nel dominio del mondo, attraverso la potenza militare, industriale, economica e finanziaria. Il risultato è stato un impoverimento strutturale dei sistemi comunisti ad economia chiusa e pianificata, che si sono richiusi e trincerati in se stessi, entro i propri confini, armandosi “fino ai denti “, limitando le libertà dei propri cittadini e inseguendo il mito della propria sicurezza per la difesa della propria indipendenza, a costo di mettere a repentaglio l’esistenza di questo pianeta e della vita sulla Terra a causa degli armamenti nucleari e sistemi missilistici permanentemente puntati e contrapposti, dove un errore umano avrebbe potuto produrre un olocausto anche  incidentalmente. Nel frattempo è divenuto palese il benessere e il vantaggio dei sistemi ad economia libera ed aperta rispetto a quelli ad economia chiusa e pianificata. La rivolta ungherese del 1956 fu la chiara dimostrazione dell’avvio nei paesi del COMECON di un “revisionismo critico”  contro le tendenze imperialiste del Regime Sovietico in Europa. Però, lo stesso processo avverso gli alleati vincitori della II° guerra mondiale e la NATO che avevano costituita, non attecchì nell’Europa occidentale. Ciò non solo per i rapporti politici che i regimi democratici appena istituiti avevano prodotto, ma, forse anche, per lo straordinario progresso economico ed industriale che riscuoteva consenso negli stessi paesi vinti,  e che essi pur vinti potevano sperimentare grazie alla “democrazia”(sostenuta anche da operazioni tipo Gladio) . Il papato di S.Giovanni Paolo II e l’appoggio a Solidarnosc in Polonia inferse un duro colpo al Regime Comunista, al punto di mettere in pericolo il Papa nella sua stessa persona attraverso un attentato. Le sperimentazioni reaganiane per “Scudi Stellari” e sistemi di inseguimento e neutralizzazione di missili nucleari a corto, medio e lungo raggio, hanno poi mostrato a tutti l’inutilità della contrapposizione dei blocchi e dello sperpero di risorse per raggiungere una sicurezza militare che si presentava tanto più evasiva, quanto più si tentava di raggiungerla e garantirla. Prova ne fu la penetrazione del sistema di sicurezza sovietico attraverso volo a bassa quota da parte di un aereo leggero da turismo, pilotato da  un adolescente partito dalla Germania con destinazione Mosca[15] e che  mostrò al Mondo, con l’atterraggio proprio sulla Piazza Rossa, la vulnerabilità del sistema di difesa sovietico che solo in apparenza  si poteva ritenere bunkerato e invulnerabile. Forse coincidenza, forse verità o forse inversione  di cause ed  effetti, iniziarono i periodi di Glasnost[16] da cui ebbe origine la Perestroika[17] culminanti poi nell’abbattimento del Muro di Berlino divenuto – a torto o a ragione - simbolo della supremazia occidentale su quella orientale. In quel frangente i trattati di non proliferazione delle armi nucleari che erano nati tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70[18], ebbero una stagione di rinnovamento fino a raggiungere nel 1996 il Comprehensive TestBan Treaty, Ctbt. In questo nuovo clima in cui sembrava prospettarsi una nuova stagione di pace e di sviluppo generalizzato, trovò anche accoglimento di fatto la proposta italiana[19] di “conversione nucleare”; ossia utilizzare il disarmo per promuovere lo sviluppo dei paesi più poveri. Ciò poteva avvenire impiegando un dividendo generato dall’utilizzo di combustibile, in centrali nucleari, proveniente dalla diluizione del materiale fissile destinato precedentemente alle armi atomiche (qualcosa di simile all’inverso del processo di arricchimento dell’uranio), per generare elettricità, dalla cui vendita il dividendo allo sviluppo sarebbe stato reso disponibile.  E’ così che il disarmo nucleare si è potuto in parte realizzare per qualche decina di migliaia di ordigni nell’arco di un ventennio circa. In questo modo le centrali nucleari hanno certificato la loro essenza di strumenti di pace per la capacità di generare elettricità disinnescando, al tempo stesso, il potenziale distruttivo della armi nucleari. Conseguentemente, questo procedimento di “conversione nucleare” è divenuta la base dell’azione sociale di Civiltà dell’Amore e Nuclear For Peace, che perdura tutt’oggi.

Nel frattempo il Progetto di Europa Unita - nato e promosso dopo Yalta, sotto la spinta dei vincitori della seconda guerra mondiale, per arginare l’avanzata comunista nell’Europa dell’Est[20] - guadagnando spin e arrivando, pur sempre senza l’anelata unificazione politica, all’introduzione anzitempo di una moneta comune (l’Euro), sembra sfuggire al controllo dei promotori e sottrarre, attraverso competizione, potere commerciale agli alleati e potere finanziario al dollaro; che, peraltro, si era imposto nel mondo già prima della nota “rivelazione” in epoca Nixon: “The dollar is our currency, but it's your problem”. Così, la stessa scelta europea di un primato dell’economia sociale di mercato, supportata in diversi ambiti ecclesiastici ed economie nordeuropee, sembra essere divenuta incompatibile ed in dissidio con alcuni principi costituzionali nazionali come quelli italiani.  Su altro fronte occorre dire, però, che la Cina dopo il Maoismo e le successive crisi allargate, sperimentate in più parti nel continente asiatico, non si è mai piegata alla supremazia occidentale ed è rimasta aderente al proprio credo “comunista” fino a quando - l’11 Dicembre 2001 – la Cina entrò nel WTO. E da quel giorno – qualcuno sostiene - il mondo subì il più grande cambiamento economico della sua storia recente.[21] Una élite tecnocratica di circa 50 milioni di ingegneri ha preso le redini del paese del dragone e lo ha portato ad un livello che prefigura a breve il “Sorpasso”, ossia una supremazia cinese in campo economico e commerciale oltre i limiti dell’intero sistema produttivo nordamericano, fortemente indebitato e con un debito tutt’altro che internalizzato, bensì posto in discreta parte nelle mani e sotto il controllo del concorrente cinese. Si è così giunti alla guerra delle valute e dei dazi, alla guerra commerciale, a quella tecnologica ed informatica attraverso il web e l’hackeraggio, un conflitto generalizzato di tutti contro tutti che si è spostato dalla Terra nello spazio e particolarmente nel cyberspace. Una guerra occulta e “fatta a pezzetti” ma che non produce meno vittime sulla Terra rispetto al passato se si considerano le crisi economico-finanziarie divenute pseudo-strutturali, l’impoverimento globale degli strati intermedi per effetto della concentrazione della ricchezza, le pandemie, il terrorismo internazionale e le ribellioni o proteste causate dalla percezione di discriminazione e ingiustizia distributiva dei beni prodotti; specie di quelli che danno dignità alla vita umana: acqua, cibo, abitazione, salute, energia, locomozione. In tutto ciò la Cina pur adottando pratiche capitalistiche di tipo occidentale, ha conservato nella politica e gestione del potere un approccio di vecchio stampo, autocratico, in cui non solo la mancanza di “democrazia”, ma anche la mancanza di diritti umani e il rispetto dell’ambiente sono stati e sono tuttora sotto la sferza della critica globale, che giunge a parlare anche di dumping sociale ed ambientale pur di conservare vantaggio competitivo nelle pratiche commerciali, economico-finanziarie, industriali. In definitiva la Cina è andata man mano configurandosi nell’assetto globale come nuovo polo antagonistico del capitalismo liberale assurgendo a modello del capitalismo di stato autocratico. In tale configurazione la Cina è divenuta riferimento per altre economie, anche occidentali (Europa compresa), dove le istanze socialiste sono ancora forti e persistenti, al punto che sembra quasi rinascere un dibattito mai sopito nella storia moderna e contemporanea fondato sul confronto tra liberalismo e socialismo; dibattito che non si limita alla sfere intellettuali, ma coinvolge quelle politiche e di governo di un paese.

Dinanzi all’evidente declino del predominio occidentale, si può argomentare a lungo su una vasta gamma di temi. Si possono fare analisi e similitudini, ricercando - a torto o a ragione - le cause in una perduta etica protestante anglo-(euro)-americana. Quell’etica che aveva generato lo sviluppo, in cui erano nate le figure WASP (White Anglo Saxon Protestant) dominanti; oppure ricercando le ragioni nella selezione della sua classe dirigente; selezione basata sulla competenza solo ai bassi e medi livelli, riservando e facendo dipendere le più alte posizioni dall’appartenenza sociale, a gruppi elitari o familiari, e dalla connivenza e interessi condivisi con le classi dominanti in una logica di “status quo”; come aveva mostrato e forse anticipato già negli anni ‘70 Franco Ferrarotti con la pubblicazione delle conclusioni delle sue ricerche americane in Sociologia del Lavoro[22]. Ammesso che vi siano cause certe ed individuabili esattamente, il dibattito sulle cause - che talvolta può giungere alla critica profonda del liberismo senza regole, alla preminenza del potere delle multinazionali sugli stati sovrani, ai nefasti effetti della delocalizzazione industriale o alla critica della finanza divenuta, da ancella, padrona dell’intrapresa – può giungere sino a implicare i poteri “forti” (occulti o pseudo-massonici, ecclesiali) e allargarsi, passando dalle cause ai possibili rimedi. Quest’ultimi implicherebbero, secondo alcuni osservatori[23], di riconsiderare elementi fondativi della costituzione americana, delle varie dichiarazioni dei diritti dell’uomo, del diritto internazionale fondato sulla indipendenza e sovranità degli stati nazionali, sulla riconsiderazione del diritto naturale negletto.  Altri invece, ravvisando  le implicazioni della finanza e monetariste, suggeriscono rimedi che spaziano tra la fiducia nelle monete digitali delle banche centrali, al ripristino della differenziazione di banche di risparmio e di investimento, sino al ripristino di qualcosa di simile al vecchio gold standard.

Sebbene il declino della leadership americana in generale nello stesso occidente appaia evidente, resta conservata e sostanzialmente intatta la leadership in campo militare e nella ricerca tecnologica. Un punto, questo, spesso sottovalutato nei media sui risvolti per il mantenimento della stabilità e della  pace a livello globale, visto che la tentazione di risolvere le controversie con la forza non è affatto scomparsa nel mondo di oggi. Una tentazione che può raggiungere livelli altissimi di tensione in chi detiene l’apparato militare più potente del pianeta, ma che dovrebbe oggi confrontarsi con potenziali avversari più forti di ieri, specie se riuniti, dal confronto, in una coalizione.

Può darsi che il contesto non sia quello qui descritto, ma se lo fosse, certamente una situazione di stand-by non aiuterebbe una comunità umana globale devastata dalle crisi ormai strutturali, dalla pandemia, dall’incertezza e dalla contrapposizione permanenti. Una situazione di stand-by logora; logora in particolare le “democrazie occidentali” in cui si registrano contrapposizioni piuttosto che unità di intenti, altrove imposte in maniera autocratica. Per cui le “democrazie” appaiono quelle più fragili sotto il peso permanente del  logoramento. Sarebbe di nuovo una “guerra di trincea” sotto mutate spoglie, una guerra di resistenza alle avversità per le difficili situazioni attuali che si sono venute a determinare in ogni aspetto della vita dei popoli e delle nazioni della Terra.

Eppure vi è un aspetto su cui sembra che nessuno, tra coloro che contano, ha voglia di riflettere. Si tratta dell’economia pianificata in un sistema chiuso. Economia divenuta oggi possibile grazie alle tecnologie sviluppate e a quelle informatiche e di automazione in particolare.

La vecchia Unione Sovietica, in un sistema comunista (ossia pubblica detenzione dei mezzi di produzione) e autocratico (ossia regime politico imposto e mantenuto con l’ausilio della detenzione e gestione della “forza” piuttosto che il consenso) ha sperimentato i disastri cui può condurre un sistema economico chiuso non gestito. La motivazione nel mondo produttivo era assente, al pari dell’efficienza! La morale, pur laica – senza un dio aldi fuori del Partito - non brillava di esempi etici. Succedeva così che dove serviva pane arrivavano saponette e dove occorreva il dentifricio arrivava varecchina. E’ noto quanto a quell’epoca i piccoli appezzamenti di terreno, dati in assegnazione a “contadini” in grado di coltivarli per usi propri, producessero molto di più e più efficacemente di quanto producevano i grandi aggregati pseudo-cooperativisti sotto il controllo del regime. Nelle periferie, sulle strade di grandi città, si potevano vedere vecchine con qualche pomodoro o peperone in mano da vendere in nero per sopravvivere, ma che costituivano offerta in grado di essere accolta (forse anche con soddisfazione) dalla domanda reale, presente a quel tempo di penuria. Gli obiettivi della pianificazione centralizzata erano di massimizzare la produzione (di un sistema inefficiente, dove il lavoro poteva essere un optional) e non di calibrarla alla domanda sorta dalle esigenze concrete. La pianificazione era centralizzata e del tutto sconnessa dalle esigenze delle periferie. La distribuzione era decisa su parametri paternalistici e non oggettivi. Però, oggi occorrerebbe chiedersi quanto del disastro cui abbiamo assistito era afferibile alla mancanza, a quel tempo, di tecnologie informatiche e comunicazionali, che permettessero al potere centrale di mantenere la gestione e il controllo (anche semplicemente sui fatti produttivi, di allocazione e distribuzione risorse e prodotti) su un sistema economico vasto quanto mezzo mondo? Dalla caduta del muro e con il tempo, guaritore di mali, il sistema preesistente è certamente cambiato in meglio, anche se non del tutto.

Ora trasliamo, tutto ciò a tempi più recenti, in un contesto cinese in cui, disponendo di tecnologie informatiche e comunicazionali, viene ceduto know-how e tecnologia occidentale e si inizia a sviluppare una tecnologia autoctona, in un sistema sociale autocratico, ma educato all’etica maoista: “da ciascuno secondo le proprie capacità; a ciascuno secondo il proprio lavoro”. A ciò si aggiunga la voglia mai sopita della finanza e del capitalismo ultra-liberista occidentale, che alla ricerca del massimo profitto ad ogni costo, prescindendo dallo stato di salute delle proprie industrie, delocalizza le sue imprese dai territori di origine per sfruttare i vantaggiosi differenziali del costo della manodopera cinese (o indiana, o altro), mirando anche ai vantaggi di un mondo scarsamente regolamentato dal punto di vista ambientale e dei diritti umani, che alla fine in maniera palese o nascosta permette, o tollera, pratiche di damping sociale ed ambientale al fine di un vantaggio competitivo.

In tutto questo dovremmo ravvisare non soltanto le ragioni del miracolo cinese in particolare e quello che hanno vissuto i paesi emergenti più in generale, ma dovremmo anche prendere atto della irresponsabilità del sistema produttivo occidentale e della sua etica svincolata da ogni altro valore che non fosse il massimo profitto, nel breve periodo e con il minor sforzo possibile, senza porsi il problema del lungo periodo e quello delle proprie radici  in una finta ottica di cosmopolitismo culturale imperante. Viene tuttora ignorato anche, come fanno gli struzzi nella cova, “seppellendo la testa” sotto la sabbia, che una volta equilibrati globalmente e resi simili dal tempo e dal commercio internazionale, i differenziali nei costi del lavoro e delle risorse in generale, non ci sarà delocalizzazione che tenga e flussi di profitto massimizzato cesseranno di esistere, ponendo molti interrogativi sulla persistenza del capitalismo come lo abbiamo conosciuto, fuori dal gioco finanziario delle borse e dei derivati che presumibilmente dovranno cambiare forma e tipo di gioco.

I cultori delle teorie marxiane del crollo del sistema capitalistico, per effetto di un saggio di profitto condannato ad essere naturalmente decrescente nel tempo,  dovrebbero ben riflettere su una legge storico-sociale forse ancor più generale. Infatti, osservando tutto quanto sopra, non si può dimenticare quel materialismo storico dialettico di radice marxiana che – riducendo ogni religione a sovrastruttura  e negando Dio – era servito a creare forze pur antagoniste (ossia, capitale e lavoro contrapposti  dall’incitazione : proletari di tutto il mondo unitevi!) che hanno sviluppato un sistema di dominio nel mondo, ma che alla fine sono diventate catene per ogni ulteriore sviluppo in modo ugualmente vero, sinora, sia nel caso di esperimenti di socialismo reale, sia nelle società capitalistiche di origine occidentali. Resta, però, da vedere cosa accadrà con il Grande Dragone, ancora florido dopo il Covid-19, rispetto ad un Occidente in panne e fiaccato!

Il mondo autenticamente cristiano ha reagito in vario modo a tutto ciò, ma sempre nella consapevolezza che l’Onnipotente consente il “male” o per mettere alla prova la fedeltà di coloro che gli appartengono (il Libro di Giobbe insegna!) e comunque solo in vista di un “bene” maggiore (solo spirituale?). Le grandi encicliche della Dottrina Sociale della Chiesa avevano ben preparato il terreno e così oggi nei vincoli, veri o presunti cui conduce la pandemia Covid-19, l’umanità incomincia a riscoprirsi – seppur solo in parte - viaggiatore nello spazio su un pianeta forse non unico, ma certamente singolare nel sistema cui appartiene, definendolo “casa comune” da difendere a beneficio delle generazioni future e soggetto a limiti e vincoli per garantire questa preservazione. Insomma il Mondo affronta una transizione e si pone alla ricerca dell’assetto finale dopo-transizione, cui pur per diverse vie occorre mirare per comporre in modo stabile l’intero puzzle. Ma, proprio in questa ottica non sembra esserci consapevolezza che un tale mondo “globalizzato” nei suoi singoli “pezzi”, fino a ridursi a quel villaggio globale predetto negli anni ’60 da Marshall Mc Luhan, conduce immediatamente e senza mezzi termini ad un sistema economico chiuso, pianificato o piuttosto da pianificare. A meno di non poter constatare a breve che “non siamo soli”- come ormai i media suggeriscono con avvistamenti e testimonianze - e attivare commerci planetari con altre civiltà aliene, cosa che finora è stata relegata negli ambiti della fantascienza o delle teorie della “new-age”. In definitiva si pone l’interrogativo se a fine transizione il sistema globale sarà più vicino ad un sistema autocratico, alla cinese, oppure più vicino ai sistemi “democratici” di tipo occidentale. Aldilà degli esiti di gestione politica, però, è chiaro e vero, salvo per chi non vuol capire, che quel sistema globale non potrà che essere chiuso e pianificato o da pianificare. Una alternativa, però, potrebbe essere innestare l’inversione di marcia sui processi di globalizzazione, (ri-)dare sovranità e potere agli stati nazionali, ivi compresa la loro sovranità monetaria, in base al diritto di autodeterminazione dei popoli.[24] Una simile ipotesi può apparire, nei fatti, come puntare indietro nel tempo e tornare all’inizio degli anni ’50, a quel clima “ideale”,  che aveva caratterizzato l’Europa in particolare, a seguito dello scempio e della sofferenza che la guerra aveva prodotto. In realtà, se confrontiamo questo atteggiamento che potremmo definire di nuova valorizzazione dell’economia delle nazioni, troveremmo non tracce, ma chiare indicazioni negli insegnamenti non solo cristiani, come ad esempio:

A)    L’atto di Nimrod (secondo alcuni etimologicamente “Il Ribelle”[25]) che  con “La torre di Babele intendeva unificare i popoli della terra in un solo popolo, fu ritenuto un atto di superbia dal Signore- Dall’Antico Testamento - Genesi 11,1-9 – Nuova Diodati,  troviamo letteralmente quanto segue: <1 Or tutta la terra parlava la stessa lingua e usava le stesse parole. 2 E avvenne che, mentre si spostavano verso sud, essi trovarono una pianura nel paese di Scinar, e vi si stabilirono. 3 E si dissero l'un l'altro: «Orsù, facciamo dei mattoni e cuociamoli col fuoco!». E usarono mattoni invece di pietre e bitume invece di malta. 4 E dissero: «Orsù, costruiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo, e facciamoci un nome, per non essere dispersi sulla faccia di tutta la terra». 5 Ma l'Eterno discese per vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. 6 E l'Eterno disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti la medesima lingua; e questo è quanto essi hanno cominciato a fare; ora nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare. 7 Orsù, scendiamo laggiù e confondiamo la loro lingua, affinché l'uno non comprenda più il parlare dell'altro». 8 Così l'Eterno li disperse di là sulla faccia di tutta la terra, ed essi cessarono di costruire la città. 9 Perciò a questa fu dato il nome di Babele, perché l'Eterno colà confuse la lingua di tutta la terra, e di là l'Eterno li disperse sulla faccia di tutta la terra>[26].

 

B)     Citando dal punto 56 del Catechismo della Chiesa Cattolica – Libreria Vaticana Editrice - 1992 -pag. 33: <L'Alleanza con Noè dopo il diluvio esprime il principio dell'Economia divina verso le "nazioni", ossia gli uomini riuniti in gruppi, "ciascuno secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni" (Gn10,5)....L'Alleanza con Noè resta in vigore per tutto il tempo delle nazioni, fino alla proclamazione universale del Vangelo... nell'attesa che Cristo riunisca "insieme tutti i figli di Dio che erano dispersi">.(Gv 11,52). Ci  si chiede, così, se la globalizzazione in atto o ogni processo che punti a riunificare le nazioni in un unico organismo, è processo che può essere “umano”, oppure è riservato solo a Cristo nella parusia per instaurare il Suo Regno; e se in tale ottica, ad esempio in UE, ma vale anche in altre odierne situazioni (per es. Medioriente e Nordafrica mediterranea), l'aggregazione di  cospicue porzioni di popoli, pur in dissenso, possa essere obiettivo approvato dalla Chiesa Cattolica poiché in armonia con i fondamenti della Dottrina e del Magistero.

 

C)     Secondo alcuni studi biblici condotti in seno al Protestantesimo Nordamericano[27] , una società universale, con una identica cultura e lingua (come era, ad esempio, il mondo antidiluviano) è molto più facile da controllare e manipolare da parte delle Forze del Male. Per cui, si ricava un esplicito, singolare ed inaspettato ruolo del Nazionalismo e della Legge, che sembrerebbero mettere in guardia nei confronti dei processi di Globalizzazione in atto, non solo sul fronte economico e commerciale. Si giunge cosi in detti studi,  in modo esplicito, a sviluppare una analisi su: “Law and nationalism as a restrainers of satanic influence” [28].

7.      Alcune Conclusioni su Conversione e Sviluppo

Il tempo che viviamo sembra caratterizzato da due tendenze opposte: una unitiva (vedasi  ad esempio la globalizzazione e lo stesso processo di unificazione europeo, o similari) e l'altra divisiva (vedasi ad esempio le rivendicazioni autonomiste di molte regioni in molte parti del mondo). Queste tendenze sembrano ispirare due atteggiamenti opposti ed inconciliabili: uno teso verso il cosmopolitismo e l'altro verso il nazionalismo/regionalismo. Questa sorta di dualismo è stato ed è oggetto di discussioni non soltanto a livello politico, ma anche a livello religioso, come si è visto sopra. Ad esempio si riportano le seguenti citazioni:

-          La globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva.  ( S. Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle scienze sociali, 27 aprile 2001 )" ma dipende dall'uso che se ne fa.

-          <Indubbiamente va attentamente rivalutato il ruolo e il potere politico degli Stati, in un’epoca in cui esistono di fatto limitazioni della loro sovranità a causa del nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale>> (D.Petti – Dialogo sulla Politica con Benedetto XVI – 2013 – Lateran University Press).

Purtroppo l’umanità sta vivendo un periodo di grande difficoltà e non è più il tempo delle sole citazioni, ma delle decisioni, al fine di dare una indicazione chiara ed esplicita agli uomini, affinché possano con discernimento indirizzare la loro azione e la loro missione nel Mondo di oggi.

In tempi in cui la credibilità, non solo della scienza, ma di ogni sapere umano sembra essere messa a dura prova da presunte “verità” di parte, spesso duali e contrapposte, è veramente difficile commentare o discernere alcunché, se non transitoriamente, con la forza del personale “sentire”, cui ciascuno giunge con ciò di cui dispone. Questo non per avvalorare i troppi relativismi che già vanno emergendo in ogni campo, ma per confessare una difficoltà che induce spesso o al silenzio o all’inazione per tema dell’errore. Pertanto, queste analisi e riflessioni su temi rilevanti si spera vengano considerate soltanto a livello di stimolo, di proposta, con interrogativi che vogliono essere una sollecitazione, per esempio per indagare personalmente sui “falsi ecologismi” e relativa robustezza. Spesso essi non vengono professati con malizia, bensì con noncuranza verso personali approfondimenti (per i quali talvolta non si dispone tutti e allo stesso modo degli strumenti necessari); noncuranza che porta ad aderire a tendenze mainstream, radicali o non razionali; quasi spinti da un inesistente obbligo di doversi “schierare”. Ciò è tutt’altro che Scienza!  Ovviamente questo vale per Tutti, perché nessuno ne è completamente immune. Ma ci si  chiede se al punto in cui siamo, vista l’incapacità delle nostre scienze e di noi stessi (in quanto esseri umani caduchi) di dirimere in tempi certi controversie scientifiche, tenere in considerazione innumerevoli variabili (talvolta non tutte note) e gli effetti incrociati, a breve, medio e lungo termine, potremo mai chiamare qualcosa “Scienza”, se non nei termini di falsificabilità popperiana? Dunque, ci resta solo l’alternativa di approcci del tipo “prova ed errore” – tipico dei primati - in processi ciclici di avvicinamento asintotico e probabilistico alla Verità.

In una specifica sede pastorale della Chiesa Cattolica viene riaffermato che l’uomo non può nascere come diritto di qualcuno, come non può morire offrendo la sua disponibilità ad annullare la sua storicità; ma soprattutto viene riaffermato come il Risorto sia presente nella storia e la guidi. Pertanto:Il Risorto attende l’umanità al pozzo della globalizzazione [29]. In questa fiducia, partecipi di un associazionismo cristianamente orientato, aperti al contributo di tutte le persone di qualsiasi convinzione, si rileva una generale intenzione di un serio impegno a cooperare, per quanto possibile, nell’azione di salvaguardia del creato e di uno sviluppo sostenibile che sia scientificamente fondato su tutte le tecnologie utili a tale scopo; senza preclusioni e pregiudizi di sorta. Mentre contro il nucleare di pace tali pregiudizi sono stati usati, fatti nascere e cavalcati per motivi politici e non poco pesò, tra l’altro, nel referendum antinucleare del ’87, la mancanza di un deposito nazionale per i rifiuti nucleari e l’assenza di una dimostrazione di saper chiudere il ciclo di vita di un impianto attraverso il decommissioning.

Sebbene la situazione sia oggi mutata, la pubblicazione di una semplice carta dei potenziali siti italiani atti ad ospitare un deposito di rifiuti nucleari – peraltro a bassa o media attività, ed in prospettiva qualche rifiuto vetrificato di rientro dal processamento all’estero del combustibile – ha riportato a galla lo scalpore e la “paura” delle popolazioni locali nel far spazio sul proprio territorio ad una simile installazione, che costituisce necessaria infrastruttura per ogni paese minimamente “sviluppato”, se non altro per rifiuti radioattivi ospedalieri al momento detenuti più precariamente in magazzini pubblici e privati.

Tutto ciò, proprio mentre recenti fatti in seno a  potenze nucleari “democratiche” hanno riportato alla ribalta i rischi cui gli armamenti nucleari espongono tutta l’umanità, specie in fasi di transizione o di passaggio di poteri, non importa se gestiti da sistemi democratici o autocratici. Supponiamo pure per un momento, ammesso e non concesso, che gli armamenti nucleari siano al sicuro, sottochiave e non vi sia pericolo – per errore umano o per manifesta intenzione conflittuale – di una guerra nucleare. Fissati gli obiettivi e preso atto dell’effettiva esistenza di rifiuti nucleari, ha senso trascurare che tra i materiali più pericolosi e nefasti che imbrattano il mondo, quella “casa comune” in cui tutti viviamo e che vorremmo curare e proteggere, ve ne sono di quelli che hanno ancora un ruolo di minaccia, sottomissione e sopraffazione dei popoli proprio a causa dei tipi e delle tecniche impiegati per usi militari? Parliamo dei materiali fissili usati per gli armamenti nucleari (i più pericolosi!), ossia uranio altamente arricchito e plutonio più in particolare, i cui effetti tossici e radianti sull’ambiente permangono per milioni di anni, a causa della loro lunga emivita! Bastano microgrammi di plutonio, in  micro-particelle libere in aria, per provocare, se inalate, il cancro al polmone; quando non si tratti della morte immediata per avvelenamento, data l’alta tossicità. Eppure, pensiamo che sia necessario decarbonizzare l’economia, privandoci pure dei benefici che il nucleare di pace può produrre con le centrali elettriche, ma non riteniamo di dover estirpare alla radice il male del nucleare militare, degli armamenti e degli impianti necessari a produrli; come se si trattasse di un trascurabile e marginale argomento al riguardo della conservazione della “casa comune”  per le generazioni a venire. Così facendo, senza accorgersi della “barbarie”, si alimenta l’irrazionale emotività contro il nucleare di pace, di fatto narcotizzando il sentimento non solo popolare che trascura ogni significativa riflessione sul nucleare di guerra. Eppure, lo si capisca o meno, oggi la Scienza dispone soltanto di un metodo per ridurre, “depotenziare” e rendere più innocuo il materiale fissile di origine militare. Questo metodo consiste nel “bruciarlo”, anche con tecnologie fertilizzanti, in centrali nucleari per produrre energia elettrica e consentire la transizione verso un più generalizzato impiego delle energie rinnovabili, che senza il nucleare di pace non potrebbe avvenire, se non mettendo a grave rischio di instabilità l’intera civiltà umana per gli shock economici e finanziari che si verificherebbero, ancor prima di quelli ecologici e di cambiamento climatico. Gli effetti del Covid.19 sono sotto gli occhi di tutti e la decrescita di fatto che ne è conseguenza è solo un piccolo assaggio di ciò che si prospetterebbe in caso di una transizione energetica “forzata”, che metterebbe a rischio non solo la crescita e lo sviluppo, ma la stessa Pace sul pianeta Terra. Da qui nasce la riproposizione del Progetto di Conversione Nucleare di una Civiltà dell’Amore, per generare l’energia elettrica - attraverso diluizione e uso del fissile in combustibile per le centrali nucleari – la cui vendita possa creare un dividendo per coloro che sono rimasti indietro, i poveri, i marginali, gli scartati, gli esclusi da una società dell’opulenza e dell’eccesso.

La verità è che la conversione, prima di essere nucleare, deve necessariamente essere quella delle coscienze e delle menti. Con cinque potenze nucleari nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, vediamo come oggi si punti a farne parte o a permanervi attraverso l’armamento e lo showing-off dei propri muscoli ad ogni occasione. Mentre invece, il disarmo può avvenire se e solo se tutte le potenze nucleari in campo, all’unisono, volontariamente e contemporaneamente, decidono di disarmare e adempiono nei fatti questo proposito. Un possibile mezzogiorno di fuoco tra pistoleros contrapposti, che buttano via la pistola per entrare nel saloon a brindare come amici. Si tratta solo di Utopia? Ebbene, se così è, ci sarà sempre qualcuno a predicarla in nome dei valori della pace e della fratellanza umana.

 

E per finire, qui segue una riflessione che un vecchio boomer[30] propone a se stesso ed ai coetanei.

Sebbene la certezza del diritto ed i diritti costituzionali possano venir meno, in un determinato momento storico, e sebbene i boomer possano essere stati ritenuti, senza processo se non mediatico, meritevoli di non aver diritto ad una difesa, almeno da un punto di vista intellettuale, vale la pena richiamare che il concetto di colpa implica la violazione di una norma. Similmente per il peccato, affinché sia punibile, si richiede piena avvertenza e deliberato consenso nel momento della violazione da parte di chi la compie. Inoltre, se una transizione valoriale prende piede, non è la transizione in sé che riduce il valore e quindi la rispettabilità di una norma soggetta a mutazione? Non sono forse la consapevolezza e le intenzioni che influiscono sul giudizio di un comportamento?

Eravamo inconsapevoli ed educati a credere nella crescita e  nello sviluppo, come mezzo per livellare “in alto” la società umana attraverso il Sogno Americano di generalizzazione del benessere. Pensavamo di far bene! Oggi, con l’Europa, si è verificato anche su questo, ma non solo, un capovolgimento di valori! Ci si chiede se ve ne sia abbastanza per aver fiducia che quel Giudizio, quello vero e finale, sia di benevolenza e di assoluzione, non solo per Grazia concessa, ma forse anche perché il fatto non sussiste o perché non costituisce reato.

 

 

Roma, 26/02/2021



[6] In Italia è avvenuto attraverso Referendum

[16] Glasnost (trasparenza, chiarezza nei rapporti politici e sociali; pubblicità dell'informazione; che è stata una delle parole chiave del riformismo di M.S. Gorbaciov, segretario del PCUS dal 1985 al 1991)

[17] Perestroika è quel complesso di riforme politico-sociali ed economiche avviate dalla dirigenza dell'Unione Sovietica a metà degli anni ottanta fino al ‘91, finalizzate alla riorganizzazione dell'economia e della struttura politica e sociale del Paese

[18] Il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), concluso nel 1968 ed entrato in vigore nel 1970-Il Trattato sul divieto di collocamento di armi nucleari e altre armi di distruzione di massa sui fondi marini e relativo sottosuolo del 1971, entrato in vigore nel 1972 - Il Trattato sulla cessazione completa degli esperimenti nucleari del 1996  (Comprehensive Test Ban Treaty, Ctbt)- Successivamente nel 2017 il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari. Vedi per completezza anche https://www.iai.it/sites/default/files/pi_n_0077.pdf

[19] Un gruppo di accademici italiani, tra cui i professori Amaldi, Silvestri, Canuto,e Ricci (aderente a Civiltà dell’Amore / Nuclear for Peace promossa da Rotunno con Maria Romana De Gasperi).

[22] F.Ferrarotti . Sociologia del Lavoro – Lezioni del Prof. Franco Ferrarotti – Editrice Elia – Roma 1974 – pag.200

[23] Vedasi ad es. il recente discorso presidenziale in attesa dei risultati delle elezioni americane. https://twitter.com/_xenio_/status/1300732876607062018

[24] Vedasi ad es. il recente discorso presidenziale in attesa dei risultati delle elezioni americane. https://twitter.com/_xenio_/status/1300732876607062018 

[27]Vedasi  http://ichthys.com/2A-Angelo.pdf ma indicazioni più precise e la traduzione del pezzo in italiano la si può trovare in https://draft.blogger.com/blog/post/edit/7421631457898821861/5649538454862657590

[28] "Legge e nazionalismo come un freno dell'influenza satanica"

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